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Corso di Restauro della Ceramica

L’ Assemblaggio e l’ incollaggio : la tecnica

Sono assai rari i casi di oggetti di ceramica da restaurare che non si presentino fratturati in due o più parti. La corretta incollatura dei “cocci” costituisce la fase centrale e più delicata dell’intero restauro. Dalla buona, mediocre o ottima qualità dell’assemblaggio dipende l’esito stesso del restauro che di conseguenza sarà buono, mediocre oppure ottimo.

Le rotture, per numero e qualità dei frammenti, derivano generalmente da un urto, da un impatto violento, e sono in relazione:

a) alla qualità dell’impasto ceramico.

Nella scala di “resistenza in sé” e della durezza, le porcellane e il gres risultano notevolmente più resistenti delle terracotte e delle maioliche. Queste ultime, costituite da uno strato superficiale di smalto molto duro e, all’interno, da una ceramica più tenera, nel momento della fratturazione producono generalmente molte scheggiature in più;

b) alla forma e allo spessore dell’oggetto.

I piatti sono generalmente più resistenti dei vasi a forma sferica a collo stretto.
Da questo punto di vista è naturale che a un maggiore spessore della ceramica corrisponde una maggiore resistenza;

c) alla forza e alla violenza dell’impatto.

Tanto è più violento un urto, tanto maggiori sono le fratture che si determinano.
Si tenga presente inoltre che ogni oggetto ceramico ha punti particolarmente deboli e delicati (colli, manici, bordi).

Da tutto questo deriva che è impossibile fare una casistica generale o individuare leggi generali in grado di standardizzare le tipologie delle rotture.
Anzi, al contrario, si può dire che ogni ceramica fratturata costituisce storia a sé, con i propri problemi specifici da risolvere.

In ogni caso, la prima regola che il restauratore deve suggerire di praticare non appena si sia verificata la rottura, è quella di raccogliere tutti i frammenti, anche quelli più piccoli o apparentemente insignificanti.
In proposito è importante osservare una regola per la buona conservazione dei frammenti: tutti i “cocci”, non appena raccolti, devono essere avvolti separatamente in pezzi di stoffa (va bene anche la carta di giornale), per evitare che, sfregando gli uni con gli altri, abbiano a produrre ulteriori schegge e fratture che peggiorano la situazione.

Nel caso di ceramiche di scavo è assai frequente che queste si presentino frammentate, scheggiate, usurate non in conseguenza ad urti traumatici, ma a seguito dell’azione dell’acqua, dell’acidità e corrosività del terreno, delle radici degli alberi, del lavoro in profondità di ruspe e trattori. Tali fattori e più in generale le rotture “vecchie” e usurate costituiscono una complicazione per la ricostruzione.
La conservazione ottimale di questo tipo di frammenti deve seguire un accurata pulizia (vedi capitolo precedente) ed un eventuale consolidamento.

Le fasi precedenti all’incollaggio.

Quando si decide di procedere al restauro di una ceramica fratturata, per prima cosa è opportuno stendere sul banco di lavoro tutti i frammenti ben puliti per osservare attentamente la situazione.
Se il numero dei pezzi da incollare è limitato (da 2 a 10) non è difficile individuare subito la loro collocazione.

Diverso è il discorso quando l’ oggetto è interamente ridotto in frantumi.
In tal caso (anche se è ancora opportuno ricordare che si possono presentare i casi più disparati), ci si trova di fronte a veri e propri puzzle e trovare la giusta collocazione può costituire un autentico rompicapo che porta via parecchio tempo.
Ci si potrà però aiutare con una serie di informazioni inerenti:

–  la decorazione, quando esista, che costituisce senz’ altro la guida migliore per accoppiare i pezzi;
–  le bordature, i margini, le basi, i colli;
–  le eventuali diversità di tono di colore della ceramica e dello smalto;
–  la direzione, quando esiste, delle tracce e delle ditate di tornitura dell’oggetto;
– lo spessore, non sempre omogeneo, dei cocci (alla base sono più pesanti, al collo meno);

A questo punto si ottiene una classificazione ed una prima collocazione “di massima” dei vari frammenti.

