Il Manoscritto

Il Manoscritto Medievale: La tecnica

Fonte: per le Referenze sugli autori e Glossario del Manuale, vedi Appendice

Rigare/Tracciare linee prima di cominciare a scrivere era un lavoro lungo e noioso. Diversi strumenti erano utilizzati per velocizzare tale operazione. Il metodo più comune era quello di prendere le misure sulla prima pagina di un fascicolo, o sulla prima e sull’ultima, mantenendo il fascicolo aperto, e seguire una riga retta fino al margine estremo della pagina stessa

Rigare/Tracciare linee 

Le linee venivano tracciate sulle pagine dei manoscritti medievali come una guida per lo scritto. Gli scolari di oggi hanno linee tracciate per guidare la loro scrittura manuale ed infatti i loro libri di esercizi e libri mastri sono stampati già con queste linee guida. Ora, tuttavia, si considera lo scrivere lettere formali su carta segnata poco serio, come se fosse disdicevole necessitare delle linee per guidare la propria scrittura. Nel corso del Medioevo la situazione era praticamente opposta. Più il libro era di valore, meglio Rigare/Tracciare linee veniva elaborato. I manoscritti privi di questo sistema di riferimento (e ne esistevano) erano le più economiche e brutte trascrizioni fatte in casa. La maggior parte degli splendidi manoscritti miniati possedevano ampie griglie di linee guida per la scrittura. Quando venne introdotta la stampa, ed i primi acquirenti si aspettavano che i libri somigliassero ai vecchi manoscritti, i primi volumi stampati usavano riportare della false linee guida sotto ogni riga proprio perché senza di esse la scrittura appariva nuda. Vi sono esempi di questo modo di fare fino al pieno XVII secolo. Le linee tracciate su un manoscritto medievale erano direttamente proporzionali alla tipologia di testo che doveva esservi scritto. Lo scrivano poteva o Rigare/Tracciare linee per suo conto o scegliere fogli già segnati adatti alla disposizione del testo prescelta.

Il Manoscritto Medioevale
Immagine di S. Matteo, tratta dai Vangeli di Dinant del XII secolo, che mostra l’evangelista nell’atto di tracciare le righe su di un manoscritto seguendo le linee lungo una doppia pagina.

Esiste una fonte del IX secolo che fornisce istruzioni matematiche per disporre il testo sulla pagina. Supponendo, riporta la nostra fonte, che la pagina sia composta da cinque unità in altezza e quattro in larghezza, l’altezza dello spazio per scrivere dovrebbe essere pari a quattro di queste unità; i margini interni e bassi dovrebbero essere tre volte più larghi dei margini esteri e dello spazio fra le colonne (nel caso di un libro a colonne) e un terzo più largo del margine superiore. Le linee dovrebbero essere spaziate, conclude la nostra fonte, in accordo con la grandezza dei caratteri. Tuttavia, resta difficile misurare la pagina secondo i dettami di questa fonte. È, infatti, difficoltoso capire quanto un dato manoscritto abbia seguito una determinata regola proporzionale in quanto i margini esterni sono stati più volte tagliati nel corso delle successive rilegature. Comunque, in un manoscritto ben fatto l’autore sapeva che l’altezza dello scritto doveva esser uguale alla larghezza della pagina.

