Pittura su Tavola

Restauro di una Pala d’ altare

 Fonte: Ezio Flammia. Restauro della Pala di San Vito a Feasso Talesino

Don Valentino Di Cerbo mi parlò più volte della pala d altare di S. Vito e dell’intenzione di farla restaurare e, con il suo solito garbo, mi pregò di fare un sopralluogo, nella Chiesa dove era conservata, per valutare le reali condizioni dell’opera.

Stato di degrado dell’opera

In una mia visita a Frasso Telesino, all’inizio dell’autunno del 2000 ebbi modo di visionare la pala e di costatare il suo stato di degrado.

Lo stato di totale abbandona in cui l’opera giaceva, era tale che, nella mia relazione verbale a Don Valentino, adoperai termini quali disfacimento, deterioramento, piuttosto che degrado, vocabolo che di solito si usa nelle valutazioni di restauro. Degrado mi sembrò una definizione impropria per la Pala di S. Vito per la sua situazione pre agonica. L opera era, non in senso metaforico, ad un passo dalla morte.

Alcuni pezzi del maestoso apparato architettonico in legno dorato e dipinto che incorniciava la Pala d’ altare di S. Vito, soggiacevano ammucchiati sopra l’altare ed altre parti pendenti sarebbero cadute di lì a poco. La pala d altare, che era formata da tre tavole di legno di noce unite da cavicchi e rinforzate, nel retro, da cinque traverse, si presentava interamente rovinata lungo tutto il perimetro ed in prossimità delle congiunzioni delle tavole. Le tre tavole, oltre ad essere sconnesse, erano imbarcate. Le superfici del portale, una sorte d apparato scenico, e della pala erano interamente ricoperte di polvere e sudiciume d ogni genere: nerofumo di candela, schizzi di pittura bianca, sgocciolature di cera. Alcuni chiodi di diverso spessore anche di recente impiego, erano conficcati sulla pala; alcuni sgraffi solcavano visibilmente la pellicola pittorica, fori di tarli si notavano dappertutto. Lo strato di polvere era così abbondante che a malapena s intravedeva la raffigurazione sottostante. 

Lo stato di conservazione lasciava prevedere una sicura decomposizione dell’opera se non si fosse intervenuti con tempestività.

Nella mia relazione verbale feci notare, a Don Valentino, i pericoli in cui l’opera poteva incorrere durante le operazioni di distacco dalla sede. L inconsistenza materia, causata dall’azione devastatrice dei tarli e dall’ambiente malsano, aveva reso l’opera fragile tale da frantumarsi al minimo urto e perciò poco maneggevole durante il distacco e il trasporto.

Don Valentino si attivò subito per ottenere, tra l’altro, il permesso della Soprintendenza dei Beni Culturali di Benevento. Permesso che fu accordato con rapidità poiché c erano tutti i presupposti di affidabilità per il restauro.

Prelievo e trasporto della Pala nello studio Romano

Poco tempo dopo il mio sopralluogo, l’11 novembre dello stesso anno, mi recai a Frasso Telesino per prelevare la Pala di San Vito con il suo maestoso apparato, o per meglio dire, quello che rimaneva del complesso architettonico che incorniciava il dipinto. Come avevo previsto, le operazioni di distacco dal muro furono a dir poco preoccupanti. Coadiuvato dal Sig. Valentino Massaro, dal maestro muratore Giovanni Pasquariello e da mia moglie, iniziai a smembrare, con la dovuta cautela, il complesso dell’opera. Salito sull’impalcatura, mi resi conto che le operazioni si presentavano delicate, questo mi creava una forte tensione. La pala e il suo apparato architettonico, avevano subito, alcuni decenni fa, un tentativo di furto. I vari pezzi, del complesso dell’opera, erano stati staccati dalle loro sedi e trasportati sul piazzale antistante la Chiesa per essere caricate su di un furgone. Sventato il furto per l’intervento tempestivo di un frassese che, passando per S. Vito, si era reso conto di quanto stava per accadere, riuscì a mettere in fuga i ladri. Qualcuno sostiene che, invece, si trattò di un tentativo di vendita da parte del sindaco di allora ad un privato di S. Maria C.V. Dopo il tentativo di furto, la tavola e il complesso architettonico, furono sistemati alla buona sopra l’altare, probabilmente nell’attesa di una sistemazione più sicura. Fili sottili di ferro, ormai arrugginiti, tenevano a malapena, ancorate al muro, la tavola, la trabeazione, le lesene e le colonne. I basamenti delle colonne non esistevano più, forse già all’epoca del furto, si erano fortemente deteriorati e si pensò di sostituirli con dei cubi in muratura.