Successivamente si ragiona in base alla forma e alle dimensioni dei frammenti e, partendo dal centro dell’oggetto da restaurare (piede di un vaso, base di una statua, centro di un piatto) o dal frammento più grande, si individua quale debba essere la cronologia nell’assemblaggio.
In questa operazione fondamentale bisogna fare molta attenzione a che l’eventuale attaccatura di due o più pezzi non lasci sottosquadri che siano di ostacolo ed impediscano l’inserimento successivo degli altri pezzi. Per semplificare si può dire che in linea generale ogni incollatura non dovrebbe lasciare “aperti” angoli inferiori ai 90°.

Effettuate queste prove preliminari e verificato che non sussistano nei lati di frattura impedimenti dovuti a vecchie colle, sporcizia, polvere, granelli di ceramica (vedi capitolo precedente), si deve procedere alla numerazione dei frammenti. A tal fine si possono numerare piccole strisce di carta adesiva con i numeri progressivi della sequenza di incollaggio.
A volte si può verificare il caso di dover incollare simultaneamente 3 o più pezzi. In tal caso la numerazione sarà per esempio 1, 2, 2, 2, 2, 2, 3, 4, ecc.

L’ Assemblaggio e l’ incollaggio: le colle

Le caratteristiche delle colle.

La colla da utilizzare dipende dal tipo di impasto ceramico da restaurare e deve rispondere ad alcune esigenze:

– deve avere un ottimo rapporto adesivo;
– deve resistere nel tempo agli effetti dinamici derivanti dagli sbalzi di temperatura, dall’assorbimento di umidità, dalla luce;
– deve creare il minore spessore possibile;
– particolarmente nel caso di oggetti di scavo o di un certo pregio, deve poter essere facilmente reversibile;
– deve essere incolore e non deve macchiare.

La prima “rivoluzione” in questo senso, che consentì l’ eliminazione delle orribili grappe metalliche, fu l’ utilizzo di colle animali (di coniglio, di tendini e soprattutto di vesciche natatorie di storione) che però difettavano per via della solubilità in acqua, nell’ assorbimento di umidità, nell’ingiallimento e nello spessore notevole che inevitabilmente creavano.
La continua ricerca scientifica, da 20 anni a questa parte (ed ancora in corso), ha consentito di realizzare collanti sempre più rispondenti a tali caratteristiche.

In commercio si trova una grandissima gamma di adesivi.
Di ciascuna “famiglia” o genere di adesivi, la presente dispensa ne consiglierà uno soltanto di cui è ampiamente e direttamente verificata l’efficacia, la funzionalità e la reperibilità.

Le colle utilizzate sono sostanzialmente 5:

k60 (oppure k50 o k70)

Si tratta di un acetato di polivinile che la sperimentazione in campo archeologico (Gabinetto di restauro del Museo Naz Archeologico di Firenze) ha dimostrato essere in linea con le caratteristiche precedentemente descritte.
In commercio si trova sotto forma di polvere bianca da sciogliersi preferibilmente a caldo (utilizzando nel caso solo il fornellino elettrico) in Alcool etilico denaturato a 94 gradi fino ad ottenere una fluidità tipo-miele.
Per l’ incollatura di ceramiche porose di colore bianco (le terraglie), si consiglia di sciogliere la colla in Alcool etilico bianco da Cucina a 95 gradi. Ciò è necessario perché il normale alcool etilico denaturato in commercio è colorato di rosa (per via del denaturante di Stato imposto dalla legge) e può macchiare l’impasto ceramico.
K60 è una colla facilmente reversibile da utilizzarsi “a caldo”.
Con un pennellino piatto che non perda setole si spalma la colla su entrambi i lati di frattura da incollare non oltre i 4-5 mm dalle due estremità di ciascun bordo e si brucia la stessa utilizzando un fornellino a spirito.
Quando la colla ha finito di friggere (circa 5/10 secondi) si avvicinano i pezzi e, solo quando sono ben allineati, si premono tra loro per consentire all’eccesso eventuale di colla di fuoriuscire. L’ eccesso va subito rimosso con un batuffolo di cotone imbevuto e strizzato di acetone o alcool.
L’ operazione di assemblaggio va svolta molto velocemente, quando la colla è ancora ben calda. Il suo raffreddamento ne pregiudica infatti la tenuta.
Si mantiene la medesima pressione per circa 20 secondi.
Da questo punto di vista, l’esperienza ha dimostrato l’utilità di riscaldare i frammenti prima della loro adesione, per esempio ponendoli per un po di tempo su un termosifone.
Contemporaneamente si stendono in tensione perpendicolarmente alle fratture le strisce più o meno lunghe di carta adesiva, precedentemente predisposte.
Si sistemano con delicatezza i pezzi incollati nella cassetta di sabbia di fiume ben asciutta e si lasciano riposare per qualche tempo.
Se, dopo aver effettuato l’incollatura, ci si accorge che la stessa non è soddisfacente, si può cercare di sistemare meglio l’incollatura dopo averla riscaldata con una pistola termica o un comune asciugacapelli.
Nel caso invece di incollature non soddisfacenti che obblighino allo smontaggio delle parti, prima si ammorbidisce l’incollatura con l’Alcool, poi si riscalda con aria calda. Quindi, molto delicatamente, si opera una moderata pressione e si distaccano i pezzi che dovranno essere ripuliti dalle tracce di colla.