Fino al XII secolo la maggior parte dei manoscritti venivano segnati con un punteruolo, attraverso l’utilizzo di stili o del retro dei coltelli. Gli scrivani usavano Rigare/Tracciare linee in modo assai deciso e, spesso, provocando per sbaglio buchi nella pergamena. Intorno all’inizio del XII secolo si riscontrano le prime segnature praticate con qualcosa che assomiglia alla traccia di una matita: potrebbe essere stata grafite ma più probabilmente si trattava di piombo o addirittura argento.
Nel corso di XIII e XIV secolo esisteva probabilmente fabbricanti di Piombini che venivano fabbricati proprio per Rigare/Tracciare linee sui manoscritti.
A partire poi dal XIII secolo, in concorrenza con il Piombini, alle volte all’interno di uno stesso manoscritto, le linee potevano essere tracciate anche con penna e inchiostro. Si possono, infatti, riscontrare linee in inchiostri marroni, rossi, verdi o porpora e, qualche volta l’uso combinato di tutti questi in modo che lo scritto acquistasse una vivace apparenza. Molto frequentemente le righe che demarcano il blocco del testo proseguono fino al termine della pagina e possono essere doppie o triple in spessore. Allo stesso modo, le linee orizzontali che guidano lo scritto possono arrivare fino al margine stesso o per meglio specificare, spesso si allungano fino al marine estremo della pagina la prima e l’ultima riga, o la prima, la terza e la terzultima e l’ultima. Dunque, anche se è molto interessante notare come nei manoscritti è avvenuto il Rigare/Tracciare linee, risulta complesso definire una regola generale. 

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In alto a sinistra: uno stilo medievale. Fatto di osso con punte metalliche probabilmente del tipo usato per segnare le righe di guida per la scrittura nei manoscritti fino al XII secolo.
In alto a destra: Pagina di un Libro delle Ore francese del XV secolo con le righe tracciate in preparazione per la scrittura.
Sotto: una barra di piombo o piombino adatta a tracciare le righe nei manoscritti gotici. Un suo esempio inglese, che porta impresso il nome del suo proprietario Rogerio, potrebbe essere stato fuso nel XIII secolo.

Rigare/Tracciare linee prima di cominciare a scrivere era un lavoro lungo e noioso. Diversi strumenti erano utilizzati per velocizzare tale operazione. Il metodo più comune era quello di prendere le misure sulla prima pagina di un fascicolo, o sulla prima e sull’ultima, mantenendo il fascicolo aperto, e seguire una riga retta fino al margine estremo della pagina stessa e qui, proprio sull’estremità, marcare un punto attraverso l’intero pacco di fogli mediante una forte punzonatura. I punti così lasciati erano visibili su tutti i fogli e, semplicemente unendoli al margine interno della pagina attraverso la composizione di linee rette, si poteva replicare per l’intero fascicolo il medesimo modello di guida alla scrittura. Qualche volta questi punti venivano tracciati con colteli tanto che si ritrovano buchi triangolari. Di solito, dovevano essere fatti con un punteruolo da carpentiere, ovvero col manico di legno. La punzonatura non è sempre evidente dato che spesso viene obliterata dalla rilegatura. Se risultano visibili anche sui margini interni oltre che sugli esterni, ciò è dovuto al fatto che il Rigare/Tracciare linee è avvenuto mentre i Quaderni venivano piegati in forma di pagine. Occasionalmente si può notare (specie se avvertiti) come quasi ogni otto righe un buco risulti essere piegato o eccessivamente largo. Se ciò si dimostra essere un fenomeno regolare in diversi fascicoli, allora si ha la prova che la punzonatura è stata fatta utilizzando una sorta di corona dentata e che uno dei denti finendo fuori allineamento ha riprodotto lo stesso difetto su tutte le pagine.


Nel corso del Tardo Medioevo, linee multiple tracciate per guidare la disposizione del testo potevano venir marcate mediante l’uso di diverse penne legate insieme, come nel caso del rostro utilizzato per realizzare i pentagrammi. Se per caso queste penne subivano delle scosse o tremavano leggermente nel corso del loro tracciato lungo la pagina, il risultato della vibrazione viene ad sessere segnato esattamente nel medesimo punto in diverse linee simultaneamente, rappresentando, quindi, un altro importante indice nella ricostruzione della storia di un manoscritto.

