La Cartapesta

La Cartapesta Leccese

Fonte: Liberanete tratto dalla Tesi di laurea su “Il restauro del  Cristo in Cartapesta situato nell’Oratorio di san Francesco in  Confortino

Accademia di Belle Arti Bologna
Corso di Metodologie della Conservazione e del Restauro del Patrimonio artistico-culturale
Indirizzo di restauro dei dipinti murali e scultura applicata all’architettura
Testi di : Gabriella Brigante
Relatore: Prof. William Lambertini
Correlatore: Prof. Alfonso Panzetta

Ipotesi sulle origini della Cartapesta Leccese

Grande rinomanza ha avuto ed ha tuttora l’artigianato della cartapesta salentina o leccese. Nessuno sa con precisione quando e chi iniziò a produrla per realizzare i primi manufatti. L opera più antica giunta sino a noi, datata 1782 e firmata Pietro Surgente (1742-1827), detto mesciu Pietru te li Cristi ( nomignolo affibbiatogli proprio per la sua attività), è un S. Lorenzo esposto a Lizzanello nell’antica chiesa intitolata al Santo.

Chiesa di S. Lorenzo (Lizzanello), S. Lorenzo, P. Surgente,1782

Surgente, sicuramente, aveva appreso quest’arte nella bottega di qualcuno che già ne conosceva i segreti. Si suppone, perciò, che la cartapesta, in forme tecnicamente e stilisticamente evolute fosse praticata a Lecce già ai primi del 700.

Alcuni storici, tra i quali Nicola Vacca), non riuscendo a collocare la cartapesta in contesti più generali, hanno cercato di nobilitare la materia rintracciandone gli incunaboli ( documento stampato con la tecnologia dei caratteri mobili e realizzato tra la metà del XV secolo e l’anno 1500 incluso) ora in questa, ora in quest’altra opera seicentesca; sforzi destinati al fallimento, minati alla base, non tanto da un inconcludenza metodica, quanto da errori valutativi veri e propri, perché, a scorrere gli inventari delle istituzioni ecclesiastiche o quelli post’mortem dei salentini del XVII° secolo, non si trova il minimo accenno a statue realizzate usando questo materiale.

Anche Pietro Marti avanzò l’ ipotesi secondo la quale le origini della cartapesta leccese possono esser fatte risalire ai primordi del secolo XVII°, quando il moltiplicarsi dei templi e delle fraterie e la universalità della Compagnia di Gesù, volendo dare sviluppo al culto esterno, domandarono alle arti una miriade di lavori, dovunque e comunque concepiti.

La statuaria del Seicento leccese, però, quando non è lapidea è esclusivamente lignea e lo sarà per buona parte del secolo successivo. Il referente artistico della produzione in cartapesta era ancora Napoli, dove erano attivi diversi maestri cartapestai, che fecero giungere a Lecce i pochissimi oggetti in carta che circolavano nelle dimore. 

Secondo alcuni studiosi, soprattutto di area anglosassone, la definizione di incunabolo, chederiva dal latino incunabulum (plurale incunabula) e significa “in culla”, può essere estesa anche ad edizioni realizzate nei primi vent anni del Cinquecento, in quanto fino a quel limite cronologico i libri presentano delle caratteristiche comuni con quelli stampati nel XV secolo.

Generalmente gli incunaboli non presentano un frontespizio, ma solo una indicazione spesso approssimativa, che riporta il nome dell’autore dell’opera e un titolo nell’incipit. Il primo compare in Italia nel frontespizio. Le note tipografiche, cioè le indicazioni sulle responsabilità dello stampatore sono, quando presenti, riportate nel colophon. Questo perché i primi libri realizzati con i caratteri mobili tendevano ad imitare l’ aspetto dei libri manoscritti, dove spesso, viste le loro modalità di produzione, tali indicazioni erano del tutto superflue.

Gli incunaboli sono quindi i primi libri moderni, cioè realizzati in serie con delle modalità protoindustriali, ma circa 10.000 dei 40.000 testi noti sono costituiti da fogli sciolti, in quanto la nuova tecnologia permetteva di realizzare anche bandi, proclami, lettere di indulgenza, modulistica, etc. Al mondo vi sono circa 450.000 incunaboli (di molti testi esistono svariate copie) di cui circa un quarto si trovano in Italia. Sono considerati prodotti molto preziosi e conservati in musei e biblioteche specialistiche.