Resina Epossidica (Uhu Plus)

Uhu Plus è una resina particolarmente indicata per l’incollaggio di ceramica non porosa (porcellana e gres) e può essere utilizzata anche per tutte le ceramiche porose che necessitano di un incollaggio molto forte. La casa produttrice indica in alcune centinaia di chili per Cm2 il suo grado di resistenza.
Uhu Plus deve essere mescolata con l’apposito catalizzatore nella proporzione del 50%.
Per evitare l’ingiallimento inevitabile di tutte le resine epossidiche (tra cui le famose Aralditi della Ciba), si aggiunge una piccola quantità di Biossido di Titanio o di bianco di Zinco.
Dopo aver ben mescolato il composto lo si lascia riposare per un minuto.
Quindi con l’aiuto di una spatolina si applica un sottilissimo strato dello stesso lungo un solo bordo della rottura fino a 4-5 mm dalle due estremità.
A questo punto si allineano le due parti da attaccare in modo che queste si incontrino orizzontalmente. Non premere i pezzi insieme con forza fino a che non siano perfettamente allineati.
Un modo per accertarsi della accuratezza della unione consiste nel far scorrere un unghia su e giù attraverso l’unione. Se l’unghia incontra contemporaneamente tutte e due gli orli, l’unione è da ritenersi accurata; se incontra solo la superficie di un bordo si deve premere leggermente indietro quest’ultima. Dopo aver eseguito questa verifica, e solamente dopo, si devono premere con decisione i due pezzi in modo che l’eccesso di adesivo fuoriesca.
L’ eccesso di adesivo fuoriuscito dalle fratture ricomposte va tolto con un batuffolo di ovatta (meglio uno straccetto di cotone) imbevuto e ben strizzato di alcool. L operazione di pulizia dell’eccesso è importante anche per consentire la “presa” sulla ceramica delle strisce di carta adesiva che altrimenti, se imbrattata di resina, non potrebbe avvenire.
Infatti, dato che la colla è semifluida e tende a fare slittare i pezzi, è indispensabile l’ottima fissazione, internamente ed esternamente, della la carta adesiva che è posta ben in tiro trasversalmente alla frattura.
A questo punto riporre le parti incollate nella solita cassetta di sabbia di fiume asciutta o comunque in qualsiasi posizione di equilibrio stabile per 24 ore.
Per velocizzare il lavoro (e se l’oggetto da restaurare lo permette), si può ridurre a pochi minuti (ciascuno deve sperimentare precisamente il tempo occorrente e la distanza) l’essiccazione della resina, ponendo ad una certa distanza una lampada a 1000 Watt, che sviluppi un grande calore.
In questo modo si raddoppia anche la tenuta di Uhu Plus.
Successivamente si puliscono accuratamente spatoline e dita con alcool.
Un metodo che si è dimostrato efficace per sopperire al problema dell’immobilizzazione dei pezzi quando si usano le resine epossidiche è quello di utilizzare dei cianoacrilati (vedi successivo 5.3.5.) che consentono una immobilizzazione istantanea. Nei lati di frattura da incollare con l’epossidico, si lasciano piccoli spazi privi di colla (in genere 2 o 3) dove si applica una puntina di cianoacrilato.
Quando le parti sono bene allineate; si esercita pressione. In tal modo l’adesione ottenuta istantaneamente dal cianoacrilato garantisce l’immobilizzazione dell’incollaggio alla resina epossidica che avverrà nel giro delle 24 ore.

