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Restauro Affresco di Acqui: il santo della piazzetta

 Lionello Archetti Maestri, Presidente della sezione acquese di Italia Nostra, profondo conoscitore della città termale, ha fatto sì, con le sue belle lezioni dal vivo, che gli attenti allievi dell’Unitre potessero approfondire la storia, l’ arte e la cultura locali anche attraverso la scoperta di particolari che spesso sfuggono …

“Il Santo della Piazzetta”

Arturo Vercellino

  

 Lionello Archetti Maestri, Presidente della sezione acquese di Italia Nostra, profondo conoscitore della città termale, ha fatto sì, con le sue belle lezioni dal vivo, che gli attenti allievi dell’Unitre potessero approfondire la storia, l’ arte e la cultura locali anche attraverso la scoperta di particolari che spesso sfuggono, tanto più se non sono ad altezza d occhio come, nel nostro caso, il piccolo affresco, posizionato (a m 4,78 da terra) sul muro, prospiciente Piazzetta dei Dottori, del Seminario Minore di Acqui.
Grazie all’interesse suscitato, ai suoi suggerimenti, all’impulso dato da Monsignor Giovanni Galliano e all’indispensabile aiuto del Professor Geo Pistarino, è scattata l’adozione che ha dato vita al restauro di quanto rimane di un manufatto gravemente compromesso. Un pezzo dimenticato che potrà sopravvivere per merito della sensibilità di persone, da sempre, attente ai valori della tradizione del nostro territorio.
Restauro di un affrescoLa pittura murale, probabilmente di metà Ottocento, nel lacerto rimasto, rappresenta un monaco barbuto all’interno di una illusionistica nicchia (semicilindrica, sormontata da un quarto di sfera, altezza cm 156,5, larghezza cm 77,3). La sua immagine è completamente rovinata dalla vita in giù: sono rimasti il busto, caratterizzato dal saio nero, e, nella mano destra, il pastorale, la cui spirale, volta all’interno, funzionalmente alla curva della lunetta, non è completa per l’evidente riduzione, dovuta a successiva intonacatura, di almeno cinque centimetri del dipinto.
Nella parte bassa manca, addirittura, tutto il supporto, arriccio compreso, mentre in quella mediana, priva di tonachino e, quindi, dei colori, si intravedono i segni poco leggibili della sinopia.
 Risulta problematico attribuire una sicura identità al personaggio raffigurato. Ipotesi credibili, motivate da indagini storiche e suffragate da quelle iconografiche, ci indirizzano a due grandi Santi: Benedetto da Norcia e Antonio Abate.
Non so cosa si possa aggiungere a quello che già, in modo esauriente, hanno detto il Professor Geo Pistarino e Mariangela Caramellino. Le loro opinioni, oltre a trovarmi d accordo, hanno sottolineato molte notizie indispensabili per arrivare ad una conclusione attendibile. Basterebbe, forse, una vecchia fotografia per sciogliere ogni dubbio.
La strada che porta istintivamente a San Benedetto (480?-547), fondatore del più antico ordine monastico occidentale, colui che promulgò la Regola, divenuta modello di vita delle sue comunità religiose, è la più immediata, dal momento che il fabbricato, sul cui muro esterno è alloggiato il manufatto, ha ospitato un convento di Benedettine, soppresso dal Governo francese nel 1802, antecedentemente, quindi, la presumibile esecuzione del nostro affresco. 

 

 

 

La funzione più popolare di San Benedetto è quella di taumaturgo, soprattutto esorcista e guaritore di malattie mentali. Il santo è per lo più raffigurato come un vecchio con la barba bianca, oppure, più raramente sbarbato. L abito scuro, però, non costituisce un segno sicuro di riconoscimento che, a volte, è il saio nero dell’ordine benedettino, sul quale frequentemente spicca la bianca sopravveste (cocolla) con cappuccio, altre volte è l’abito bianco delle seguenti istituzioni riformate.
 