Nel corso del XV secolo, stando a quanto è stato possibile ricostruire, ed in particolare in Italia nordorientale, veniva adoperato uno strumento specifico, la riga o righello. Questo è metodo risulta particolarmente evidente nella fattura di libri orientali ed ebraici. Una tavola di legno veniva forata ed abilmente legata alla pagina da tracciare attraverso spaghi in modo che ne risultasse un intelaiatura esattamente corrispondente a quella da riportare sulla pagina. Ancora una volta, tuttavia, appare difficile, quando si controlli un manoscritto, comprendere se il righello fosse stato utilizzato o meno. Comunque si immagini come gli spaghi si debbano intersecare quando si incrociano ad angolo retto. Devono essere cuciti uno sopra l’altro o inseriti attraverso il legno in modo da riuscire dalla parte opposta rispetto al filo che lo incrocia. Ciò si può osservare nei manoscritti in cui nessuna linea si incrocia con un’altra; le righe si interrompono improvvisamente e ricominciano qualche millimetro più in la sull’altro lato rispetto all’incrocio. Nel caso in cui il Rigare/Tracciare linee venga effettuato mediante uno stilo la traccia risulta semplicemente delineata da una parte all’altra senza alcuna soluzione di continuità. Durante l’Alto Medioevo gli scrivani senza dubbio preparavano molte delle diverse fasi di preparazione della pagina pergamena per loro conto. La produzione curtense tipica dei monasteri lasciava infatti poco spazio al lavoro di équipe o alla collaborazione con artigiani specializzati. La stessa pergamena era molto probabilmente un sotto prodotto delle cucine monastiche, e la carta era sconosciuta. Ma certamente a partire dal XIV secolo, era possibile trovare in commercio fascicoli di pergamena già pronti per la scrittura. Il Rigare/Tracciare linee proseguiva anche sotto la miniatura e sui fogli volanti in bianco. Per molti copisti, dunque, il lavoro scritturale iniziava facendo uso di fascicoli in bianco di pergamena o carta già piegati e con il Rigare/Tracciare linee completo.

la Doratura 

Diversi sono i metodi utilizzabili per applicare l’ oro alle pagine di un manoscritto e, alcune volte, queste diverse tecniche venivano usate nella realizzazione di una singola miniatura per ottenere effetti differenti. In sintesi, vi sono tre metodi basilari appropriati alla doratura dei libri. Due di questi usano fogli di oro mentre l’altro utilizza polvere d oro. Nel primo caso, un disegno viene schizzato su una superficie coperta con un tipo di colla umida e, poi, il foglio di oro viene posizionato su di esso ed infine lucidato quando è secco. Questa tecnica era usata in particolare nei primi manoscritti e con la stessa è possibile ottenere un efficace effetto luminoso come quello tipico dei primi pannelli dipinti. Nel secondo caso, viene precedentemente preparato un fondo di intonaco in modo da ottenere un risultato tridimensionale. Quando l’ applicazione e la lucidatura dell’oro sono stati completati, la miniatura appare molto spessa e la sua superficie cesellata assorbe luce da più angoli. Tale tecnica è certamente la più magnifica fra le diverse metodologie della miniatura medievale e sarà descritta nei minimi dettagli più avanti. Il terzo metodo consiste nell’applicare dell’inchiostro dorato, ottenuto mescolando polvere d oro con gomma arabica (comunemente preparato e contenuto all’interno di una conchiglia di cozza o ostrica, da cui il nome in inglese di Shell’gold ) con la penna o il pennello. Lo stesso era detto anche patina d oro o oro liquido. Al contrario dei fogli d oro veniva aggiunto dopo i colori. Fu particolarmente in voga dopo la seconda metà del XV secolo e può in qualche modo assomigliare alla glassa dorata stampata su certe odierne carte natalizie. È abbastanza curioso che tale metodo sia stato tanto comune in quanto il suo effetto può facilmente divenire barocco ed eccessivo e, inoltre, doveva essere assai più caro poiché tritare dell’oro per ottenerne polvere necessita di una maggiore quantità di materiale rispetto alla semplice applicazione di una foglia d oro; chi ha tentato di contornare i colori con l’ inchiostro dorato ha sottolineato quanto sia lungo e complicato tale metodo.
Anche la foglia d oro non è di semplice applicazione. Una delle proprietà specifiche dell’oro è che questo può essere martellato e ridotto sempre più fino senza che esso si sbricioli. Una foglia d oro è infinitamente più fina del più fino dei fogli di carta. È virtualmente senza peso e spessore. Se lasciata cadere non sembra fluttuare verso il basso. Se deposta su una superficie può incresparsi o piegarsi ma può essere steso facilmente con un fiato, divenendo piano come un lenzuolo stirato. Fino al 1200 era comparativamente poco usato eccetto che per lavori particolarmente ricchi e di lusso.

