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Pieve di S. Vito: La storia

Pieve di San Vito a Morsasco

Indagine storica (I)

La chiesetta di San Vito a Morsasco è il più antico edificio religioso presente sul territorio, probabilmente precedente lo stesso insediamento abitato, da cui dista circa un chilometro. La sua fondazione è ragionevolmente attribuibile all’età romanica, mentre non è possibile datarla con maggior precisione, vista la totale assenza di fonti documentarie precedenti l’epoca contro-riformistica e i continui rimaneggiamenti cui l’edificio è stato sottoposto nel corso dei secoli. L’analisi architettonica della piccola costruzione, e in particolare dell’abside, consente però di effettuare interessanti confronti tipologici e stilistici con edifici analoghi esistenti nella zona, che rendono giustificabile una datazione compresa tra la fine dell’XI secolo e la metà del successivo.

Per quanto riguarda, invece, l’analisi documentaria, è stato possibile desumere qualche informazione, relativamente al periodo compreso tra la fondazione e la seconda metà del Cinquecento, dalle complesse e tormentate vicende storiche che caratterizzano le terre del Monferrato. Le prime notizie certe relative a Morsasco risalgono infatti al 1224, anno in cui la Repubblica di Genova, allora proprietaria del feudo, ne cede metà ai marchesi del Bosco. È verosimile che a tale data la chiesa di San Vito esista già, come lascia credere sia il titolo, antichissimo (chiese e cappelle dedicate al santo sorgono in tutto il Settentrione a partire dall’XI secolo), sia le fonti documentarie attestanti come questa sia la primitiva chiesa parrocchiale.

San Vito e San Vittore

A proposito dell’intestazione della chiesa, va notato che, sebbene essa sia inequivocabilmente dedicata a San Vito, già attorno al Quattrocento si manifestano le prime confusioni con la figura e il culto di San Vittore, particolarmente venerato in tutta la regione lombarda e soprattutto a Milano, dalla cui diocesi dipendeva quella di Acqui. L’equivocato culto potrebbe essere stato agevolato sia dal fatto che in Piemonte i due martiri sono oggetto di una forte devozione popolare e, soprattutto, contadina (il primo invocato contro numerose malattie, tra cui l’idrofobia e l’isterismo; il secondo, protettore dei carcerati e degli esuli, è scongiurato per tenere lontani gli animali feroci dalle stalle e dai luoghi abitati), sia dall’affinità fonetica tra i due nomi pronunciati in dialetto (“Vito” e “Vitor”). In ogni caso, se il patrono della popolazione di Morsasco è San Vito, la sua festa, “per voto antico di comunità”, cade l’8 maggio, canonicamente giorno di San Vittore.

Considerato il luogo leggermente sopraelevato su cui essa sorge, in corrispondenza di un bivio della strada che collega Morsasco a Cima Malfatta, difficilmente questa originaria chiesa campestre avrebbe potuto essere più grande o molto differente da quella attuale, ma sarebbe arduo stabilire il suo iniziale aspetto. Si può pensare che avesse un’aula di dimensioni contenute, con poche e strette aperture laterali (forse su un solo lato), oltre alle tre feritoie absidali, una copertura non voltata, nessun portico né torre campanaria.

Nel corso dei secoli successivi, la chiesa subisce vari interventi di piccola ristrutturazione, come testimonia la conformazione della tessitura muraria, con evidenti segni di saldature, aggiunte, ammorsature. In particolare, la zona absidale è interessata da uno o più grandi crolli, che hanno potuto provocare una risistemazione anche massiccia dell’edificio religioso, forse prolungato nelle sue pareti laterali: la cortina muraria interna dell’emiciclo absidale, più o meno sino all’altezza delle strette aperture monofore, è costituita da grossi e lunghi conci di pietra arenaria, disposti secondo corsi abbastanza regolari in senso orizzontale; al di sopra di questo livello, e soprattutto in corrispondenza dell’affresco centrale, il materiale e la tecnica costruttiva palesano indubbiamente un intervento edilizio posteriore (materiale di recupero, rari pezzi di mattoni con scaglie o pietre di piccola pezzatura in abbondante malta).

 

 

Tale operazione precede certamente la fine del XV secolo, epoca cui si può far risalire con buona approssimazione l’esecuzione delle raffigurazioni ad affresco ancor oggi visibili che in parte coprono la zona absidale ricostruita. Da quel che resta della loro originaria disposizione si può ipotizzare che rivestissero l’intero catino absidale, proseguendo la decorazione negli sguanci a doppia strombatura delle finestre e nella nicchia degli arredi sacri, dove permangono alcune tracce d’intonaco colorato.

L’immagine principale, per la cui realizzazione è stata tamponata l’apertura monofora centrale, rappresenta la Madonna e, presumibilmente, San Giovanni ai piedi della Croce, tra Sant’Antonio Abate ed un santo cavaliere d’incerta identificazione (San Bovo o San Vittore). Sullo sfondo si scorgono le mura turrite di Gerusalemme, mentre la base del monte Calvario, come pure l’immagine di Giovanni e il cielo sovrastante, sono scarsamente leggibili.

L’altro affresco superstite, alla sinistra dell’altare, ritrae una Madonna in trono col Bambino in braccio, la cui conservazione versa oggi in condizioni leggermente migliori. 

Di questi interessanti lacerti di una estesa decorazione d’età tardogotica, però, non si trovano che vaghi riferimenti nei documenti d’archivio reperiti.
Il primo atto d’archivio recuperato, relativo alla pieve di San Vito, è datato al 10 giugno 1585, quando il visitatore apostolico monsignor Monsiglio si trova a passare per il feudo di Morsasco, allora appartenente ai conti di Gavi. L’edificio, non più parrocchiale come un tempo, è in un tale stato di degrado che il vescovo consiglia alla comunità un urgente intervento di restauro delle mura, della pavimentazione e della copertura. È ragionevole pensare che, avendo la chiesa perso gradualmente importanza in seguito all’edificazione dell’attuale parrocchia di San Bartolomeo (edificata non prima del XVI secolo), i danni provocati dalle condizioni meteorologiche, non più arginati da una ordinaria manutenzione, l’avessero resa pressoché inservibile. Della decorazione interna non si fa alcun cenno ed anzi si raccomanda di imbiancare totalmente le murature interne.
L’assenza di un qualsiasi riferimento agli affreschi è singolare, sia perché nel corso dei secoli successivi essi vengono generalmente notati e descritti, sia in considerazione del tipo di esame cui chiese, cappelle e parrocchie vengono sottoposte dai visitatori apostolici negli anni del Concilio Tridentino. Particolarmente, poi, le zone valligiane e premontane sono oggetto delle indagini più accurate perché più soggette a contaminazioni religiose e spirituali lontane dall’ortodossia cattolica. Per questo motivo, immagini sacre dipinte o scolpite sono a maggior ragione osservate e controllate, sin nei minimi dettagli, affinché rispondano pienamente a quello che sta diventando il repertorio iconografico ufficiale della Chiesa di Roma.

E dunque, in attesa di chiarimenti che potrebbero provenire da altra documentazione e da un’analisi scientifica degli affreschi, non resta che pensare che, se nel 1585 monsignor Monsiglio non descrive il corredo figurativo della “chiesa di San Vito campestre altre volte parrochiale”, probabilmente è perché non ha potuto vederlo.

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