C’ è, poi, il pastorale, presente nel dipinto (non la mitra), che il santo porta in qualità di abate di Montecassino, ma, a causa del degrado della pittura, non compaiono altri attributi che hanno attinenza con la leggenda di San Benedetto, come l’aspersorio per i riti di esorcismo, il cespuglio di spine, il vaglio spezzato, il bicchiere o la coppa infranti che richiamano un tentativo di avvelenamento, il corvo con il pane nel becco, i flagelli, il libro della Regola.

Anche Sant Antonio Abate (251?-356), eremita originario dell’alto Egitto, considerato l’iniziatore del monachesimo, ha ispirato le rappresentazioni degli artisti di ogni epoca. Raffigurato, di solito, come un anziano monaco con barba bianca, vestito con tonaca e cappuccio scuri, egli regge il pastorale o un bastone a forma di stampella con il manico a tau. La stessa tau (simbolo cristiano di immortalità o, più semplicemente, emblema tradizionale del frate Medievale, il cui dovere era di aiutare gli zoppi e gli infermi), turchina o bianca, compare, a volte, anche sulla tonaca, all’altezza della spalla.

 

Tra i suoi attributi iconografici sono frequentemente presenti, oltre il saio o l’abito vescovile, il fuoco, il maialino, la campanella, il libro.
Taumaturgo, guaritore dell’herpes zoster (comunemente noto come fuoco di Sant Antonio), il santo è stato molto amato dalle comunità rurali, che ne invocavano la protezione contro i contagi, molto diffusi tra gli animali (e non solo), ed il suo culto ha riscosso consensi, particolarmente sentiti, nella devozione popolare della nostra zona. Non dimentichiamo che, a due passi dall’affresco, nel cuore della Pisterna, c è l’antica chiesetta, cara agli Acquesi, intitolata al santo nei primi anni dell’Ottocento.
 

La mia opinione è che il monaco, con pastorale e saio scuro dell’affresco in questione, raffiguri Sant Antonio. Mi persuade la piccola scoperta, fatta sul posto, durante un sopralluogo, presente il restauratore Domenico Gazzana, consistente nella individuazione, grazie a sbiadite tracce di sinopia, di un libro, semicoperto dalla veste, che il santo tiene, appoggiato al petto, nella mano sinistra. Un libro chiuso che non mi fa pensare a quello benedettino della Regola, di solito bene in vista, ma ad uno degli attributi ricorrenti di Sant Antonio. Trovo interessante, poi, l’osservazione di don Giacomo Rovera che ha collegato il protettore da malattie, epidemie etc. ai Dottori titolari della Piazzetta.
Un punto di riferimento per l’autore del dipinto potrebbe essere stato il quattrocentesco affresco, della cripta del Duomo di Acqui, raffigurante Sant Antonio.
 

 Busto di Pietro Ivaldi detto Il MutoSe sono condivisibili la datazione e l’attribuzione dell’immagine al prolifico Pietro Ivaldi detto il Muto (Toleto, 1810- Acqui, 1885), molto attivo nel nostro territorio e nella Cattedrale in particolare, anche il pittore secentesco Giovanni Monevi (Visone, 1637-1714) ha, sicuramente, fatto scuola. Le decorazioni di molte chiese diocesane, infatti, realizzate dal visonese sono state completate dal Muto centociquant anni dopo. Una rapida indagine evidenzia che Monevi ha dipinto diverse volte Sant Antonio, con veste scura da abate e libro (a volte in mano, altre volte a terra) e mi ricorda l’opera (Gesù tra angeli e santi) della Parrocchiale di Cremolino nella quale, sul saio di San Benedetto, spicca la cocolla bianca.

 
Spero che queste ultime affermazioni diano un ulteriore piccolo contributo alla identificazione del santo, così come penso che in futuro possano venire alla luce nuove notizie e documenti adeguati a confermare, in modo definitivo, l’una o l’altra supposizione.
Il restauro, evidentemente determinato da necessità conservative, porta con sé, dunque, l’aspetto conoscitivo, certamente non secondario, che scaturisce dal desiderio di vivere la cultura e diventa un momento importante ai fini della tutela, prima di tutto nelle coscienze, del patrimonio artistico.

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