L’ incunabolo più antico è la Bibbia in latino stampata da Gutenberg nel 1453 o 1455. In realtà, il problema non è quello di individuare quando e da chi furono portati a Lecce i primi oggetti o le prime statue in cartapesta, quanto delimitare i tempi e i modi della costituzione di una tecnica autonoma capace di produrre localmente e in modo continuo oggetti del genere.

Si può ipotizzare che la cartapesta sia stata impiegata per la realizzazione degli archi eretti in onore della consorte di Ferrante Gonzaga, quando nel 1549 arrivò a Lecce, oppure nell’allestimento delle strutture effimere innalzate durante le innumerevoli feste e ricorrenze che scandivano con incredibile frequenza il tempo nella Lecce barocca.

Ma, anche in questi casi non si ha ancora una tecnica autonoma. Possiamo tuttavia affermare che a livello di domanda sociale c erano invece tutte le condizioni affinché una tecnica del genere si sviluppasse: tra le fine del XVI° e per tutto il XVII° secolo, infatti, la città diventa il centro del Mezzogiorno più ricco di insediamenti religiosi (naturalmente dopo Napoli). È immaginabile dunque l’esasperato aumento della richiesta del sacro non soltanto a livello di protezione psicologica ma anche e soprattutto nelle sue rappresentazioni visibili. .

Questa situazione, ossia la dipendenza artistica da Napoli, l’assenza e la scarsità di oggetti in cartapesta, l’ancora più ovvia assenza di una relativa tecnica e di buona parte di tutte quelle tecniche che permettevano la realizzazione degli oggetti di arte minore
in cera, stucco o gesso, vetro, avorio, corallo, ecc., sembra mutare a partire dal Settecento, anche se per tutto questo secolo la richiesta di statue lignee napoletane si mantenne sempre consistente.

Anche a causa dell’Interdetto che dal 1711 al 1719 colpì l’ intera diocesi leccese, il fenomeno dell’edilizia sacra si era notevolmente contratto, per cui la folla di maestranze composta da scultori e scalpellini cercava di articolare come meglio poteva la propria offerta professionale; non è un caso che per la prima volta ( siamo all’inizio del Settecento) Cesare Penna, insignis sculptor sia impiegato a realizzare opere di stucco. E noto infatti che questi muore nel 1704 proprio mentre attendeva agli stucchi della volta della parrocchiale di Salve dopo, probabilmente, aver stuccato quelle delle navate minori della cattedrale di Lecce.

Lo stesso Pietro Surgente veniva comunemente indicato sia come stuccatore che come statuario. D’ altra parte, concettualmente e per alcuni aspetti pratici, la tecnica della cartapesta e dello stucco si somigliano: in entrambi i casi su un supporto informe, più strati di carta o di stucco sono impiegati per raggiungere  progressivamente l’ immagine voluta, sia essa una statua o un motivo decorativo.

Storia della Cartapesta
Stucchi della volta della Chiesa Nicola Magno di Salve  (LE).

L’ esempio più clamoroso di questa affinità esecutiva e di risultati è la decorazione interna(1780 ca.) della chiesa leccese della Natività della Vergine, dove gli stucchi delle cornici, dei capitelli e dei festoni non si distinguono dalle statue in cartapesta poggiate sull’architrave, verniciate di bianco come se si trattassero di statue in gesso.

La straordinaria versatilità delle statue in cartapesta di prestarsi ad imitare materiali più nobili (argento, marmo, bronzo) sarà una delle cause del loro successo.

Ma negli ultimi decenni del Settecento il fenomeno della cartapesta si era ormai consolidato grazie sia ai decisivi interventi dei primi decenni del secolo sia alla fama raggiunta finalmente dai mastri cartapistari napoletani che nella capitale, nello stesso periodo, realizzavano statue, macchine per feste, capitelli, trofei ad uso di stucco , carri per il carnevale ecc.

A Lecce, nel medesimo periodo, non pochi scultori e scalpellini si erano riciclati nella tecnica dello stucco, diventando, in tal modo, in fieri, cartapestai a tutti gli effetti.

Storia della Cartapesta
S. Francesco della Scarpa, S. Elisabetta, attribuita a M. Manieri, sec XVIII, cm150,attualmente esposta al museo S. Castromediano , Lecce(s. c.ottimo)
Sviluppi della Cartapesta Leccese

Fondamentale fu la presenza e l’attività di Mauro Manieri, un importante architetto, autore, come ci informa egli stesso tramite il suo epistolario, di importanti opere architettoniche, come il vasto palazzo degli imperiali di Manduria e di opere in cartapesta e in creta. Egli, inoltre, si intendeva di oreficeria e argenteria, di questioni tecniche, di fusione della cera; possedeva, oltre a libri di architettura, altri testi che trattavano di teatri ed apparenze , si interessava anche di pittura ed ebbe una particolare affinità artistica con Serafino Elmo, il maggior pittore leccese del tempo.