Resina Epossidica Rapida (Uhu Plus rapido)

Si tratta di una resina epossidica bicomponente dall’uso del tutto simile all’Uhu Plus (meno che il prezzo) anche se meno potente di quest’ultima e quindi particolarmente adatta per ceramiche non porose e per tutte le porcellane.
Tale resina tira in 1/4 d ora.

Vinavil

Si tratta di una colla molto nota, da non disdegnare nell’assemblaggio delle ceramiche porose.
Stendere un leggero velo di colla in entrambi i lati da incollare, attendere un paio di minuti, quindi allineare e avvicinare le parti. Togliere subito con una garza di cotone imbevuta di acqua tiepida e strizzata l’eccesso di colla, quindi applicare le solite strisce di carta adesiva ben in tiro.

I Cianoacrilati (Attak)

Tali prodotti chimici, di ritenuta alta tossicità, oggi di diffusissimo uso anche in versione Gel (che ha la qualità di non colorare, ma che si conserva peggio), in generale non sono adatti per il restauro conservativo delle ceramiche. Tuttavia il crescente uso “di fatto” consiglia un qualche utilizzo come nel caso precedente.
Nel caso di utilizzo dei cianoacrilati, va detto che i margini da saldare devono essere perfettamente puliti, spazzolettati e preferibilmente non essere mai stati attaccati in precedenza.
Questa colla aderisce istantaneamente per cui l’attaccatura deve essere eseguita con assoluta precisione e molto velocemente. Ciò implica una abilità e sicurezza che solo con l’esperienza e la pratica si possono acquisire.
Tenere in ogni caso a portata di mano dell’Acetone puro, che è in grado di sciogliere i cianoacrilati.
Tale tipo di adesivi però, al di là dell’apparenza miracolosa, ha il grave inconveniente di irrigidirsi e cristallizzarsi con il tempo in conseguenza dei mutamenti di temperatura e di umidità. Ha pertanto una tenuta “provvisoria”, elemento questo in contraddizione alla concezione del restauro non solo estetico, ma conservativo e duraturo.
Il suo uso più frequente è dunque legato alla necessità “di appuntare”, fermare e immobilizzare i pezzi (vedi 6.5.2.) in modo da consentire l’attaccatura forte della resina epossidica.
Un ottimo sistema di utilizzo dei cianoacrilati, dato dalla altissima capacità di penetrazione, consiste nel dosare piccole gocce di adesivo dopo aver assemblato a secco le rotture.

La stuccatura e la ricostruzione

La stuccatura semplice delle fratture o fessure.
In pratica la quasi totalità delle ceramiche sottoposte a incollaggio necessitano di successivi interventi di stuccatura.
Ciò in relazione al fatto che per la maggior parte delle ceramiche l’urto accidentale produce fratture o rotture (in due o più pezzi) che presentano inevitabili scalfitture o microscalfitture ai bordi, soprattutto in prossimità del punto di urto.
In ultima analisi i casi di ricostruzione perfetta delle fratture che non necessiti di alcuna stuccatura sono rari e riguardano sopratutto porcellane di ottima qualità.
In conseguenza di queste – sia pure minime – mancanze di materia si presenta la necessità di dovere “riempire” o chiudere le lacune, per procedere, successivamente, alla ripresa pittorica dei colori e delle decorazioni.

