Luoghi d'arte

Anzola dell’ Emilia


I reperti frutto di recenti scavi

Gli scavi attuati nella zona archeologica hanno riportato alla luce oggetti ornamentali composti da ceramiche o da gusci di molluschi fossili, nonchè parti di attrezzi per il lavoro dei campi, ed oggetti di uso domestico, ottenuti dalla lavorazione delle corna degli animali selvatici che in quel tempo popolavano la zona (quali cervi, ed altri ungulati…).

Anzola dell'Emilia

Ma la quantità più ampia e interessante dei reperti è costituita da migliaia di manufatti ceramici, composti da argilla lavorata a mano, essiccata e cotta con il calore del fuoco, che costituiscono il vero tesoro degli scavi anzolesi.

I pezzi ritrovati integri, o parzialmente integri, sono pochissimi, ma costituiscono una gamma talmente vasta ed eloquente degli usi etnici e tribali dell’età del Bronzo, che se attentamente studiati rappresentano un interessantissimo quadro dei costumi e delle tecniche degli anzolesi di 3.000 anni fa.

Fig 4: Oggetti rinvenuti negli scavi

I prodotti ceramici dell’epoca si dividevano essenzialmente in due grandi categorie, e ognuna rispondeva ad usi molto diversi. Vi erano i vasi destinati al consumo di cibi e bevande, ottenuti con un impasto argilloso fine, sottile, ben levigato e destinato a caratterizzare le scodelle, le tazze, le ciotole, i boccali e le altre suppellettili del desco familiare o collettivo.

Gli orci, gli orcioli, i tegami, i vasi, i pentolini e le scodelle usate per la cottura o conservazione dei cibi e delle bevande, presentavano un impasto più grossolano e superfici molto più grezze.
Una caratteristica importante, e variamente assortita, è costituita dalle decorazioni che abbellivano i vari tipi di ceramiche, differenziandosi in abbellimenti grossolani, o molto fini, a seconda dell’uso a cui era destinato il manufatto di terracotta.
Le decorazioni, inoltre, erano legate alla tradizione artigianale della tribù e potevano variare molto fra una comunità e l’altra. Le bugne (grossi rilievi posti sulla superficie esterna), parimenti ai cordoni che si intrecciavano in motivi variamenti decorativi, erano caratteristici delle ceramiche ad impasto grossolano, mentre le ceramiche più fini erano decorate con solcature (o incisioni) ottenute usando le unghie, un piccolo ciottolo o strumenti di legno od osso.
Ma la più ampia varietà di ceramiche ritrovate ad Anzola riguarda le anse delle suppellettili in terracotta (cioè le loro impugnature, o più volgarmente, i manici), che spaziano dalle forme più semplici a quelle più strane e decorative. Esse potevano esse a nastro o a nastro rialzato, così come potevano assumere le forme più varie e artisticamente complesse, con appendici o sopraelevazioni plastiche che le abbellivano e le caricavano di significati tribali attinenti alla caccia, ai bovini e al loro uso per rendere fertili i campi con l’aratura.
 l ritrovamento ad Anzola di numerosi pesi e fusaiole (in pietra e terracotta) utilizzati nei telai primitivi, congiuntamente ad aghi e pettini da telaio in osso, fanno presumere che in quella società primitiva si praticasse già la tessitura dei filati, utilizzando largamente la lana.

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Per la verità, i materiali organici come i tessuti non si ritrovano quasi mai, se non in condizioni climatiche particolari (assenza dell’ossigeno che ne favorisce la decomposizione, condizioni di grande aridità o in casi di congelamento plurimillenario), quindi occorre ricostruire in modo scientifico questo aspetto della vita primitiva.
La veste, o più propriamente il mantello, che presentiamo qui a lato, è detto abito di Muldbyerg ed è chiaramente una ricostruzione ad uso didattico. Comunque, la tessitura operata nel villaggio ritrovato ad Anzola era su telaio verticale, e la tensione dei fili che componevano la trama del futuro tessuto era ottenuta appendendo ai vari fili dei pesi di forme e misure variabili, con un tipo di intreccio e lavorazione successiva che, seppure modernizzato, si è praticato nelle campagne fino al secolo scorso.

Fig 5: Un ipotetico capo di vestiario

Così come è importante il ritrovamento delle fusaiole , che avendo un buco centrale che facilitava la bilanciatura e regolarità del fuso, testimoniano come nella manifattura delle nostre campagne la tradizione avesse radici addirittura pre-romane.

Camillo Costa, da tutti conosciuto come Torquato, è stato il primo studioso e ricercatore anzolese ad avere legato il proprio nome alle prime ricerche archeologiche nel nostro territorio.

Nato ad Anzola il 28 luglio 1854 e morto il 19 marzo 1932, fu diversissimo dal nonno e dal padre, che erano dei sagaci amministratori ed uomini d’ affari, e fin da ragazzo ebbe una spiccata sensibilità artistica e una decisa volontà di conoscere tutto ciò che riguardava il passato delle nostre terre, interessandosi con impegno e passione ai primi studi sull’archeologia.
All’ età di 16 anni si interessava già di antichità, raccogliendo frammenti di coccio e di selci, e successivamente individuò ed esplorò diverse terremare. O, quanto meno, quelle che egli definì terremare, non dimenticando che purtroppo incorse in un errore nella loro datazione e li descrisse come insediamenti dei Galli Boi.
Comunque, i reperti ritrovati lo spinsero ad intensificare le ricerche ed approfondire gli studi sui ritrovamenti di altri ricercatori dell’epoca, collaborando con essi dal 1873 (epoca che sotto l’aspetto archeologico era ancora largamente pioneristica) al 1927, in qualità di membro effettivo della Regia Deputazione di Storia Patria.

Fig 6: Camillo Costa

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