In altri termini, Manieri era la figura artistica che era sempre mancata all’ambiente leccese: versatile, colto, direttamente aggiornato di quanto accadeva a Napoli, conscio della carenza locale delle tecniche delle arti minori e suntuarie.

Fu una specie di impresario che con una serie di maestranze specializzate, che egli stesso aggiornò tecnicamente, eseguiva oggetti e progetti che oggi definiremmo chiavi in mano . Fu, in breve, un tecnico di prestigio proprio per la sua modernità e per tutti questi motivi a lui si attribuisce il merito storico di aver introdotto, o meglio, diffuso, le tecniche alla moda e, tra queste, quella della cartapesta.

Erroneamente si è a lungo pensato che il successo della cartapesta derivi dal suo basso costo; certo esso non poteva raggiungere quello delle statue lignee o marmoree dei più apprezzati artefici napoletani ,ma il costo della carta era, in quel tempo, particolarmente elevato.

Questo successo deriva piuttosto da altri fattori: innanzitutto,all’origine, dall’essere un prodotto alla moda , versatile, di rapida esecuzione e, soprattutto, leggero.

Quest’ultima caratteristica è alla base di una poco conosciuta realizzazione, molto importante, invece, per lo sviluppo della cartapesta leccese: il controsoffitto della chiesa di S.Chiara.

 
Il recente restauro ha documentato per la prima volta come questo vasto controsoffitto (300 mq) sia stato eseguito nel 1738, interamente in cartapesta e dipinto imitando il legno. Esso è costituito da uno strato di cartapesta, ottenuta dalla macerazione della carta e poi da fogli di carta di vario genere sovrapposti e legati tra loro con colla d’ amido.

La scoperta è importante, perché permette di poter finalmente parlare dell’esistenza di un autonoma e sviluppata tecnica leccese della cartapesta non limitata esclusivamente alla statuaria.

La cronologia dell’opera permette di assegnarla al Manieri, poiché proprio per le sue  caratteristiche, i suoi contenuti tecnici e la sua versatilità, egli era in grado di realizzare quei prodotti dell’universo effimero .

Come complesso di elementi prefabbricati e montati in situ , il contosoffitto di S. Chiara ricorda da vicino un procedimento tipico del barocco leccese: l’ uso, cioè, di elementi scultorei lapidei realizzati preventivamente nelle botteghe e, successivamente, montati nei cantieri. Per ritornare, invece, nel campo dell’effimero, carta, legno, spago e amido (come collante) sono elementi che compaiono nel già ricordato epistolario del Manieri; elementi che sicuramente furono utilizzati nel carro trionfale , che nel 1739 accompagnò per le vie di Lecce la nuova statua di S. Oronzo da issare sulla colonna della piazza a lui intitolata, e il cui modello di creta cotta , era stato fornito appunto dal Manieri. A lui toccò anche il compito di periziare, insieme con Serafino Elmo, l’ arredo di palazzo Condò, dove c’ era, tra l’ altro, una macchina di carta dell’Assunta con altri santi abbasso .

Non è, dunque,casuale, che, a partire dalla metà del secolo, negli inventari emergano sempre più spesso opere in cartapesta in sostituzione di quelle in legno.

La diffusione della cartapesta, inoltre, si svolge parallelamente a quella di altri oggetti alla moda , in particolare delle cineserie , oggetti che, a partire dalla metà del secolo XVIII°, saranno alla base del decollo del rococò salentino.

A metà del Settecento, perciò, la tecnica della cartapesta si era imposta e, ben prima di Pietro Surgente ,considerato il primo cartapestaio documentato, si era formata una generazione di artefici, che aveva già diffuso in provincia la cartapesta leccese ormai completamente autonoma dal modello napoletano.

Che i cartapestai successivi continuassero ad orbitare comunque nel campo dell’effimero e dell’architettura, è testimoniato proprio dal Surgente, il quale , in una dichiarazione del 1782, coeva alla statua di S. Lorenzo, sopra citata, si definisce stucchiatore dimorante in Lecce .

Nel corso del restauro di una Madonna delle Grazie sono state rinvenute due lettere datate 1799 con le quali tal G. Mazzeo di Ugento , nel confermare e sollecitare al Surgente la fattura di una statua dell’Addolorata, prometteva allo stesso ulteriori incarichi. 

