Restauro pittorico

Pulitura dei dipinti: metodi di ieri e di oggi

Materiali innovativi

Nel 900 vi sono state notevoli innovazioni sul piano tecnico dalle ricerche di materiali a facile reversibilità e innocui per l’opera d’arte ad una notevole quantità di nuovi prodotti , come le resine artificiali viniliche e acriliche derivate per polimerizzazione .

L’opportunità o meno del loro utilizzo e anche della loro affidabilità ha scatenato numerose controversie fra i restauratori .

Tuttavia si può affermare che non esiste, comunque, un metodo giusto o sbagliato nel campo della conservazione e del restauro dei dipinti, le tecniche e i metodi classici sono validi quanto quelli nuovi, forse anche di più in quanto ormai collaudati da diversi decenni.

I nuovi prodotti, come le resine acriliche , non sono invece completamente sicuri in quanto non ci siano ancora sufficienti anni di sperimentazione per poter stabilire la loro sicurezza.

Basti pensare al Paraloid, usato in diversi interventi , considerato sicuro e alla fine invece rivelatosi nocivo .

Nota positiva è il loro risolversi, seppur temporaneamente con la stesura di regole, o meglio norme, per l’operare del restauratore .

Ne è esempio la ” Carta del Restauro “ redatta nel 1972 che stabilisce i principi fondamentali , stesa alla conclusione di numerosi convegni sulla tutela dei beni artistici e culturali .

La pulitura: nozioni di base

La pulitura è fra le varie operazioni di restauro, quella che più di ogni altra è stata tenuta in considerazione per le suggestive e straordinarie implicazioni che comporta in quanto le viene richiesto di modificare l’aspetto estetico di una immagine.

E’ o dovrebbe essere, l’unico intervento irreversibile che un restauratore esegue su un quadro una volta eliminato lo sporco, una vernice ossidata oppure dei ritocchi eseguiti in precedenti restauri questi non si possono più ripristinare.

Questo tipo di intervento ha un carattere quasi sempre esclusivamente estetico, anche se talvolta è necessario come preliminare per fissaggi e foderature.

L’operazione di pulitura consiste nella rimozione di depositi superficiali di sporco e delle vernici che col tempo si sono ossidate, ossia opacizzate, inscurite o ingiallite , riportando i colori a dei valori di luminosità simili a quelli originali.

Fra tutti gli interventi di restauro la pulitura è quello che si occupa degli strati più superficiali come ben si evidenzia nella figura qui sotto riportata.

che, indipendentemente dal supporto, hanno sempre la medesima funzione. Questi sono la preparazione, la pellicola pittorica e la vernice.

Cause di degrado del dipinto

L’alterazione di uno di questi strati può dipendere da qualcosa che avviene sul supporto o su un altro strato.

Ad esempio la decoesione della preparazione, dovuta all’originaria debolezza dei leganti , a fattori ambientali o a vizi di tecnica, porta al sollevamento di parti del colore o, in casi gravi, addirittura alla sua polverizzazione rendendo necessario un tempestivo intervento di consolidamento per evitare la perdita di parti consistenti del colore.

In alcuni casi di non grave entità porta all’assunzione di un colorito opaco o biancastro da parte della pellicola pittorica.

Gli interventi di pulitura si rendono necessari quando si verifichino alterazioni al colore della pigmentazione o della vernice che impediscano la visione corretta dell’opera .

I danni principali in questo senso sono dovuti all’alterazione dei materiali costituenti la pellicola pittorica: pigmenti e leganti.

Un caso frequente è il cambiamento che subiscono per loro natura i pigmenti, al quale è quasi impossibile porre rimedio senza alterare l’originalità dell’opera d’arte.

Questo tipo di alterazioni dipendono dall’instabilità del pigmento nei confronti di diversi fattori ambientali, ad esempio per l’esposizione prolungata alla luce il cinabro e il verde rame tendono ad imbrunirsi oppure a contatto con l’aria in assenza di vernici protettive la biacca tende alla formazione di una patina bruna o nera oppure casi in cui la stessa composizione chimica dei pigmenti, stesi vicini o mescolati insieme, può causare cambiamenti nella loro colorazione: ad esempio gli ossidi di piombo reagendo con pigmenti contenenti zolfo si anneriscono.

Un altro caso è l’ingiallimento naturale del legante che normalmente viene inglobato nel concetto di patina e quindi conservato. Tuttavia vi sono dei casi in cui lo smoderato utilizzo di oli seccativi, resine o grassi animali causano oscuramenti tali da non consentire più una completa visione dell’opera d’arte o addirittura screpolamenti della pellicola pittorica.

