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Restauro delle opere d’arte

Il Mobile ed il restauro delle opere d’ arte

Il restauro, inteso come metodo scientifico (e cioè come disciplina specifica volta a preservare e trasmettere al futuro, in tutta la loro integrità, le opere a carattere storico-artistico), nasce alla fine dell’Ottocento. 

Lo sviluppo teorico in questo campo, parallelo all’avanzamento delle scienze naturali e della tecnologia applicata alla conservazione e al restauro delle opere, si va via via formalizzando in una serie di testi scritti. Tali testi riflettono una seria preoccupazione per la diffusione di principi etici e di norme comportamentali di base, al fine di evitare gli interventi arbitrari e nocivi che, generalmente, venivano realizzati sulle opere d arte. Però, sino alla «Carta del Restauro 1972» formulata in Italia da Cesare Brandi, non si stabilisce una vera e propria deontologia della professione né si dettano norme a carattere obbligatorio in merito alla conservazione e al restauro delle opere d arte. Da allora la teoria della conservazione ha continuato e continua a svilupparsi grazie ai contributi di diversi teorici. Contributi che, in linea con le più recenti sperimentazioni tecnico-scientifiche, tendono a rinnovare e a completare le tesi di Brandi arricchendole di nuove riflessioni sulla realtà dell’opera intesa sia come immagine che come materia. La conservazione delle opere d arte, tra cui si include il mobile, implica tre tipi di azioni: conservazione indiretta; conservazione diretta; restauro. 

Il Restauro

Definiremo come restauro quell’inevitabile intervento diretto sui manufatti che ha come finalità il recupero del significato storico-artistico dell’opera (cioè a sua leggibilità), garantendo allo stesso tempo il recupero o il mantenimento della sua integrità fisica. Ossia ciò che Brandi ha definito come il “ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera d arte” Questa operazione, che ha carattere meno urgente rispetto all’atto conservativo, si dà ogni qual volta l’opera perde la sua espressività, quando cioè l’istanza storica e quella artistica si vedono compromesse, e pertanto si rende necessaria la “restituzione” della sua realtà di pera d arte. Il restauro implica un certo cambiamento nella fisionomia dell’opera in relazione alla sua immagine precedente, immagine che non è quella originale, ma il risultato del passare del tempo su di essa. Questo però non significa, o non dovrebbe mai significare, che il valore espressivo originale del manufatto debba essere modificato.

È evidente che l’opera viene alterata all’ aggiunta di elementi o di sostanze nuove, in forma di reintegrazioni o ricostruzioni. Però tali aggiunte (sempre che siano concepite nel più stretto rigore teorico scientifico e pratico) rendono possibile l’avvicinamento della nuova immagine a quella originaria, permettendo una lettura più esatta dell’opera, ossia aumentandone la leggibilità. Poniamo l’esempio di una console Luigi XV a cui, durante un restauro, venga aggiunto un marmo nuovo simile a quello originale perduto. Questa operazione facilita, senza dubbio, il riconoscimento stilistico del pezzo, avvicinandolo all’aspetto estetico dell’opera così come fu concepita nel suo progetto iniziale, giacché i ripiani in marmo sono un elemento caratteristico delle consoles Luigi XV.

Questa azione apporta pertanto un dato in più alla localizzazione cronologica e geografica del pezzo. Un altro esempio di azione di restauro potrebbe essere l’aggiunta di un applicazione metallica, a carattere decorativo, assente nel mobile. Questa azione potrebbe essere suggerita dall’esistenza di un altro elemento uguale presente nell’opera, o dalla presenza di documenti (foto, inventari, stampe, dipinti, disegni preparatori ecc.) che mostrino come questa era in origine. In assenza di questo tipo di dati, si potrebbe ricorrere, in ultima istanza, ad un astrazione volumetrica basata sulla conoscenza, attraverso lo studio della storia del mobile, di esemplari coevi. Anche se il restauro trova fondamento nelle esigenze estetiche e storiche dell’opera, questo non significa che debba “rinnovare” l’oggetto, né mettere in atto operazioni che presuppongano una sorta di “maquillage, di ringiovanimento o invecchiamento dei manufatti, e neanche che si debba tentare di restituirli ad un “ipotetico e indimostrabile stato primitivo”, poiché determinate alterazioni della materia sono irreversibili. Tutte queste operazioni si identificano o per lo meno si avvicinano pericolosamente alla falsificazione (quello che Umberto Baldini definisce come “atto imitativo”).

