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Gli Oli essiccativi

Fonte: Liberamente tratto da “Le Antiche vernici per il legno – resine-oli-cere-pigmenti ” di Pierpaolo Masoni

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Le resine, se usate singolarmente, creano una pellicola troppo fragile, non adatta per tutti gli usi. Per migliorarne le qualità le resine vengono miscelate con oli essiccativi.
Gli oli sono sostanze insolubili in acqua, solubili in quasi tutti i solventi organici, assai diffusi in natura sia nei vegetali che nel regno animale. Essi sono degli esteri della glicerina con acidi grassi superiori saturi e non saturi.
Nella preparazione delle vernici e delle pitture non tutti gli oli possono essere usati: occorre che l’olio sia più o meno essiccativo; che possieda, cioè, la proprietà di dare per essicazione, dopo che esso sia stato applicato in strato sottile sopra un supporto, una pellicola resistente, dura e brillante, tale, cioè, da proteggere  il supporto stesso dagli agenti esterni. In base al loro comportamento possono essere suddivisi in tre categorie:

1.      Oli linolenici, i cui trigliceridi sono prevalentemente a base di acido linoleico con tre doppi legami non coniugati; essicano rapidamente, ma la pellicola che generano è soggetta ad ingiallimenti.
2.      Oli linoleici, i cui trigliceridi sono prevalentemente a base di acido linoleico con due doppi legami non coniugati. Essicano meno lentamente, per cui sono detti semiessicativi, ma le pellicole che ne conseguono non ingialliscono.
3.      Oli coniugati, i cui trigliceridi sono prevalentemente a base di acidi grassi con tre doppi legami coniugati. Essicano molto velocemente e danno pellicole resistenti all’acqua.

Il numero di questi oli sino al ‘700 era assai limitato, ma con l’inizio dell’industrializzazione si moltiplicò in modo esponenziale, tanto da diventare caotico. All’inizio del ‘900 il governo italiano istituì una apposita Commissione Tecnica Governativa Colori e Vernici con lo scopo di riordinare il mercato catalogando gli oli in due categorie: oli per vernici ed oli che possono essere usati per vernici. Il loro numero si ridusse drasticamente a circa una cinquantina.
Ovviamente quelli che possono destare il nostro interesse appartengono alla prima categoria, sebbene vada detto che quelli oggi usati sono per lo più quello di lino e quello di tung.

Olio di lino

Viene estratto dal linum usatissimum, pianta erbacea della famiglia delle linacee originaria dell’Asia. I semi contengono circa il22% di olio la cui percentuale di componenti varia a seconda del periodo di raccolta, del clima e del grado di maturazione, cosa d’altronde tipica di quasi tutti i prodotti naturali.

Olio di tung

Veniva chiamato olio di legno di Cina. Si estrae dai semi di certe specie di aleuterites diffuse in Cina, Giappone, India. Vengono catalogati a seconda della provenienza.
Olio di legno di Cina: è il vero e proprio olio di tung; si estrae dalla aleuterites fordii.
Olio di legno del tipo abrasin: si estrae dalla aleuterites montana.
Olio di legno giapponese: si estrae dalla aleuterites cordata.
Olio di legno di bancoulier: si estrae dalla aleuterites moluccana.
Olio di aleuterites trisperma.
I primi due hanno delle forti analogie, mentre gli altri hanno proprietà essiccative differenti.
L’olio di legno è un liquido viscoso il cui colore varia dal giallo chiaro al bruno a seconda dell’origine e del trattamento che ha subito, ha odore caratteristico ed essica più velocemente dell’olio di lino fornendo una pellicola rugosa, opaca e poco elastica. Nelle vernici viene spesso mecolato all’olio di lino in una percentuale che varia dal 5% al 15%.

Olio di colza

Viene estratto dai semi di colza (brassica campestris) e di altre crucifere molto coltivate nell’Europa settentrionale. Il seme contiene circa il 40% di un olio di colore verde chiaro.