Vi sono inoltre alterazioni degli strati che non consentono alcun genere di intervento per il loro rimedio. Sono i casi di accresciuta trasparenza, nei quali una serie di fattori imputabili al naturale invecchiamento del colore portano in evidenza le fibre costituenti il supporto, legno o tela che sia, pentimenti del pittore o il colore la preparazione pittorica.

Il concetto di Patina

Appare chiaro da quanto detto sopra che un aspetto importante che riguarda la pulitura è il concetto di patina su cui si scontrano due scuole di pensiero differenti. Una è quella riconoscibile nelle idee di Brandi che considera la patina come la testimonianza del tempo trascorso e quindi la naturale trasformazione dei materiali pittorici nel tempo, e come tale non va eliminata d’altra scuola di pensiero si scontra nettamente con tale ideologia considerando la patina come il deposito di sporcizia e altri materiali estranei al dipinto o nei casi più estremi come “il fantasma dell’intenzione dell’artista che guida il restauratore” e come tale deve essere eliminata. In questo caso ben si comprende come la pulitura rappresenti uno degli interventi più rischiosi che determina la fruibilità futura dell’opera d’arte.

I principali inconvenienti che si presentano con un intervento di pulitura sono due : il primo è la rimozione di una velatura o di un particolare eseguito con una tecnica differente , meno resistente, che danneggia si il quadro, ma se rispetta il colore nelle sue componenti manterrà un aspetto coerente con la sua qualità di dipinto antico , il secondo è quello dell’ impoverimento del colore , un danno che può presentarsi anche senza la rimozione del pigmento.

Un’ esempio è l’imbiancamento che si presenta dopo una pulitura . Questo consiste nella compromissione dell’ integrità della pellicola pittorica, tramite l’azione del solvente che aggredisce il legante, nella quale si producono una miriade di piccolissimi crateri che ne causano l’imbianchimento trattenendo l’aria.

Questo accade quando i solventi non si limitano ad agire in superficie, ma vanno più in profondità aggredendo i prodotti di ossidazione del legante stesso. Molto frequente è anche trasformare o far scomparire il colore di un quadro . Ad esempio durante la pulitura di un panneggio bianco bisogna tener presente che questo non rappresenta un tessuto lavato in lavatrice con i nostri ben reclamizzati detersivi.

Il risultato non dovrà essere più bianco non si può, ma dovrà rimanere quel leggero ingiallimento che corrispondeva al giallo dell’epoca . Bisogna tener presente che la pittura fino al 1800 si compiaceva di toni caldi , bruni e di ingiallimenti , la sua morbidezza vive degli essudati degli stessi leganti, di ombre leggere , di velature e fumi.

Quando ci si trova davanti ad un quadro da pulire , quindi è importante non generalizzare mai sui materiali o i metodi di intervento da mettere in opera perché si potrebbero involontariamente portare via queste caratteristiche .

Un solvente che da buoni risultati su un dipinto, non vuol dire che abbia gli stessi effetti se si utilizzano su un altro, in quanto i materiali costituenti i due quadri possono essere simili ma non identici.

Prodotti per la pulitura

Oltre alle tecniche pittoriche un restauratore deve conoscere le principali categorie nelle quali si suddividono i prodotti di pulitura:

Solventi che portano i materiali resinificati (ad esempio le vernici) ad uno stato colloidale che ne facilita la rimozione .

Reagenti (enzimi ),i tensioattivi e i saponi resinosi che aggrediscono e rompono i legami molecolari degli strati che si vogliono eliminare.
Nei manuali dell’800 sono numerosi i riferimenti all’utilizzo di una sostanza come la saliva ritenuta innocua e utile per la rimozione di strati superficiali la quale, ormai si sa, contiene enzimi, sostanze inorganiche e d è leggermente acida. In alcuni casi viene utilizzata ancor oggi, ma spesso la sua applicazione non viene dichiarata dai restauratori.
Un posto di riguardo fra i solventi era riservato anche all’urina la quale contiene anch’essa enzimi, una piccola percentuale di sostanze acide ed in più dell’ ammoniaca.
Ris Paquot, nel suo manuale, da chiare indicazioni sul modo di agire di questi prodotti e sul loro utilizzo. Come primo intervento di pulitura su un dipinto, che sia su tela o tavola, propone un generale asporto delle impurità tramite l’ utilizzo dell’ urina dicendo che “…si adatta perfettamente ad un primo lavaggio, con un dolce calore non tarda ad ammorbidire i corpi estranei che aderiscono alla superficie del dipinto”,
consigliandone eventualmente la sostituzione con la saliva ”la quale possiede anch’essa quel leggero calore che consente di ammorbidire lo sporco” e inoltre ha la proprietà di dissolvere le materie grasse, grazie ad una flebile presenza di acido fra i suoi costituenti.