Un soggetto come quello dell’Addolorata rievoca immediatamente lo sviluppo di nuove forme di ritualità religiosa apparsa nella seconda metà del 700, quasi sempre legate alle Confraternite, che, nelle cerimonie processionali della Settimana Santa, raggiungevano forme di complessità mai viste, specialmente in ordine all’esibizione dei Misteri della Passione.

L’ affermazione di questa nuova ritualità confraternale è un altro fattore che assicurò, alla fine del 700, il successo della statuaria in cartapesta.

Sembra che le settecentesche statue delle famose processioni tarantine dell’Addolorata e dei Misteri siano state eseguite a Lecce, come nella stessa città, questa volta ad opera di G. Manzo, furono rifatte alla fine dell’800.

Ma in area taranto-brindisina è bene ricordare che già dalla metà del XVIII° secolo operava un nucleo di cartapestai come i francavillesi Pietro Paolo Pinca (1758-1832) e Vincenzo Zingaropoli (1779-1836) la cui arte fu ereditata da Nicola Distante (1837-1917), figura che chiude quest’esperienza, schiacciata dall’invadenza, incontenibile e senza confronto, dei cartapestai leccesi.

La cartapesta era diventata, economicamente parlando, estremamente concorrenziale rispetto agli altri materiali tradizionali, tanto che in questi anni si collocano operazioni ambigue, come quella di rivestire in cartapesta, ossia modernizzare , antiche statue lignee (è il caso, per esempio, del cinquecentesco Crocifisso della matrice di Galatone e del Cristo nero di Nardò).

Storia della Cartapesta
Cristo nero di Nardò

Gli sviluppi successivi della cartapesta ottocentesca potrebbero essere agevolmente seguiti attraverso le biografie dei suoi protagonisti, pervenuti ,nella seconda metà del secolo, ad una fama che, spesso, varcò i confini nazionali. Come ad esempio, Antonio Maccagnani (1809-1892) e Achille De Lucrezi (1827-1913).

Ma non si creda che gli aspetti problematici siano esauriti. Scorre, in tutta la vicenda tardottocentesca della cartapesta, un senso di continua sottovalutazione.

Infatti, mentre fuori provincia questa industria risultava essere la produzione leccese più acclamata, riscuotendo in tutte le Esposizioni nazionali e internazionali medaglie d’ oro, d’ argento, di bronzo e diplomi d onore, localmente si guarda ad essa con una certa sufficienza se non ostilità, dimostrando di non saperne valutare le potenzialità economico-occupazionali.

Ciò portò ad una compressione artificiosa del settore che, nell’assenza di un adeguato sostegno del settore pubblico, non riuscì quasi mai ad avere una solida base, per quanto per decenni fosse una delle principali risorse produttive di Lecce e senz’ altro l’unica produzione locale presente sui mercati esteri. Per il moltiplicarsi delle missioni cattoliche sul finir del secolo diciannovesimo, che elevarono di molto il numero delle chiese, e per il successo delle statue di cartapesta, i cartapestai leccesi cominciarono a moltiplicarsi a vista d occhio e con essi le loro botteghe , tanto che alla morte del De Lucrezi erano circa un centinaio gli artisti e gli artigiani che vi operavano.

Alcuni cartapestai modellavano ciascuno secondo una intuizione o un gusto personali, realizzando, in tal modo, produzioni uniche. Ma i più non riuscivano a spogliarsi della impressione primitiva e nelle loro statue era facile scorgere sempre gli stessi colori, le stesse forme stereotipate, le stesse pieghe del manto della Madonna, i Cristi sempre con le palme delle mani aperte, alle volte ricoperti con la stessa vernice lucida, la barba elegantemente arricciata, i capelli diligentemente pettinati e cadenti in anella come in una spuma bionda su gli omeri .

Molte delle nuove botteghe erano state messe su da Barbieri, ex modellatore di pupi in creta per il presepe , anche perché l’ attività di cartapestaio in quell’epoca rendeva guadagni molto significativi.