Sia il restauro sia la conservazione diretta vengono concepiti come momento finale, conseguenza pratica di un processo dì studio preliminare, in cui convergano le distinte discipline coinvolte nella scienza della conservazione. Momento che solo può e deve avere come protagonista il restauratore, che è l’unico, per la sua specifica formazione, in grado di intervenire materialmente sulle opere (cosa che conferisce a questa categoria professionale un autonomia tecnica e scientifica, senza che questo significhi il non dover ricorrere alla preziosa e necessaria collaborazione di altri professionisti).Il  restauro e la conservazione diretta sono, quindi, due operazioni dì tipo teorico pratico. In entrambe devono essere coniugate l’abilità manuale e le conoscenze di carattere teorico scientifico, ed entrambe devono essere rette da principi che tendano ad assicurare la sopravvivenza materiale dell’opera, a preservare la sua autenticità e a garantire condizioni ottimali di leggibilità. Come dice Brandi, qualsiasi intervento sarà condizionato dall’espletamento di una duplice ricerca iniziale, teorica e scientifica, per cui gli atti concreti susseguenti non sono che l’aspetto pratico del restauro: “Con ciò noi non degradiamo la pratica, anzi la solleviamo al rango stesso della teoria…” .

In ogni caso, bisogna ricordare che si deve ricorrere al restauro o alla conservazione diretta solo quando sia inevitabile per garantire il recupero della leggibilità e/o della sopravvivenza fisica dell’opera, in quanto qualsiasi manipolazione, per insignificante che sia, implica un atto traumatico. Va segnalato, d altra parte, che, anche se consideriamo necessario conoscere e differenziare i due concetti di conservazione diretta e di restauro, nella pratica la frontiera tra i due è molto difficile da discernere, e in determinati casi risulta essere praticamente inesistente.
A volte non è facile distinguere tra un atto di conservazione e uno di restauro, posto che in molte occasioni una stessa azione coincide con entrambi i casi. Così, per esempio, quando reintegriamo le crepe di una superficie impiallacciata con pezzi di piallaccio, per evitarne l’ulteriore deterioramento (ovvero che la crepa si estenda), compiamo un atto che è, in linea di principio, eminentemente conservativo, ma che, incidendo anche sull’estetica dell’opera, posto che questo implichi un mutamento nella sua immagine, può essere considerato allo stesso tempo un atto di restauro propriamente detto.Come nota a margine, segnaliamo che la conservazione indiretta è dominio dei conservatori professionisti, dalla cui competenza resta invece escluso l’intervento diretto sulla materialità dell’opera, mentre gli altri due atti, conservazione diretta e restauro, sono terreno dei restauratori

Conservazione indiretta

Questo termine si riferisce a qualsiasi atto di conservazione che non implichi un intervento diretto sull’opera, come ad esempio il controllo o la sistemazione del luogo in cui essa è collocata (habitat), fatto che include tutte le misure profilattiche volte a prevenire il deterioramento: una pulizia regolare, sia dei locali sia dei pezzi in essi custoditi; la revisione periodica di questi, al fine di scoprire per tempo un infestazione biologica o qualsiasi altra forma di degrado; il controllo dei livelli di umidità, temperatura e luce necessari alla conservazione ottimale delle opere, tanto nei locali di esposizione pubblici e privati come nei depositi o all’interno degli imballaggi. La conservazione indiretta come pratica fondamentale di manutenzione è sempre necessaria, sia per le opere che non presentano un effettivo stato di degrado, sia per quelle che sono già state soggette a un intervento diretto. In quest’ultimo caso, l’assenza di tale pratica potrebbe annullare i risultati del restauro stesso, per quanto soddisfacenti essi siano stati. Prendiamo ad esempio il caso di un mobile il cui restauro sia stato orientato a porre rimedio alla crepatura della sua superficie, provocata dai cambiamenti bruschi di temperatura. Se dopo il restauro si tornasse a sottoporre il mobile alle stesse condizioni ambientali, il risultato più probabile sarebbe il riprodursi della stessa forma di deterioramento. Pertanto, come possiamo vedere, tutte le opere necessitano di un azione continua di conservazione indiretta, che permetta di assicurare integrità ai materiali di cui sono composte.

Conservazione diretta

Implica un trattamento effettivo dell’opera con la finalità di frenare e/o attenuare il suo degrado, eliminando le cause che lo hanno motivato. Quest’azione è necessaria tanto nel caso in cui la conservazione indiretta non sia risultata sufficiente a prevenire il deterioramento, quanto in assenza di questa. Nel campo del mobile, interventi di tipo conservativo sono tra gli altri: la disinfestazione; il consolidamento del legno debilitato; L’ incollamento degli elementi distaccati; la fermatura dell’impiallacciatura sollevata ecc.

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