In linea generale si può dire che ogni stucco è composto da un legante (colle o semplicemente acqua), da polveri riempitive (Gesso, Talco, Polvere di porcellana, ecc), da eventuali pigmenti coloranti (Terre o Ossidi) e da eventuali pigmenti anti-ingiallenti (bianco di Titanio, di Zinco, ecc.).
Moltissimi sono gli stucchi, i riempitivi e le sostanze che si possono utilizzare, ma per esemplificare ne indicheremo sostanzialmente due:

Lo stucco più semplice e diffuso per le ceramiche porose è costituito dal gesso alabastrino, dal gesso scagliola fine o, meglio ancora, dal gesso bianco del dentista.
Si tratta di un riempitivo a scarso ritiro e costo, di facile uso e reperibilità.

L’ utilizzo elementare della scagliola.
In un bicchierino di plastica contenente acqua in quantità proporzionale alla lacuna da stuccare, si “affoga” il gesso aggiungendolo in piccole quantità alla volta, in modo da evitare grumi, fino a che il gesso abbia assorbito completamente l’acqua. A questo punto mescolare la mistura con un bastoncino, in modo che la mistura stessa abbia grosso modo la consistenza della panna.
Lasciare riposare per qualche attimo ed il gesso è pronto all’uso.
In proposito si rammenta che il suo utilizzo deve essere veloce (entro i 5/7 minuti) in quanto il gesso stesso si indurisce rapidamente e a quel punto non può più essere usato.
Per questo motivo si consiglia di preparare piccole quantità di gesso per volta.
Attenzione: i tempi di indurimento del gesso non devono essere confusi con quelli della sua completa essiccazione che avviene in ambiente non umido nel giro di 24 ore e dipende dalla stagione, dal grado di umidità dell’ambiente, dalla dimensione delle stuccature, ecc.

Quando è necessario (molto spesso si presenta questa necessità) che la stuccatura a gesso, di colore bianco (esclusi ovviamente i casi di terraglia dura o tenera che sono anch’essi di colore bianco), sia conforme al colore dell’impasto della terracotta, della maiolica, (anche nel caso si preveda una successiva fase di colorazione o decorazione superficiale), è necessario preparare uno stucco di colore in tono, del tutto o in parte, in sintonia al colore dell’originale.
La colorazione del gesso si ottiene con l’utilizzo di pigmenti. Si tratta delle terre o argille polverizzate: terra ocra, chiara e scura, della terra di Siena bruciata o naturale, della terra ombra di Cipro bruciata, del cocciopesto più o meno rosso, della terra nera (da utilizzare nel caso di ceramiche di impasto o di bucchero etrusco), della terra bruna, ecc.
La coloritura del gesso non può essere improvvisata, non può essere effettuata “a gesso sciolto” (perchè le terre coloranti bagnate scuriscono il colore), bensì deve avvenire a secco, precedentemente all’affogatura del gesso nell’acqua.
In un sacchettino di cellophane trasparente o in un vaso di vetro si versa con un cucchiaio la quantità che ad occhio e croce occorre di polvere di gesso e a questa si aggiungono piccole quantità di pigmenti colorati cercando di trovare il tono giusto di colore. E bene in proposito effettuare preliminarmente delle prove di colore, dapprima bagnando un pizzico del gesso colorato (che diventerà molto più scuro) su un foglio di carta, poi favorendo con una fonte di calore, l’immediata asciugatura, che lo schiarirà.
Le terre (da preferirsi per la facilità di ottenimento dei colori giusti) possono essere sostutuite dagli ossidi metallici che, a differenza delle terre, assorbono molta meno acqua e quindi non indeboliscono la consistenza del gesso, ma che sfavoriscono il controllo dei colori.
Chiudere quindi ermeticamente il sacchetto, agitarlo bene finchè il colore non si sia omogeneizzato, e metterlo a confronto avvicinando il sacchetto all’oggetto da restaurare.
Per sopperire al problema dell’indebolimento del gesso addizionato delle terre colorate, è buona norma aggiungere (a secco) una quantità di gesso odontoiatrico (molto duro e resistente) pari alla quantità delle terre colorate utilizzate.

Nel caso si desideri dare al gesso una maggiore consistenza si può sciogliere molto bene nell’acqua una piccola quantità di Vinavil, prima di aggiungere il gesso.
In questo caso si tenga presente però che la presenza di Vinavil avrà l’effetto di scurire la miscela ed è quindi quantomai opportuno effettuare preliminarmente le prove di colore.