Tale metodo è abbastanza economico anche attualmente. Cennino Cennini, gioielliere e teorico dell’arte italiano del XIV secolo, diceva che quando si acquista dell’oro in fogli occorre essere sicuri che il venditore sia bravo a battere l’oro, controllare l’oro stesso e vedere se la sua superficie è opaca ed increspata, come la pergamena di capra, per poterlo valutare un buon affare. Entrambi, Cennini e il Modello di Gottinga, libro 5, descrivono ampiamente il modo di fabbricare l’intonaco per preparare la base della miniatura. Inizia con il gesso di Parigi, e mischialo con un poco di polvere di piombo bianco (meno di un terzo della quantità del gesso, secondo Cennini). La sostanza così ottenuta è molto bianca e friabile. Il manoscritto di Gottinga riprende la medesima ricetta: poi si vada a prendere dallo speziale del bolo armeno e lo si mescoli con il gesso fino a che questo stesso no assuma un colore rosso carne. Il bolo armeno, così chiamata anche se certamente proveniva anche da molte altre zone più vicine dell’Armenia, è un argilla grassa che non ha altre funzioni in questo processo se non quella di fornire il colore.



Al momento di applicare l’intonaco su di una pagina bianca, infatti, l’uso di una sostanza colorante rende questo composto maggiormente visibile; e, inoltre, se parte della doratura dovesse perdersi è sempre maglio vedere la di sotto una tonalità rosa/marrone che un bianco sfavillante.

È interessante verificare se il bolo armeno sia stato più o meno usato nella miniatura di un manoscritto. Di solito, specialmente nei manoscritti di valore, è possibile riconoscere se tale sostanza è presente al di sotto della doratura Tale fondotinta in Italia era rosa, in Germania e nelle Fiandre era marrone, A Parigi non veniva generalmente utilizzato. Questa deve essere considerata una di quelle curiose differenze che qualora venissero documentate e studiate sistematicamente potrebbero un giorno aiutare a riconoscere il luogo di produzione di un manoscritto a almeno la zona di provenienza del miniaturista. Tuttavia, per tornare alla ricetta, ora abbiamo una sostanza a base di gesso e piombo, più o meno colorata che sia. Ora occorre aggiungere dello zucchero. Questo o il miele agivano come sgrassanti, ovvero eliminavano l’umidità ed è importante che il preparato resti umido il più a lungo possibile. La sostanza poteva essere seccata in piccole palline rosa ed essere conservata in questa forma. Ogni qualvolta fosse stata necessaria, poi, si poteva prendere una di queste palline e frantumarla mischiandola con dell’acqua pulita e chiara d uovo, su una superficie piana, probabilmente di pietra, fino a che non diventasse fluida e senza bolle. L albume si otteneva raccogliendo il liquido appiccicoso che si forma sul fondo di una recipiente in cui vengono sbattute le chiara d uovo, specialmente se si aggiunge una tazza di acqua fredda.
Questo è l’intonaco, una mistura che necessita di essere girata spesso, pronta per l’uso. Veniva applicata con una penna d oca e non con un pennello. La velocità è importante in quanto occorre passarla con tocco lieve per non danneggiare la pergamena con la punta. Il liquido viene immesso nel centro della parte da dorare e velocemente ed attentamente sparsa negli angoli e in tutte le parti della pagina del manoscritto evidenziate dai contorni del bozzetto, intorno ai margini delle iniziali, sulle foglie di edera, delle aureole, punteggiato sulla quadrettatura degli sfondi e così via. Presumibilmente il miniaturista medievale, diversamente dal copista, lavorava su un tavolo piatto piuttosto che su ripiano inclinato dal momento che l’intonaco viene ammonticchiato e tenuto insieme dalla tensione della superficie e, in caso contrario, ovvero su un piano inclinato tenderebbe a scivolare verso il basso. Un tempo umido e la rugiada della mattina sono ritenute essere eventi favorevoli all’applicazione della doratura. Un leggerissimo pezzo di foglio dorato viene preso per mezzo di un finissimo pennelletto, detto punta da doratura, e lasciato cadere sul morbido cuscino per la doratura dove può essere appiattito con un semplice soffio e tagliato con un coltello acuminato nella forma di strisciette o in altre semplici forme prima di essere ripreso col pennelletto. Respirando pesantemente sulla pagina de manoscritto, il miniaturista mantiene un giusto tasso di umidità permettendo all’intonaco di mantenersi appiccicoso; così il foglio d oro può venire posizionato in modo da sovrapporsi ai margini della forma di intonaco. Come si avvicina alla pagina il foglio d oro sembra saltare per suo conto nella giusta posizione. Viene poi coperto immediatamente con un pezzo di seta e pressato con forza col pollice.

