I MaterialiIl Mobile

Resine Epossidiche: Esempi di utilizzo

Esempi di utilizzo

Di seguito verranno descritti alcuni esempi di utilizzo delle resine epossidiche nel restauro architettonico e del mobile:

  1. Recupero di travi ammalorate
  2. Consolidamento solai seicenteschi della Maison La Tour – Verres AO
  3. Consolidamento della cuspide del Campanile Chiesa di Saint Roch’Villeneuve (AO)
  4. Le Resine epossidiche nel Restauro del mobile
Recupero di travi ammalorate

Nell’ambito del restauro ligneo, le resine epossidiche hanno principalmente due applicazioni in incollaggi particolari e nel recupero di travature ammalorate.

Come adesivi vengono usate esclusivamente per incollaggi ove le colle tradizionali non possano essere utilizzate se non ampliando con artifici macchinosi la superficie di aderenza, modificando, cioè, a volte pesantemente, la struttura dell’oggetto. Ciò permette di risolvere molti problemi nel campo della conservazione.

Queste resine hanno un grande potere di penetrazione nelle fibre del legno e, se usate correttamente, permettono di ottenere incollaggi strutturali di grande resistenza.

La più importante applicazione delle resine epossidiche nel campo del restauro ligneo, concerne il recupero di travi ammalorate.

In questo ambito le resine hanno permesso di risolvere problemi fondamentalmente di due tipi:

1. Marcescenza delle testate di travi portanti nell’inserzione nelle pareti;

2. Eccessiva flessione o debolezza di travi e travetti dovute a carico eccessivo o ad ammaloramenti, fessurazioni o rotture. (R.E.M)

Il primo caso può essere risolto o con il rifacimento totale in resina della parte ammalorata, o con la sua sostituzione con un segmento di trave della stessa tipologia. Il disegno riporta sommariamente le fasi di lavoro della prima ipotesi.

Travi ammalorate

In questo caso la casseratura viene fatta usando un essenza lignea simile a quella del trave, così da avere sulla superficie della forma finale l’impronta della venatura come da originale. Ovviamente la casseratura deve essere isolata dalla resina per evitare che si incolli ad essa; a questo scopo basta foderare il legno con pellicola di polietilene che, aderendo alle venature, permetterà che il loro negativo si imprima nella resina stessa ad imitazione delle venature del trave.

Altro sistema è quello della casseratura a perdere, cioè realizzata con uno strato di legno che diventerà la superficie stessa del nuovo tratto di trave, come una lastronatura. In questo caso, per evitare che la giunzione fra la casseratura ed il trave sia troppo vistosa, la giunzione stessa deve essere effettuata diagonalmente rispetto all’andamento della venatura; si dovrà, quindi, asportare una porzione superficiale di trave per una profondità pari allo spessore delle pareti della casseratura.

Una discreta visibilità dell’intervento è spesso accettabile, sia a livello filologico , sia estetico; comunque la resina può essere pigmentata con terre, oppure può essere colorata dopo la catalizzazione. L’ aderenza della parte ricostruita alla originaria deve essere aumentata mediante l’inserzione di una o più anime costituite da barre cilindriche o di altra forma, che possono essere in fibra di vetro, acciaio inox o titanio, a seconda dei casi, e del diametro adatto allo sforzo che dovranno sopportare, possibilmente ad aderenza maggiorata mediante zigrinatura di superficie.
Raramente la resina, in casi come questo, viene usata pura: normalmente viene mescolata con sabbia di quarzo o con segatura della stessa essenza lignea del trave. In tal modo si ottiene un beton resinoso dotato di maggior resistenza meccanica e vi sono meno pericoli di fuoriuscite e colature. Questi interventi devono essere effettuati con colate successive, la seconda quando incomincia la catalizzazione della prima, quando, cioè, la temperatura della resina incomincia ad alzarsi, così che le colate seguenti usufruiscano di una temperatura superiore ed accelerino la loro catalizzazione saldandosi intimamente alle precedenti. Si tenga presente che queste resine sono termoindurenti, quindi la loro catalizzazione viene agevolata da temperature elevate e addirittura bloccata da temperature troppo basse.
Anche in questo settore i procedimenti sono comuni soltanto nelle linee di base; ogni operatore, con l’esperienza, sviluppa tecniche personalizzate, piccoli espedienti, trucchi atti a sveltire il lavoro o migliorare i risultati. Per esempio, le casserature di solito vengono paraffinate per evitare che si incollino alla resina; io preferisco usare fogli di polietilene (quello da cucina, in rotoli e sottilissimo) poiché in questo modo non corro il rischio di ungere con la paraffina le parti lignee da conservare, inoltre queste pellicole si posano agevolmente e aderiscono molto bene al supporto che devono proteggere; a fine lavoro basta una spazzolata per eliminarle.

