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Dentro e fuori al Restauro

Il Caso delle Facciate dipinte dell’acquese

Fonte: Antonella B. Caldini, “Dentro e fuori il restauro: il caso delle facciate dipinte acquesi“, «Iter», Trimestrale di ricerche, fonti e immagini per un territorio, n. 15 anno IV/numero 3, 2008, pp. 134-40 ;

[abstract]

Da diversi anni il nostro Paese si è fatto promotore di grandi cantieri di restauro tesi alla salvaguardia e al recupero dei centri storici e delle emergenze storico-artistiche più significative. [… omissis …]
Dal nord al sud buona parte dei centri storici, per anni lasciati in stato di assoluto abbandono (con le dovute eccezioni), sono tornati a pulsare attivamente attraverso vitali riqualificazioni. [… omissis …]
A distanza di pochi anni, però, alcune di queste facciate mostrano i segni di un precoce invecchiamento e questo ha reso necessario ulteriori interventi.
Uno degli obiettivi di questa rubrica, che si occuperà di restauro anche attraverso l’analisi di “casi reali” individuati sul territorio, è senz’altro quello di segnalare e monitorare quegli interventi di recupero ritenuti particolarmente significativi in ragione dei materiali impiegati e delle tecniche costruttive adottate, valutando anche l’efficacia di certe scelte progettuali.

 
Dentro al restauro, …

Pare, quindi, opportuno precisare cosa si intenda con il termine “restauro” e cosa, invece, non si possa considerare tale.
Prendiamo spunto da una tavola rotonda aperta a nove dei più autorevoli esperti sul tema del recupero messi a confronto sulla definizione del termine “restauro” e, nello specifico, leggiamo la definizione di Giovanni Carbonara
“S’intende per “restauro” qualsiasi intervento volto a conservare e a trasmettere al futuro, facilitandone la lettura e senza cancellarne le tracce del passaggio nel tempo, le opere di interesse storico, artistico e ambientale; esso si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche costituite da tali opere, proponendosi, inoltre, come atto d’interpretazione critica non verbale ma espressa nel concreto operare. Più precisamente, come ipotesi critica e proposizione sempre modificabile, senza che per essa si alteri irreversibilmente l’originale” .
Sulla base di questa definizione emerge che “le tracce del passaggio nel tempo” e “il rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche” sono tutti elementi che attribuiscono “valore” ad un manufatto al punto da farlo diventare oggetto di cultura, testimonianza materiale avente virtù di bene culturale. Se durante l’intervento di restauro queste “tracce” vengono in qualche maniera alterate o nascoste non si può più parlare di restauro perché della materia antica resta ben poco ed essa diventa qualcosa di diverso, possibile spunto per una nuova esperienza progettuale.

…. fuori dal restauro e …

A questo punto pare opportuno approfondire il significato di altri termini spesso associati al restauro ma che da “questo” sono di fatto piuttosto lontani, come la parola “ripristino”, “reinvenzione” o “rifacimento”, tutte operazioni che, consentendo l’alterazione del monumento, possono dare luogo a nuove interpretazioni attraverso vere e proprie ri-progettazioni .

 … vicino al restauro.

Sono operazioni vicine al restauro, per il semplice fatto di riguardare le preesistenze , il “riuso”, il “restyling”, il “recycling”, il “recupero” e la “valorizzazione”.
Grazie al riuso è, ad esempio, possibile garantire la conservazione dell’edificio storico attraverso la fruibilità del “contenitore” mentre attraverso il recupero è possibile focalizzare l’interesse su parti di patrimonio storico esistente spesso maltenute. In entrambi i casi, purtroppo, le ragioni di ordine pratico ed economico possono essere più forti dei principi conservativi o scientifici che dovrebbero guidare l’intervento.
La “salvaguardia”, la “manutenzione” e la “prevenzione”, infine, sono operazioni più vicine alla “conservazione” che al restauro propriamente detto, interpretato come intervento diretto sull’opera in maniera rigorosa, scientifica e critica.

Le disposizioni in materia

Confrontando questa analisi con le disposizioni vigenti in materia edilizia ci si accorge subito della confusione che esiste anche in campo legislativo, laddove il termine “restauro” è affiancato a quello di “risanamento conservativo” e per esso è ammesso “il ripristino, il rinnovo degli elementi costitutivi, l’inserimento degli elementi accessori e l’eliminazione degli elementi estranei” .
Sulla base di queste premesse è possibile assegnare al restauro una valenza scientifica sintetizzabile in quattro criteri-guida principali: la distinguibilità dell’intervento, ossia operare in modo che ogni integrazione sia leggibile da vicino e consenta da lontano di godere dell’unitarietà dell’immagine; la reversibilità dell’azione, praticare cioè in maniera non definitiva ma tale da consentirci sempre di potere tornare indietro; il minimo intervento, agire, cioè, soltanto quando è strettamente necessario e, infine, il rispetto dell’autenticità, cercare di non nascondere il dato materico a vantaggio del ” (…) restauro creativo che è solo progettazione architettonica (…)” .