Intervento di Restauro
Disinfestazione

Durante i giorni successivi, sottoposi tutti i vari pezzi, dell’intera opera, ad un accurata disinfestazione chiudendoli in grosse buste sature di prodotto antitarlo.

Dopo questa prima operazione iniziai, ad eliminare la polvere dai vari pezzi, tramite pennellatura e dove possibile, con aspirazione a filtro. Passai quindi a ricoprire, con velatino, tutte le superfici cromatiche, sia della pala e sia dell’apparato architettonico, per proteggerle durante le successive operazioni di restauro.

A questo punto ho iniziai il vero recupero della materia legnosa.

Gli insetti xilofagi avevano rovinato il legno dappertutto e in molte zone, lo avevano reso spugnoso e fragilissimo con milioni di gallerie piene di finissima segatura ed escrementi dei parassiti.

Già da una prima analisi dei fori, giudicai che gli insetti del legno fossero gli anobi (anobium punctatum) comunemente tarli dei mobili o tarli comuni, le cui caverne a forma cilindrica terminano con fori rotondi di 1 o 2 mm. Gli anobi che divorano anche il legno stagionato, sono stanziali e sostano nello stesso luogo sino a distruggerlo totalmente.

I parassiti del legno stagionato crescono meglio quando l’umidità relativa dell’aria, e di conseguenza quella del legno, è maggiore. Per questo i danni ai dipinti conservati in edifici con un umidità relativamente alta sono enormi (Kunut Nicolaus).

La condizione termoigrometrica della cappella dove era conservata, si fa per dire, la Pala di S. Vito era proprio quella ideale per favorire un attacco massiccio e costante degli insetti xilofagi.

Dopo aver staccato dalla pala le traverse che erano state fissate con chiodi, ormai arrugginiti e dopo avere separato le tre tavole che componevano la pala, iniziai a consolidare il legno.

Sulla pala, In prossimità dei chiodi arrugginiti si erano formate delle piccole chiazze ferruginose, la pellicola cromatica, in quei punti, era stata intaccata irrimediabilmente.

Consolidamento della materia lignea

Per il consolidamento dei legni, ho impiegato il paraloid B 72 in diluente alla nitro, in soluzione crescente dal 15 a 30% ad imbibizione, a distanza di otto giorni l’una dall’altra.  Nelle zone molto compromesse dai tarli l’operazione è stata ripetuta.

Analisi storica

Dopo aver tolto i velatini dal dipinto e dalle superfici dell’apparato scenico, ho iniziato l’analisi storica ed artistica dell’opera, sulla base dei dati fornitimi da Don Valentino e Vincenzo Simone. I dati sono stati preziosi ai fini di pervenire alla scoperta di un artista frassese, sicuramente un mio antenato di parte materna, un tale Giuseppe Antonio Agnone di cui si conosce la data di battesimo, 13 luglio 1739, e la probabile data di morte risalente al 1799. Si conoscono, inoltre, dai documenti, i soggetti di altre due opere dipinte, dallo stesso autore, una delle quali era collocata nella Chiesa di S.Vito.