Per favorire una maggiore aderenza del gesso alle pareti delle fessure da riempire, si consiglia di inumidirle con un pennello imbevuto di acqua qualche minuto prima dell’applicazione del gesso.

La stuccatura (di piccole o grandi dimensioni) a gesso deve essere profonda e deve impedire la formazione di bolle d aria la cui presenza potrebbe minare la tenuta stessa della stuccatura.
Per evitare ciò è necessario premere a fondo il gesso nelle fratture utilizzando spatole e spatoline delle giuste misure affinchè il gesso stesso si espanda nella frattura.

Badare che la stuccatura sia abbondante (ma senza esagerare), nel senso che è da preferirsi togliere un eventuale eccesso di gesso che doverne aggiungere successivamente.

Lo stucco da preferirsi per la porcellana o le ceramiche non porose in genere è quello che si ottiene utilizzando come legante la resina epossidica (Uhu Plus). Questa, come si è detto nel precedente capitolo, è un prodotto semifluido e vischioso soggetto a scivolare per la forza di gravità. Per addensare il composto è pertanto necessario aggiungere (oltre al biossido di titanio che ne impedisca l’ingiallimento) la polvere di talco o altri pigmenti bianchi come la polvere di porcellana, di caolino, il bianco argento, il bianco di zinco, la polvere finissima di marmo, ecc.
E ovvio che più si aggiungono polveri, più la consistenza dell’impasto a base di resina epossidica aumenta. La consistenza giusta dello stucco così ottenuto è quello della mollica di pane. La stuccatura va eseguita utilizzando spatole o stecche di legno da modellismo. Per impedire l’attaccatura di questo stucco alle spatole è necessario inumidirle continuamente con alcool alcool etilico a 94 gradi, che serve da antiadesivo (va bene anche l’acqua o qualsiasi altro liquido).
I tempi di essiccazione dello stucco epossidico sono leggermente inferiori a quelli della colla epossidica.

Attendere l’ essiccatura parziale della superficie stuccata che avviene nel giro di due/quattro ore e, quando lo stesso è a “durezza cuoio”, rasarne l’eccesso utilizzando bisturi o lame affilate.

Successivamente attendere la sua essiccatura totale (circa 12/16 ore) e carteggiare accuratamente, utilizzando carte abrasive sempre più fini. Tra le tante carte vetrate, smeriglio e abrasive, quest’ultime sono da preferirsi, soprattutto quelle “water resistant” che usano i carrozzieri, di colore generalmente nero. In commercio esistono di varie misure. Per il restauro della ceramica si utilizzano per la sgrossatura quelle n° 120, 180, 220, 240 per procedere con la rifinitura delle stuccature a quelle più fini n° 400, 600, 800, 1000 e 1200, finchè le superfici stuccate siano ben livellate alle originali. Le carte abrasive, che è opportuno tagliare con le forbici in tanti piccoli pezzetti (per es. 3 x 5 cm), vanno usate delicatamente con movimento circolare e talvolta con l’utilizzo di supporti che ne guidino e determinino la levigatura. Per una superficie piana si può utilizzare una tavoletta di legno.
E chiaro che il rischio da evitare con molta attenzione è quello di intaccare con la carta abrasiva le superfici originali e i decori della ceramica.
La carteggiatura è ben effettuata quando con il tatto del polpastrello della mano non si sentono i minimi gradini, dislivelli e tutta la superficie interessata risulta ben levigata ed omogenea.
L’ osservazione con una lampada “a luce radente”, che è una prova da eseguire sempre, è in grado di evidenziare la sussistenza di eventuali piccole imperfezioni rimaste che necessitano di ulteriori piccole stuccature.
Va infine detto che qualsiasi tipo di stucco si sia utilizzato, le eventuali ma frequenti seconde o terze stuccature vanno applicate con lo stesso tipo di stucco.
Nel caso del gesso bisogna bagnare in precedenza con acqua la parte precedentemente già stuccata, prima di applicare il nuovo gesso.