 
Storia della Cartapesta

 

Storia della Cartapesta

S. Lazzaro, S. Eligio di Noyon, attribuito ad  A. Maccagnani,
metà 800, cm 180. G.Manzo, in sede di restauro, ornò la statua con decorazioni in foglia d’ oro (s.c. discreto)
S. Antonio di Padova, Immacolata, A. De Lucrezi, fine 800, cm150 (c.s. buono) 

Ciò determinò il lento decadimento dell’artigianato artistico iniziale del Surgente, del Maccagnani, del De Lucrezi e del De Pascalis; e dette iniziò all’ultimo periodo della cartapesta leccese, che puo essere definito dell’arte industriale , durante il quale Guacci, Manzo, Carretta, combatterono tra loro la dura battaglia concorrenziale, per la divulgazione del proprio prodotto, battaglia che durò fino all’ottobre 1934 quando si concluse con un formale e temporaneo armistizio. In quel mese, infatti, essi furono solidali con i loro rappresentanti alla Seconda Settimana di Arte Sacra per il Clero (in Roma dal 7 al 14 ottobre ), durante la quale le loro statue furono oggetto di un aspra polemica diffamatoria che ancora oggi le perseguita, malgrado la Commissione Pontificia per l’ Arte Sacra non le abbia messe al bando.

Fu una battaglia combattuta con cataloghi illustrati delle opere più riuscite e più note, inserzioni pubblicitarie, pezzi giornalistici di favore, esposizione dell’opera più recente nelle vetrine dei negozi cittadini; doni al Papa a alle alte gerarchie della Chiesa e dello Stato, visite di illustri personaggi nella propria bottega ribattezzata laboratorio perché gremita d apprendisti .

In questo periodo la statuaria sacra subì anche degli attacchi da parte di intellettuali che criticavano aspramente una produzione, a loro dire, priva di qualunque criterio artistico.

I critici tra cui Giovanni Papini(1881-1956) confondevano, però la cartapesta leccese  con la tecnica del cartone romano, il cui spessore artistico-artigianale era di gran lunga inferiore.

Nel 1932 la rivista Arte Sacra di Roma svolse un inchiesta sulle condizioni dell’arte sacra. Papini rispose con una pubblicazione(1932) in cui esprimeva un parere estremamente negativo sulla cartapesta leccese e non solo: …Finché non avremo raso al suolo le manifatture che a Lecce ed altrove fabbricano le sacrileghe statuette di cartone romano, non avremo diritto di parlare di una rinascita dell’arte sacra italiana.

Enzo Rossi, in una serie di articoli che raccontavano la storia della cartapesta leccese, così gli rispondeva: “… Se Papini avesse visitato la bottega di uno statuario leccese (ci risulta che non lo abbia mai fatto), non avrebbe legato tutte le erbe ad un fascio…” . Infatti non avrebbe equivocato, scambiando la tecnica del cartone romano con la creativa tecnica della cartapesta. 


Mentre le statue in cartone romano, infatti, vengono ricavate, complete di panneggio, da forme ottenute da noti modelli, la cartapesta, pur servendosi di forme riprese da modelli plasmati con la creta dagli stessi statuari (ma soltanto per le mani, piedi e testa), subisce tutto un processo di rimodellatura, voluta dall’artista ed eseguito nella fase delle così detta focheggiatura. Il panneggio è costruito volta per volta per ogni statua, secondo le forme e le movenze che lo statuario vuole dare alla stessa.

Storia della Cartapesta
la focheggiatura

Anche il letterato Alfredo Panzini, dopo una visita alla bottega del cartapestaio leccese Giuseppe Manzo, espresse un giudizio tutt altro che negativo su questa attività: “… Che strano negozio è questo? Sono statue di carta…Dunque Santi di carta E lo statuario mi indicava risme di carta grigiastra…che poi si  mutavano in Santi.. Ho visto Santi e Sante in perfetto nudismo grigio che poi vengono accuratamente vestiti e colorati come in un istituto di bellezza….”

Negli anni 1939-1940, con lo scoppio della II guerra mondiale, la crisi del settore divenne insostenibile e nel periodo immediatamente successivo numerosi laboratori cessarono la loro attività.

A Lecce, negli ultimi anni, un po come avvenne sul finire dell’800, vi è stato un crescendo di inaugurazioni di nuove botteghe per la lavorazione e la vendita di manufatti in cartapesta Certo, sono pochissime quelle in cui si modellano statue sacre di una certa grandezza ed in cui si eseguono anche restauri. Nella maggior parte di esse, infatti,si producono natività, pastori per il presepe, altre raffigurazioni di piccole dimensioni ed oggetti di vario tipo :bambole, maschere, fiori ecc.,che permettono un guadagno più immediato. Nella provincia le raffigurazioni sacre di cartapesta sono diverse centinaia e rappresentano un patrimonio artistico-artigianale e culturale da salvaguardare e da recuperare.

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