I Materiali

Solvent Gels


La “controversia” sui Solvent Gels.

Anche queste preparazioni, fin dalla loro comparsa, hanno attratto con 12,16 18 sensi e critiche.i,9,Queste ultime, in particolare, riguardano la presenza del componente Ethomeen all’interno delle formulazioni: essendo non volatile, la sua forte ritenzione negli strati interni potrebbe rappresentare un fattore di degrado per l’opera trattata. Alla base di queste preoccupazioni c è il dubbio che l’Ethomeen sia efficacemente “legato” all’addensante: trovandosi in forma libera dentro il gel potrebbe dunque diffondere sotto la superficie.
Una recente tesi di diploma al Vittoria and Albert Museum di Londra” ha esaminato criticamente la letteratura pubblicata, arrivando alla conclusione che molte di queste critiche sembrano in realtà essere basate su un intransigente presa di posizione piuttosto che su dati di fatto.

Da tempo Wolbers stesso proponeva uno studio applicativo approfondito per quantificare l’eventuale presenza di residui dopo il trattamento con un Solvent Gel di una superficie dipinta. Nel novembre 1998 finalmente questo desiderio si è concretizzato in California nel progetto “Surface Cleaning Systems Gels” presso il Getty Conservation Institute (GCI) di Los Angeles, con la collaborazione delle seguenti istituzioni: The University of Delaware, The Winterthur Museum, The Getty Museum, The California State University at Northridge.
Lo studio applicativo consisteva nel trattare con un Solvent Gel composto di Alcool Isopropilico e Alcool Benzilico la superficie di un dipinto vandalizzato. Il gel era “marcato isotopicamente”, cioè preparato con componenti radioattivi (4C e H).
Attraverso precise misure della radioattività rimossa (dai tamponcini di pulitura) e di quella residua (sulla superficie alla fine del trattamento) si poteva stabilire con grande precisione la quantità di residui lasciati.` Per verificare se anche la manualità dell’operatore avesse importanza nel determinare la quantità di residui, operatori da paesi diversi furono invitati a partecipare. Durante una visita in Italia, nella primavera del 98, il direttore del laboratorio scientifico del Getty invitò rappresentanti dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma e dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Il primo istituto declinò l’invito, mentre il secondo aderì con la partecipazione di Roberto Bellucci, capo restauratore del settore dipinti, e gentilmente estese l’invito anche ad uno degli scriventi, Paolo Cremonesi. Gli altri partecipanti, oltre a Wolbers stesso e al personale del GCI, erano: Aviva Burnstock dal Courtauld Institute of Art in Londra, Johann Koller dal Doerner Institut in Monaco, Katharina Walch’dal Bayerisches Landesamt fiir Denkmalpflege in Monaco, Joe Fronek dal Los Angeles County Museum in Los Angeles, Mark Leonard dal Getty Museum in Los Angeles, e Chris Stavroudis restauratore privato in Los Angeles.
Il risultato della lunga e complessa analisi dei tamponcini utilizzati e di frammenti delle superfici pulite sarà presentato ufficialmente nel 18° Congresso Internazionale” Tradition and Innovation: Advances in Conservation” organizzato dall’IIC (International Institute for Conservation) in Melbourne, il prossimo settembre 2000.2 Senza anticipare questi risultati, ci limitiamo a dire che la quantità di residui trovati è molto bassa, a conferma dell’ottima azione superficiale di queste preparazioni. Qui vogliamo solo fare alcune considerazioni.
In primo luogo constatiamo ancora una volta l’assenza dell’Istituto Centrale. Assenza tanto più grave in quanto alcuni rappresentanti di questa Istituzione si arrogano comunque il diritto di criticare questi metodi con supposta “cognizione di causa”, ma senza essere in grado di avvalorare queste critiche con alcuno studio applicativo.
In secondo luogo vogliamo far notare l’onestà e l’integrità dell’ideatore di questo lavoro, lo stesso Wolbers. Pensando al nostro Paese ci rendiamo conto quanto sarebbe difficile trovare quest’imparzialità in molti dei nostri “scienziati” nei confronti di loro “creature”…
In terzo luogo, auspichiamo che questo studio abbia un seguito, e che, finalmente si prendano in considerazione anche i tradizionali solventi e reagenti per la pulitura. Che si quantifichino, con la stessa implacabile scientificità, solventi quali la Dimetilformammide e la Butilammina: solventi il cui uso è ampiamente avvallato dalla tradizione, nonostante si conosca bene l’alto rischio per l’integrità strutturale dell’opera e per la salute dell’operatore.

Conclusioni

Tra i possibili reagenti utilizzabili per la pulitura di superfici policrome, i Solvent Gels si distinguono per varie ragioni: per essere stati pensati e formulati in relazione all’uso specifico della pulitura di dipinti, per la loro efficacia e semplicità di utilizzo, e per la loro marcata azione superficiale.
Pur essendo di recente introduzione, hanno già alle loro spalle più studi scientifici di qualunque altra tradizionale controparte. E questi studi dicono che la quantità di residui è trascurabile.
Sono stati espressamente formulati avendo in mente il requisito di massimizzare l’azione superficiale, e gli studi condotti dimostrano che quest’obiettivo è stato di fatto raggiunto. Di conseguenza questi reagenti possono occupare a pieno diritto un posto accanto ai più tradizionali metodi di pulitura di beni artistici. Con la consapevolezza di questa “pari dignità”, questi reagenti sono correntemente utilizzati presso Istituzioni quali l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, varie Soprintendenze, scuole e centri di formazione, e numerosi laboratori privati.

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