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In questa miniatura incompleta venne eseguita la doratura ma la colorazione non fu mai completata. La scena illustra la persecuzione dell’Anticristo. Apocalisse di Abingdon, Inghilterra circa 1270-75.

La trama della seta si imprime così sulla superficie dell’oro ma ciò resta senza conseguenze in quanto tale effetto può venir facilmente rimosso. A questo punto, il miniaturista inizia la fase di lucidatura mediante uno strumento che tradizionalmente era fatto con un dente di cane montato su un manico; tuttavia Cennini riporta che il dente di un leone, lupo, gatto o di qualsiasi altro carnivoro è adatto all’uopo e descrive anche come sia possibile fabbricare uno strumento di lucidatura usando dell’ematite. Lo strumento per lucidare viene passato sopra ed intorno ai contorni del foglio d oro ed anche negli interstizi presso i margini dello stesso.

 A causa dello strofinamento, l’oro che ricopriva in abbondanza i margini del bozzetto intonacato, si stacca e cade via; queste infinitesime particelle d oro possono essere spazzolate via o raccolte.

Alcuni artigiani contemporanei asseriscono, sulla base della loro esperienza di bottega, che molte delle decorazioni dei manoscritti medievali furono effettuate utilizzando una penna piuttosto che un pennello. Ciò sembra plausibile soprattutto per le iniziali decorate la parte interna delle quali era monocromatica senza alcun innalzamento. Qualora la tinta sbiadisca diviene possibile riconoscere i tratti della penna. Le istruzioni di Gottinga suggeriscono la possibile utilizzazione di entrambi i metodi: dovrai mettere tutti i colori, ombreggiare e schiarire, con un pennello tranne che negli sfondi quadrettai per i quali andrà usata la penna e solo per schiarirli si adopererà un pennello, altrimenti, tutte le decorazioni floreali, grandi o piccole che siano, devono essere fatte a pennello. Vi sono istruzioni del XVI secolo su come fabbricare un pennello per le miniature. Secondo tale fonte occorre usare i peli della coda di scoiattolo o ermellino arrotolati insieme mediante della carta ed inseriti nella parte finale del fusto di una piuma. Quindi potrebbe anche essere che le immagini di miniaturisti che sembrano avere in mano una penna d oca in realtà stiano tenendo uno di questi pennelli.  

 la Rilegatura

La rilegatura è l’ultimo stadio nella produzione di un manoscritto. Un libro non poteva dirsi, infatti, completato e pronto per essere immesso sul mercato una volta temiate le miniature. Era, infatti, costituito ancora da fascicoli sciolti, alcuni dei quali, probabilmente, smembrati in fogli separati. Tutto ciò andava raccolto insieme, messo in ordine, e tenuto insieme da una qualche legatura funzionale. Nel Tardo Medioevo tale compito veniva svolto dal cartolaio o rivenditore di libri e, quando è possibile identificare un rilegatore commerciale, questo spesso appare essere proprio un cartolaio.