 
 
Un caso reale: Le facciate dipinte in Acqui Terme

L’insieme delle facciate del centro storico acquese appartiene alla cosiddetta “edilizia minore” ed è caratterizzato da fronti decorati a tema geometrico e floreale: un’usanza, quella di dipingere le facciate, che risale al pieno Ottocento e che fa seguito ad importanti avvenimenti urbanistici che modificarono radicalmente l’assetto della città, favorendone il potenziamento a livello turistico e termale (figg. 4). [ … omissis …]

 Fig. 4: Vecchia cartolina del centro storico di Acqui Terme. Particolare delle facciate dipinte in Via Garibaldi

La volontà della città di tutelare il decoro delle sue facciate risale al 1837, anno in cui venne redatto il primo Regolamento d’Ornato della città di Acqui al quale fece seguito, ventitré anni dopo, un Regio decreto istituito dal Consiglio Edilizio che conteneva al suo interno il testo nuovo del Regolamento d’Ornato, in una versione ampliata e rinnovata .
Negli anni il proposito di manutenere le facciate è sempre stato saldo al punto che, tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta del XX secolo, l’Amministrazione comunale tentò di sanare il degrado delle facciate del centro storico con l’emanazione di una serie di ordinanze finalizzate al recupero del decoro dell’ambiente urbano.
Si è precedentemente illustrato che il “recupero” sottintende quasi sempre ragioni di ordine pratico (la pubblica incolumità) ed economico (la riqualificazione del centro storico), fattori che se da un lato hanno consentito un effetto volano nel rilancio del centro storico, dall’altro hanno concesso poco spazio all’analisi di un’adeguata metodologia di intervento.

 Fig 7: Piazza San Guido, prima del recupero degli anni Ottanta/Novanta.  Particolare di una facciata con evidenziazione del grado di leggibilità delle coloriture e degli apparati decorativi in corrispondenza delle zone più riparate.

La maggioranza delle facciate storiche che sono state oggetto degli interventi degli anni Ottanta/Novanta versavano in uno stato di conservazione ancora accettabile, in alcuni casi il livello di coesione degli intonaci al supporto murario era tale da ammetterne la conservazione, le coloriture, pur essendo quasi del tutto dilavate, si presentavano ancora leggibili in corrispondenza degli aggetti e delle parti più protette, su molti prospetti le decorazioni erano ancora rintracciabili ed essendo il più delle volte modulari e ripetitive si sarebbero potute facilmente recuperare (fig. 7).
Un’attenta valutazione di questi aspetti avrebbe potuto dettare i criteri guida dei successivi interventi, favorendone l’efficacia. La campionatura cromatica delle vecchie coloriture, eseguita sui punti più nascosti e meglio protetti delle facciate, avrebbe permesso la riproposizione delle cromie originali attraverso l’utilizzo di pigmenti naturali anziché di natura sintetica. [ … omissis …]
  

  

Foto 8: Via Alessandro Manzoni, dopo il recupero degli anni Ottanta/Novanta. Particolare di una facciata che palesa i segni di un precoce degrado imputabile all’utilizzo di materiali inadeguati.La discreta conservazione dei vecchi intonaci, in prevalenza a base di calce, avrebbe dovuto motivare la scelta della calce come unico materiale ammissibile nelle fasi di “ripresa o reintegrazione”, escludendo in maniera rigorosa l’uso del cemento che a distanza di anni ha rivelato tutta la sua inadeguatezza (fig. 8).
In presenza di lacerti di decorazione si sarebbero potute vagliare due ipotesi: la semplice conservazione dell’esistente, evitando ogni reintegrazione formale oppure la reintegrazione dell’immagine perduta, valutata in considerazione della presenza di apparati decorativi ripetitivi e modulari di tipo geometrico – floreale (quindi non figurativi), escludendo in ogni caso la scelta del rifacimento ex-novo spesso associato alla pura “reinvenzione”.
Precise indicazioni progettuali nella metodologia d’intervento e nella scelta dei materiali, supportate da analisi preliminari di tipo storico-documentale e diagnostico, avrebbero consentito di redigere una sorta di capitolato tecnico che, monitorato dagli enti preposti al controllo, avrebbe potuto garantire una certa coerenza nelle scelte operative e, a parere di chi scrive, risultati più durevoli.

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