Olio di oiticica

Viene estratto dalle noci di licania rigida, una pianta delle rosacee spontanea in alcune zone del Brasile. È un liquido di colore giallo dorato con forte odore caratteristico. La sua produzione è iniziata alla fine dell’ottocento.

Olio di papavero

Si ricava dai semi di alcune specie di papaveracee (papaver somniferum…) è uno degli oli più usati dopo quello di lino e di legno. L’olio di prima spremitura è quasi incolore (olio bianco), quello di seconda spremitura è giallo rossiccio.

Olio di perilla

Viene ricavato dalla spremitura dei semi della perilla ocimoides, pianta annuale che cresce in Giappone e in Manciuria. Viene usato soprattutto in Giappone come alternativo all’olio di lino poiché dà una pellicola dura, impermeabile e lucente.

Olio di soia

Si estrae dai semi della soia spida, leguminosa molto coltivata in Giappone ed in Cina, ma anche nell’Italia meridionale.

Olio di ricino

Il ricino è una euforbiacea originaria dell’Africa centrale i cui semi contengono il 55% di un olio chiaro dall’odore caratteristico. Come olio essiccativo viene usato raramente per vernici chiarissime. Viene più spesso usato come plastificante.
Dalla fine dell’ottocento viene usato per la preparazione dell’olio di legno artificiale.

Olio di vinaccioli

Si tratta di un olio la cui prima produzione, esclusivamente italiana, risale agli inizi dell’ottocento. Si presta alla distillazione, quindi alla produzione di oli sintetici con caratteristiche particolari. Usato in pittura perché col tempo non ingiallisce. È di colore verdastro e, se cotto, acquista buone doti essiccative. Ha avuto una grande diffusione nella preparazione di vernici scure.

Olio di alosa

Si tratta di un olio poco usato perché poco essiccativo.

Olio di canapa

Estratto dai semi della cannabis sativa che ne contengono circa il 33%, ha odore e sapore spiacevoli. Di colore giallo-verdastro, invecchiando tende al bruno. Poco essiccativo, veniva usato nella preparazione di vernici scure.

Olio di girasoli

Il girasole appartiene alla famiglia delle composite ed è originario dell’America centrale, ma cresce bene ovunque e si adatta anche ai terreni più ingrati. L’olio si estrae dai semi per lo più per pressione. Da un olio poco essiccativo di colore giallo chiaro. Nella fabbricazione delle vernici venne usato dal ‘600.

Olio di guizota

Anche detto olio del Niger, si ricava dai semi della guizotia abissinica, pianta erbacea annuale della famiglia delle composite. Olio di colore giallastro, molto fluido, poco essiccativo e dal sapore di nocciola.

Olio di noce

con questa denominazione generica in passato si sono indicati oli di varia origine e diverse caratteristiche. Il più diffuso è quello ricavato dalla juglans regia. È uno degli oli che più si prestano, per le sue proprietà, a sostituire l’olio di lino nella fabbricazione di vernici e pitture.  Si estrae  per pressione a freddo (olio vergine) e poi a caldo. Il primo è poco colorato, ha sapore grato ed odore piacevole, è assai fluido ed usato nell’industria alimentare.
Il secondo è verde bruno, ha odore e sapore sgradevoli ed è molto essiccativo. Si presta ad essere decolorato e invecchiando non ingiallisce. Per queste sue caratteristiche è sempre stato usato nella fabbricazione di olioresine e soprattutto di pitture ad olio.
Altri oli simili sono quello di noci del Brasile, delle Molucche, di Keku, di Kimiri, di Lumbang, di Tutui, il candelnut oil, huile de bancoulier, huile  de noix de Saint Dominique, kerzennussol, ecc..  Si tratta per lo più di oli ricavati dalle aleuterites molucchana e triloba.
Questi oli essiccativi hanno colore variante dal giallognolo al verdastro, hanno buone proprietà essiccative, non sono commestibili avendo proprietà lassative.