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Struttura interna della rilegatura: interno posteriore. Parabole Salmonis ed altri testi. Inghilterra, tardo XII o primo XIII sec.

Questa era, infatti, la persona che aveva preso gli ordini per i manoscritti da pubblicarsi e aveva poi distribuito i fascicoli fra i miniaturisti della città. A lui spettava, poi, il compito di ritirare le diverse parti del libro, ripulirle (cancellando le istruzioni e le macchie lasciate nel corso delle varie fasi della lavorazione), assemblarli in sequenza in accordo alle segnature o alla testatine ed infine rilegare il volume per il cliente. Per l’Alto Medioevo, quando il libro era produzione quasi esclusiva dell’ambito monastico, la rilegatura era fatta da uno qualsiasi dei membri della comunità che fosse in grado di portarla a compimento. Frequentemente i cataloghi delle biblioteche monastiche presentano uno o più scaffali con libri non rilegati, qualche volta nella forma di in quaternis, il che presumibilmente significa che essi erano tenuti insieme mediante qualche tipo di involucro più che trovarsi nella forma vera e propria di quaderni sciolti. 

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L’ attacatura dei bifolia fra loro.

Dal primo momento in cui si cominciò a mettere insieme i manoscritti nelle forma di libri piuttosto che i quella di rotoli o tavolette, i vari fascicoli venivano tenuti insieme attraverso una cucitura sulla piega centrale. Il libro è costituito da una serie di fascicoli uniti l’uno all’altro con le cuciture del primo e dell’ultimo di questi congiunti alle copertine. Le rilegature dei libri greci ed orientali erano essenzialmente di questo tipo così come quelle dei primi libri monastici occidentali.

Nel corso dell’intero Medioevo, tuttavia, i manoscritti venivano cuciti utilizzando fascette, cinghie o spaghi unite orizzontalmente ad angolo retto al dorso. I punti di ogni fascicolo passano attraverso la piegatura centrale e intorno alla fascetta stessa, di nuovo dentro al piega centrale e fuori ancora intorno alla fascetta, di nuovo dentro la piegatura e così via. Il seguente fascicolo sarà lo stesso e così fino a che tutti i fascicoli no saranno attaccati in modo sicuro alla cinghia posta lungo il loro dorso.

A partire da almeno il XII secolo, tuttavia, la cucitura veniva effettuata mediante l’aiuto di un telaio. Questo è un congegno di forma simile ad un cancello, posto in posizione verticale sul banco di lavoro. Le fascette che formano come delle colonne di resistenza per il dorso, sono stese verticalmente sul telaio, essendo sospese fra la cima e il fondo del telaio stesso. Il primo fascicolo è posizionato sul banco di lavoro con il suo dorso contro queste fascette tese e viene cucito al suo centro ed intorno alle fascette stesse.

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 Il fascicolo successivo viene disposto sulla sommità del precedente, tenuto pressato e steso da un blocco di legno in modo che non si perda l’allineamento, e viene sottoposto al medesimo trattamento ed in questo modo si prosegue fino a che il libro non è assicurato con il suo dorso al telaio. La cucitura è l’operazione maggiormente lunga nella rilegatura.

I metodi per cucire i fascicoli variavano da secolo a secolo così come da luogo a luogo, qualche volta col punto strega, altre con Segnatura, altre andando intorno alla fascette una o più volte, o attraverso fessure praticate nelle fascette stesse. Una volta completata la cucitura, le fascette potevano essere unite da entrambi lati del telaio. Il libro ora può apparire lento ed i fascicoli possono ruotare su loro stessi; a ciò si poteva porre rimedio rendendo il tutto più stretto e sicuro (come avveniva nel Tardo Medioevo) cucendo dei capitelli alla sommità ed alla fondo del dorso.