Altro stucco, utilizzabile sia per le ceramiche porose che per le porcellane è quello a base di
Colla animale e Gesso di Bologna, il tradizionale stucco utilizzato nel restauro ligneo.
Si tratta di uno stucco dall’ottima tenuta, molto adatto alla chiusura di fessure, scalfitture e piccole lacune, ed è facilmente carteggiabile. Non risulta utile in caso di riempitura di parti grandi.
Lo stucco base è ottenuto dalla miscela del Gesso di Bologna, acqua tiepida e Colla animale calda. Quest’ultima (in commercio sotto forma di perline o tavolette) va sciolta in acqua ponendo un recipiente (preferibilmente metallico) a cuocere a bagnomaria almeno per un ora.

Dalla quantità di Colla animale dipende la durezza dello stucco che si vuole ottenere. A maggiore quantità di colla corrisponde maggiore durezza e resistenza dello stucco.
Elemento negativo di questo stucco è il notevole suo ritiro in essiccazione che determina la necessità di procedere a nuove stuccature.

Se è necessario dare una colorazione allo stucco per ottenere le tonalità della terracotta, è
necessario aggiungere i pigmenti, terre o ossidi, all’impasto.

Altri stucchi utilizzabili nel restauro della ceramica sono:

–  la Polifilla, di non facile reperibilità il cui uso è molto diffuso in Inghilterra. Polvere bianca che va sciolta in acqua;
–  il Vic (tipo fine). Riempitivo normalmente utilizzato come riempitivo e per la rasatura delle pareti;
–  o Stucco Odontoiatrico (Zinco-cemento). Riempitivo provvisorio per carie dentali;
–  il DAS (bianco o color terracotta). Materiale adatto per ricostruzioni plastiche, ma dotato di scarsa aderenza e compattezza.

La stuccatura con supporti.

Molto spesso la stuccatura riguarda non solo le piccole fessure precedentemente incollate, ma superfici più ampie. E il caso che si verifica quando vengono smarrite parti più o meno grandi di ceramica o quando la frantumazione conseguente ad urti produce una polverizzazione di piccolissimi frammenti impossibili da ricostruire.
In questo caso è necessaria una vera e propria ricostruzione semplice della parte mancante, sia essa del bordo, del collo, della pancia o della base della ceramica.
La ricostruzione semplice consiste nella creazione di un supporto in grado di allineare a livello delle parti originali per accogliere lo stucco (preferibilmente a base di gesso alabastrino oppure odontoiatrico).
Come supporto ci si può industriare con diverse soluzioni, utilizzando la carta adesiva “da carrozziere” più o meno larga, la plastilina, le tavolette di cera per odontotecnici, ecc. Da questo punto di vista il fine giustifica l’uso di ogni mezzo, purchè quest’ultimo sia facilmente rimuovibile una volta che l’intervento di ricostruzione sia stata effettuato.

 Stesso discorso quando c è la necessità di ricostruire parti attraverso la realizzazione di “impronte”. E il caso derivante dalla presenza di parti lacunose, che bisogna ricostruire ex novo, del tutto identiche a parti esistenti.. L impronta deve essere ottenuta dalla parte corrispondente ed integra della ceramica adattando (copiando) con molta attenzione le tavolette di cera da odontotecnico oppure di plastilina, oppure di argilla alle superfici integre.
Dopo aver scaldato la lastra di cera con il calore delle mani, ed aver spolverato una piccola quantità di talco sulla superficie, che ha funzione anti-adesiva, si prende l’impronta della parte “sana” corrispondente a quella da ricostruire. Una volta raffreddata la cera si trasferisce l’impronta realizzata nel punto da stuccare. Si utilizza la carta adesiva per fissare bene questo stampo al posto preciso, quindi si procede alla stuccatura con gesso seguendo le istruzioni di cui ai precedenti punti.