Il secondo disegno mostra una delle varie tecniche di sostituzione della testata ammalorata.


Tale sistema è senz altro da preferire nel caso di travature di grosse dimensioni, poiché la giunzione di due materiali dotati dello stesso coefficiente di dilatazione è indubbiamente più resistente di quella fra due materiali caratterizzati da dilatazioni diverse, anche se, nel caso della resina epossidica, la sua penetrazione nelle fibre del legno è tanto profonda da creare una intima connessione con queste ultime. Quindi, se è possibile, tale operazione va effettuata con una essenza lignea simile all’originale, ben stagionata (assolutamente non essiccata in forno, perché in tal caso avremmo un legno di giunzione con caratteristiche scadenti, troppo igroscopico, soggetto a dilatazioni e movimenti abnormi, facile preda di parassiti ed aggressioni fungine, soprattutto se esposto a condizioni ambientali non ideali) e assolutamente sana.

In questo esempio la resina epossidica viene usata, nella giunzione, unicamente con la funzione di collante, e come resina di saturazione soltanto intorno alle barre di rinforzo. Tale applicazione è possibile soltanto in presenza di legno compatto e sano, privo di fessurazioni importanti e tarlature.
I primi interventi di questo genere, per rendere più agevole l’operazione, venivano effettuati con resina in pasta; in tal modo venivano evitati pericoli di colature e fuoriuscite, si accorciavano i tempi di lavorazione, si evitavano arginature talvolta macchinose. A distanza di anni si sono riscontrati distacchi e scollature, soprattutto in situazioni di stress climatico, in presenza, cioè, di forti sbalzi di temperatura e di tasso di umidità. Usando resina liquida questi inconvenienti si attenuano grazie al grande potere di penetrazione nelle fibre del legno della resina stessa.
Va da sé che la scelta di un metodo piuttosto che di un altro, di dove praticare i tagli per l’alloggiamento delle barre, di come praticare il taglio di giuntura del tassello, ecc.. deve essere scelto di volta in volta, a seconda dei problemi da risolvere e delle condizioni fisico-chimiche dei materiali da recuperare.
L altro importante campo di applicazione delle resine epossidiche è il rinforzo di travi sottoposti a carichi eccessivi, o a periodi di eccessiva umidità, o indebolite da ammaloramenti di vario tipo, quali aggressioni fungine o parassitarie.
In questi casi la tecnica fondamentale consiste nello scavare uno o più alloggiamenti (di solito due, posti nella parte inferiore delle faccie laterali del trave) nei quali verranno poste delle barre bloccate da resina epossidica pura o in beton. Il tipo e la dimensione delle barre dovranno essere scelte in base ad accurati calcoli statici.
Mentre le barre d acciaio hanno uno scopo prettamente di rinforzo, quelle in vetroresina servono fondamentalmente ad evitare il collasso del trave in presenza di un eventuale cedimento; in questo caso il rinforzo è dato soprattutto dal beton di riempimento. Se gli alloggiamenti sono a vista, possono essere mascherati mediante una striscia di copertura della stessa essenza lignea del trave, col sistema della lastronatura.
In alcuni casi, in presenza di forti ammaloramenti del legno, le resine epossidiche, grazie al loro alto potere impregnane ed alla loro resistenza meccanica, si sono rivelate un ottimo consolidante.

Consolidamento solai seicenteschi della “Maison La Tour”  Verres AO

Il solaio in legno è in genere costituito da travi principali, a sezione circolare o rettangolare collegata talvolta da una trave trasversale rompitratta, da travi rettangolari sovrapposte alle principali, da un impalcato di tavole. Quando si rilevano solai costruiti da elementi composti, si possono riscontrare connessioni più complesse. Per ragioni estetiche, gli appoggi sono completamente chiuse nelle murature il che non permette l’ispezione per la verifica di eventuali attacchi a cui legno è sottoposto. In altri casi vi è una trave che collega tutte le testate e che è posizionata lungo la muratura. Una tipologia particolare è il solaio a cassettoni detto anchecassettonato, ottenuto per costituire un maglia, sede spesso di decorazioni pittoriche o a rilievo con legno e stucco.

Travi principali sottodimensionati, con presenza di forti flessioni e fessurazioniTravetti secondari spezzati

Le sollecitazioni presenti sono il momento flettente, il taglio, modesti sforzi di torsione nelle travi accostate ai muri. Gli sforzi normali nel caso di vincoli costituiti da appoggi scorrevoli possono essere considerati assenti. Favorevole alla loro stabilità è il collegamento delle travi all’impalcato superiore. Tale stabilità può essere modesta se affidata alla semplice chiodatura. In sintesi si può affermare che le degradazioni nei solai riguardano più che altro le singole membrature.