Molti altri oli vennero usati, da quello di palma a quello di pomidoro a quello di cartamo, a quelli estratti dai pesci (soprattutto nel nord Europa), ma tutti di qualità non rilevante.

Come già detto l’olio che è sempre stato considerato il migliore è quello di lino.
La caratteristica che gli ha conferito questa fama è data dal fatto che oltre ad un processo di essicazione, questo olio subisce un processo di polimerizzazione particolare. Varie molecole si uniscono  creando un reticolo dalla struttura specifica con due caratteristiche ben precise: è impermeabile all’acqua, ma contemporaneamente è permeabile al vapore. Ciò significa che tale pellicola conferisce all’oggetto verniciato idrorepellenza senza togliere traspirazione. 
La combinazione di queste due caratteristiche era tenuta in gran conto dal momento che un unico prodotto riusciva a realizzare le due prerogative fondamentali per la conservazione del legno.
Spesso  all’olio di lino veniva aggiunto un altro olio per modificarne le qualità. Ancora oggi la maggior parte delle olioresine contengono una certa percentuale di olio di tung che ne accentua la essiccatività e la durata nel tempo.
Se si pensa al grande numero di oli usati ed alla varietà di resine, ci rendiamo conto del gran numero e della varietà delle vernici prodotte in epoca storica. Fondamentalmente si trattava di una mescolanza di olio, resina ed un diluente.
Le caratteristiche finali, come si è detto, variavano in base alle proporzione dei componenti e alla loro natura.
Molto importante è la proporzione tra olio e resina. , poiché ciò determina le caratteristiche della pellicola finale. Di qua nasce la distinzione fra vernici corte in olio, medie in olio o lunghe in olio.
Va anche detto che, contrariamente alle credenze popolari, difficilmente l’artigiano si dedicava alla realizzazione delle vernici con le quali dava una protezione ai propri manufatti. Le difficoltà erano troppe; incominciavano da quelle del reperimento delle materie prime, i loro prezzi, la loro qualità discontinua, per arrivare poi a problemi tecnici quali la cottura degli oli, la pirogenazione delle resine, le pratiche necessarie per rendere l’olio essiccativo, ecc. 

Preparazione di una vernice classica

I passaggi fondamentali della fabbricazione di una classica vernice erano questi:

1.      cottura dell’olio. La cottura determina un inizio di polimerizzazione che poteva essere accentuato con una serie di cotture successive; in questo caso si ottiene uno standolio, cioè un olio più denso, adatto per vernici filmanti. Fino ad un certo periodo storico durante la cottura veniva aggiunta una certa quantità di calce che aveva lo scopo di conferire all’olio maggior siccatività. Questa pratica venne abbandonata durante il 1600, preferendo l’uso di sali metallici.
2.      pirogenazione della resina: consiste nel portare la resina ad una temperatura leggermente superiore alla sua temperatura di fusione, così da renderla solubile nell’olio, cosa altrimenti impossibile. Si può ricorrere all’escamotage di scioglierla in alcol e poi procedere alla miscelazione, ma in questo modo si ottengono risultati scadenti, perdendosi molte delle qualità della resina.
3.      aggiunta dei sali essiccativi.
4.      aggiunta del diluente.

 La vernice che in assoluto è stata la più diffusa in Europa per vari secoli si chiamava  Megylp e veniva prodotta in Olanda. Da varie fonti si desume che fosse composta da olio di lino cotto, elemi e trementina veneta. Resisteva molto bene all’umidità, ma era soggetta ad ingiallimento. Era tanto famosa ed usata da diventare sinonimo di vernice, tanto che con tale termine si arrivò ad indicare generiche aggiunte di resine anche in pittura. Addirittura si incontravano quelli che oggi definiremmo taroccamenti, vernici che venivano chiamate con storpiature del nome originale, tipo Megilp, Megilf, Megilph ecc….

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