Quando si devono ricostruire parti di cui non è possibile avere l’impronta, la ricostruzione si dice complessa: al lavoro tipicamente tecnico si aggiunge una parte creativa, la necessità di “inventarlo” ex novo, di immaginarlo e studiarlo. In questo caso può essere utile sfogliare libri, pubblicazioni, enciclopedie.
Si potranno presentare i casi più disparati, i più difficili o fuori dalla norma, che in questa sede è impossibile prendere in esame, considerando le infinite situazioni diverse possibili.
L importante è prendere dimestichezza con i diversi materiali, e dare spazio alla propria inventiva e creatività.
Bisogna ricordare infine che ogni errore di ricostruzione compiuto è una lezione acquisita…

Necessità particolari.

Nei casi in cui le parti da ricostruire completamente dovranno essere sottoposte a diverse e forti sollecitazioni, ad esempio il manico di una pesante brocca, è opportuno e doveroso rafforzare le incollature, le stuccature e le ricostruzioni con supporti metallici e perni, preferibilmente di acciaio o ottone (perché non arrugginiscono) che dovranno risultare invisibili una volta ultimato il lavoro.
Per far questo si deve utilizzare il trapano elettrico con punte diamantate da 1, 2, 3 mm. Si devono praticare dei piccoli fori perfettamente simmetrici di profondità 5 – 7 mm.
E questo un intervento di assoluta precisione. Una tecnica per individuare il punto preciso dove fare i fori consiste nell’applicare su un lato della rottura da assemblare una piccolissima quantità di rossetto per labbra che, una volta unite a secco le due parti, lascia l’impronta di colore anche nell’altra parte. I due punti così realizzati indicano dove operare i fori.
A questo punto si incastrano nei fori le barrette, i rinforzi metallici con un adesivo a forte presa (si consiglia l’Uhu Plus) e si immobilizza l’oggetto che successivamente andrà stuccato.

Ancora sul gesso e gli altri stucchi

A differenza delle resine epossidiche, il gesso e gli altri tipi di stucco indicati, è fortemente poroso. Di conseguenza dopo aver applicato la stuccatura o eseguita la ricostruzione ed averla ben levigata, in previsione della successiva fase di ritocco pittorico o decorazione, è necessario procedere ad un suo consolidamento ed impermeabilizzazione che consenta l’adesività ottimale a vernici e smalti.
A tale scopo le parti in gesso dovranno essere impregnate a pennello con diverse e successive mani di una soluzione al 20/25% di colla K60 e 75/80% di alcool etilico a 94 gradi (o alcool da cucina a 95°). Si tratta di un buon consolidante che al contempo impermeabilizza il gesso e consente l’aggrappaggio di colori e vernici alla superficie stuccata.
L eccesso di K60 diluito deve essere successivamente tolto strofinando uno straccetto di cotone imbevuto di alcool e strizzato.

Ricostruzioni particolari

E sempre più diffuso, nel restauro delle ceramiche archeologiche o delle maioliche medievali o rinascimentali, l’uso di effettuare ricostruzioni e stuccature “sottolivello”, cioè di 0,5/1 mm più basse del livello originale della superficie della ceramica.
Si tratta dei casi in cui, al contrario del restauro effettuato “per mimetizzare” o nascondere completamente le rotture, è importante valorizzarne la storia, il “vissuto” dell’oggetto, ricostruendone però l’insieme.
Inoltre la stuccatura o ricostruzione “sottolivello” con tonalità di colore in sintonia all’originale consente una indubbia valorizzazione estetica. 

2 pensieri riguardo “Corso di Restauro della Ceramica

  • Paola Cerino Marfé

    Ottimo lavoro, ho trovato il corso molto interessante. Sono una ceramista appassionata di restauro nel quale mi sono spesso cimentata con oggetti vari. In passato ho anche provato a cercare dei corsi ma con scarsi risultati. Mi piacerebbe avere informazioni in tal senso. Se esistono dei corsi da poter frequentare anche individuali , sono di Napoli e fuori tempo per la scuola. Spero di avere qualche notizia grazie.

    Rispondi
  • Buongiorno e grazie per l’apprezzamento.
    per quanto riguarda corsi di restauro della ceramica a Napoli non le so dare suggerimenti particolari. Poiché oggi tutte le scuole e le iniziative di questo genere sono pubblicizzate in rete penso che la strada più semplice sia consultare internet, anche se credo lei lo abbia già fatto.
    saluti

    Rispondi

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