La pulitura: definizione dei solventi

Viene definito solvente un composto che permette di portare una sostanza, detta soluto, in soluzione.
Più comunemente viene inteso con solvente una sostanza liquida in grado di sciogliere una o più sostanze solide o liquide. Perché sia possibile una soluzione i legami presenti fra le molecole del soluto e fra quelle del solvente devono essere più deboli di quelli che si formerebbero fra solvente e soluto.
Risulta quindi più semplice la combinazione fra molecole dove sono presenti dei doppi legami per spezzare i quali è necessaria meno energia, non essendo indispensabile spezzare una molecola intera come accadrebbe con un singolo legame. Il problema della solubilità è piuttosto complesso, per la difficoltà di individuazione di un giusto solvente.

Il triangolo delle solubilità di Teas

Per razionalizzarlo sono state elaborate diverse teorie che hanno portato all’identificazione di alcuni modelli interpretativi, tra questi uno dei più conosciuti è il triangolo delle solubilità introdotto da Teas alla fine degli anni ’60 .
Per comprendere la sua funzione bisogna aver presenti alcuni parametri espressi in termini percentuali, quindi la loro somma darà sempre cento, che influenzano la forza dei legami molecolari interessati dal processo di solubilizzazione.
Questi parametri sono: forze di dispersione (apolari) forze polari e forze di legame a idrogeno.
Le forze polari e quelle del legame ad idrogeno sono le più forti in quanto nella molecola sono presenti atomi di diversa elettro negatività legati fra loro che creano dei gruppi polari ben distinti ed esercitano forze di attivazione su altre molecole, classico esempio di questo legame è quello dell’ acqua (il legame ad idrogeno è il più forte in assoluto) in cui l’idrogeno di una molecola d’acqua “attira” l’ossigeno di un’altra molecola e così via fino a mantenere lo stato liquido dell’acqua , fino ai 100° centigradi.
Le forze apolari sono invece caratterizzate dal continuo movimento delle cariche negative il che rende il loro legame più debole rispetto a quello delle cariche polari.

Triangolo di Teas

Una corretta rappresentazione grafica dovrà tener conto simultaneamente delle tre grandezze caratterizzanti il solvente per questo motivo è stato scelto un triangolo, ogni lato del quale rappresenta i valori da 0 a 100 di uno dei tre parametri.
Le forze apolari sono rappresentate alla base, quelle di tipo polare al lato destro e quelle del legame di idrogeno al lato sinistro.
Ogni solvente viene individuato all’interno del triangolo tramite l’intersezione delle tre coordinate che lo identificano. Verso il vertice all’aumentare della polarità si trovano i chetoni (acetone), mentre spostandosi verso l’ angolo in basso a sinistra si trovano elementi nei quali il legame ad idrogeno si fa più forte (alcoli). Quando ci si trova a dover identificare sul triangolo le forze di una miscela binaria, cioè composta da due singoli elementi, sarà sufficiente identificare la sua posizione sulla retta che unisce i due solventi sul triangolo.


Quando ci si trova di fronte a miscele composte da più di due elementi la rappresentazione grafica risulta complessa ed è più semplice ricorrere a dei calcoli: ciascuno dei parametri di solubilità di ogni solvente presente nella miscela viene moltiplicato per la sua percentuale di composizione i risultati sommati daranno i parametri della miscela, come meglio esemplificato nella dimostrazione sotto elencata:


Va sottolineato comunque, che il triangolo della solubilità non prende in considerazione elementi quali le proteine e i tensioattivi .

Un altro modello elaborato è il test della solubilità introdotto negli anni 70 da Feller .
Il test prende in considerazione un solo parametro di solubilità, quello delle forze di dispersione per determinare con delle miscele standard (composte da solventi nocivi quali cicloesano ,toluene e acetone).

L’utilizzo pratico di un solvente, si articola in due operazioni ben definite:

  • in un caso si può agire sulla superficie del dipinto con un batuffolo di cotone imbevuto di solvente solitamente attaccato all’estremità di un bastoncino per evitare il contatto con il liquido ;
  • nel caso in cui lo sporco sia più ostinato si può stendere il solvente sullo sporco con un pennello e lavorarlo finché non si ottiene una superficie pulita oppure rimuoverlo dopo qualche secondo lasciandolo agire indisturbato. In entrambi i casi dopo l’ intervento con il solvente si asporteranno i residui con un batuffolo di cotone bagnato nella trementina.

Ai solventi appartengono classi disparate di sostanze organiche con diverse caratteristiche che ne determinano la fruibilità .
Queste comprendono idrocarburi, alcoli, eteri alle quali ai fini del restauro vengono accomunate sostanze come le essenze o oli essenziali ,gli oli e sostanze inorganiche come gli alcali e l’ammoniaca.

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