La Cassa dei manoscritti medioevali era generalmente di legno. La quercia era comunemente usata in Inghilterra e Francia, mentre pino e faggio i utilizzavano in Italia e così i manoscritti rilegati in Italia erano più leggeri di quelli nordeuropei. Qualche volta i Piatti erano di pelle. L uso del cartone (un materiale fatto con scarti di carta o pergamena misti a colla) era assai poco frequente nel Medioevo e iniziò a diffondersi con una certa costanza a partire dal tardo XIV secolo specie in Europa meridionale, in Spagna ed in Italia, a Bologna, Milano ed infine a Padova. I Piatti della copertina, di qualsiasi materiale fossero fatti, venivano squadrati nella forma del libro. Nei primi manoscritti erano tagliati a filo con i margini delle pagine; a partire dal 1200 iniziarono ad eccedere i margini ed anche ad essere ripiegati su di essi. Le fascette sul retro dei fascicoli cuciti venivano allacciati alla Cassa. Spesso alcuni fogli volanti erano aggiunti alla fine del libro (ciò spiega il costo per l’extra vello citato nei conti dei rilegatori), alcune volte riusando fogli scartati e rovinati di vecchi manoscritti. Le fascette potevano essere allacciate ai Piatti mediante vari metodi a seconda del tempo e del luogo, ma la metodologia di base era sempre la stessa. Le estremità delle fascette venivano assicurate ai Piatti attraverso martellatura di pioli di legno o, qualche volta in Italia, chiodi. A questo punto il manoscritto è inserito nella Cassa pronto per essere usato. Di solito, comunque, l’esterno del libro poteva venir ricoperto di pelle conciata e colorata.

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Struttura della rilegatura esterna. Copertina del davanti con stampi in cortina e copertina di pelle conciata cesellata con la rappresentazione della Vergine e il Bambino Gesù. Pietro Comestorio, Historia Scholastica, 1451.

Su alcuni libri di epoca carolingia le rilegature avevano semplici disegni impressi sulla pelle. In seguito si sviluppo una moda per l’ornamentazione a stampo delle rilegature nella Francia settentrionale a partire dal tardo secolo XII, e rilegature decorate mediante cesellatura (anche se poco comuni) si incontrano a cominciare dal XIII e XIV secolo. Con la metà del XV secolo, invece, tale pratica divenne assai diffusa. A partire da questo momento, i lati delle rilegature furono frequentemente decorate con serie di stampi di animali e piante appositamente preparate. Per far ciò si usava uno strumento metallico con manico in legno. Questo strumento veniva scaldato e, di seguito, il rilegatore lo prendeva con entrambe le mani e lo posizionava sulla rilegatura pressandovelo sopra con forza, usando il peso del corpo, e facendolo ruotare da una parte all’altra; l’operazione andava eseguita velocemente risollevando rapidamente lo strumento. Non era necessaria una enorme pressione per lasciare uno impressa una traccia sufficientemente nitida.

Queste potevano risultare in file, a reticolo o in altri modi. La parte esterna della rilegatura poteva essere fornita di punzoni di metallo o pezzi per gli angoli e, di solito, con qualche tipo fibbia per mantenere il libro chiuso. La pergamena quando sia stata piegata, non importa quanto attentamente, tende a incresparsi in funzione delle variazioni di umidità e temperatura se non è tenuta ferma dalla delicata pressione di una fibbia. I libri medievali erano spesso anche infilati in involucri sciolti, dette Camicie/Sopracopertine, che avvolgevano l’esterno proteggendolo dalla polvere. Molto più frequentemente di quanto la sopravvivenza delle rilegature medievali possa suggerire, i manoscritti erano ricoperti da tessuto e broccati (materiali estremamente deperibili) o con pietre preziose e gioielli (che con molta probabilità so stati rimossi più o meno legittimamente) o con smalti e pitture. Gli inventari medievali sovente descrivono le rilegature, dal momento che la parte esterna di un libro rappresenta la traccia più semplice per riconoscerlo, e danno l’impressione che le biblioteche private e ben fornite dei ricchi signori o i tesori delle grandi chiese fossero pieni di libri con rilegature multicolori ed elaborate. L arte rappresentata in questi lavori ci porta, però, fuori dalla bottega del cartolaio e, invece, dentro quella dello smaltatore o del gioielliere.

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