La parte del legno degradata può essere reintegrata con un materiale con caratteristiche il più possibile simile a quella del legno sano. Il materiale di reintegro utilizzato è costituito da un betoncino che impiega come inerte un composto di farina e trucioli di legno a consistenza differenziata. In alcuni casi è utilizzato il quarzo come materiale d inerte che permette una maggiore resistenza alle tensioni però allo stesso tempo appesantiscono il materiale.

Un conglomerato epossidico assicura un legame indissolubile con legno sano, con un ritiro da valutare assai modesto, e inoltre ha maggiore durata nel tempo, e migliora le caratteristiche del legno in termini di impermeabilità e di resistenza alla condensa. Può essere utilizzata accanto al betoncino di resina una barra di vetroresina che permette una maggiore resistenza alla trazione e migliora l’elasticità con un coefficiente di dilatazione simile al legno. Il reintegro deve essere effettuato attraverso le seguenti operazioni:

  1. vengono costruite casseformi provvisorie con le dimensioni originarie della struttura da reintegrare;
  2. nella parte interna si spalma un disarmante utile per le fasi successive;
  3. si effettua il getto del betoncino con le modalità utilizzate per la preparazione delle resine epossidiche;
  4. a presa avvenuta, si asporta la casseratura.

Questa tecnica può essere utilizzata per reintegrare una trave o un nodo, come ad esempio la testata particolarmente soggetta all’umidità proveniente dai muri, e garantisce ottimi risultati se strettamente collegata con la trave stessa. Infatti assorbe con facilità le sollecitazioni presenti nella zona restaurata e isola dalla presenza dell’umidità.

Il solaio seicentesco in larice aveva gravi patologie di degrado statico sulle travi principali con presenza di forti flessioni e fessurazioni del legno e travetti secondari fortemente ammalorati, aggrediti da parassiti e marcescenze accentuate, ed in alcuni casi, sono spezzati.

Scavo dell’alloggiamento delle barreLe barre inserite nelle sedi scavate

Il progetto di recupero, firmato dall’Arch. Alliod., contemplava in primo luogo il rinforzo dei travi principali mediante inserzione di barre in vetroresina, rifacimento di parte delle teste e loro rinforzo con barre.

In questi casi la tecnica fondamentale consiste nello scavare uno o più alloggiamenti (di solito due, posti nella parte inferiore delle facce laterali del trave) nei quali verranno inserite delle barre che verranno bloccate da resina epossidica pura o in beton. Il tipo e la dimensione delle barre dovranno essere scelte in base ad accurati calcoli statici.

La richiesta di non aumentare il carico ed avere l’ottima versatilità di accoppiamento con la resina epossidica, ha fatto ricadere la scelta sulla vetroresina fondamentalmente usata per evitare il collasso del trave nel caso di un eventuale cedimento; in questo caso l’apporto di rigidità strutturale è dato soprattutto dal beton di riempimento.

Gli alloggiamenti, se a vista, possono essere mascherati mediante una striscia di copertura della stessa essenza lignea del trave secondo il classico concetto della lastronatura.

Anche in questo caso questo è il concetto base dell’intervento, che varierà di volta in volta a seconda delle esigenze tecniche ed estetiche. (R.E.M.)

Chiesa di Saint Roch’Villeneuve (AO)
Consolidamento della cuspide del Campanile

In questo caso i travi, sottoposti a pressioni dalla copertura e dall’asta metallica di una pesante croce, sono stati rinforzati con barre inserite per circa cm. 60; le teste sono state ricostruite e saldate insieme mediante una  struttura in resina e segatura, in modo da diminuire le pericolose flessioni subite.

Chiesa di Saint RochCampanileCuspide
Preparazione dei fori di inserimento delle barre in vetroresinaBarre inserite
La cassaforme sulla cuspideRinforzo avvenuto
Le Resine epossidiche nel Restauro del mobile

Queste tecniche possono essere applicate anche nel restauro di mobili per migliorare incollaggi che sarebbero, altrimenti, precari, o per rinforzare massellature esigue sottoposte a sforzi, o per consolidare legno ammalorato per marcescenze o tarlature.

Senza un anima in vetroresina inserita nella gamba, tale tassello sarebbe risultato troppo precario; ed anche i vari incollaggi sul resto della struttura, con colle tradizionali, non avrebbero dato  affidamento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Translate »