Nella descrizione fatta, intorno alla metà dell’800, dal canonico Pietro Fusco, conservata nell’Archivio di S. Giuliana al fondo Fusco, Platea Canoni, p.239, si legge:

” … la figura di S. Eligio, fatta a Frasso è opera di Giuseppe Ant.° Agnone come pure il quadro di S. Vito .

e alla pagina 231 dello stesso Archivio, nella descrizione della Chiesa Collegiata di Frasso,

… In seguito viene la Cappella di tutti i Santi proprietà del Collegio, sopra l’altare di questa vi si scorge un quadro di tutti i Santi dipinto da Gius. Ant° Agnone da Frasso“.

Questo Giuseppe Antonio Agnone, come si può notare, era un artista di tutto rispetto che operava nell’ambito dell’ufficialità della Chiesa. E pur vero che era nipote di un canonico, Nicolò Agnone, come risulta dagli Stati d anime del 1774.

Il canonico può averlo favorito nelle commissioni da parte della Chiesa locale. Nello stesso “Stati d anime”, davanti al nome del pittore che abita in Via Portella alla casa n.386, compare una M.o, che sta per Maestro, negli Stati d anime successivi, come mi ha fatto notare Vincenzo Simone, compare Mag. che sta per Magnifico. S intuisce che il pittore, avanti negli anni, ottiene riconoscimenti importanti.

Il pittore, inoltre, ha 49 anni negli stati d Anime del 1788, anno in cui dipinge la Pala di S. Vito, come è riportato sul dipinto nella parte centrale in basso. A 49 anni il pittore dunque ha l’incarico e porta a termine una pala di discrete dimensioni per l’altare di S. Vito, che è il più importante dei cinque altari originari della Chiesa.  Infatti, sull’altare si celebrano due messe cantate, una in occasione della festività. di S. Vito, il 15 di giugno e l’altra il martedì in Albis, mentre sull’altare della Madonna del Popolo se ne celebra solo una durante la ricorrenza della ferie di Pasqua di Resurrezione.

L’ artista dipinge la pala con grande libertà pittorica, con ampie pennellate. Nelle nubi sembra adoperare la pennellessa per rappresentare la loro evanescenza.

Il dipinto è eseguito in alcuni punti, sopra un precedente strato di colore.

In un primo momento pensai che gli elementi sottostanti che affioravano sul petto della Madonna, sui piedi del bambino, fossero dei ripensamenti del pittore, questi si notavano solo con una luce radente. Ma, un dato mi sembrò eccitante e m intrigava fortemente: alcuni stilemi pittorici erano simili ai miei soprattutto a quelli degli anni 70. Pensai: avessi ereditato dei cromosomi pittorici, si fa per dire, da questo pittore Agnone?

Certo è che la sola ipotesi di mettere mano sull’opera di un mio antenato mi ha eccitato profondamente. Pensate con quanta cura e attenzione ho restaurato l’opera.

Pulizia dello strato pittorico

Prima di formulare giudizi certi, ho dovuto procedere all’intera pulitura della pala.

Eliminati gli strati d impurità e di polvere che offuscavano l’intera raffigurazione con soluzione basica, il dipinto era ricoperto da un velo di vinavil probabilmente adoperato per frenare il sollevamento della pellicola cromatica. Quest’intervento può essere fatto risalire a non oltre 40/50 anni fa (il prodotto è stato introdotto sul mercato alla fine degli anni 50, su larga scala). L’ uso del vinavil, in alcuni punti in quantità eccessiva, impiegato per far aderire la pellicola cromatica sollevatasi, seppur discutibile dal punto di vista della correttezza del restauro, è stato in ogni caso efficace.

Oggi, se possiamo ammirare e leggere l’opera nella sua interezza, lo dobbiamo all’autore di quest’intervento.  Il velo della pellicola di vinavil, di diverso spessore, era stato dato a pennello sulla superficie pittorica ancora sporca di polvere. L incauto restauratore si era preoccupato e non poteva fare altrimenti, per inesperienza, di dare risoluzione al sollevamento del colore piuttosto che della pulitura o dell’eliminazione di altre impurità. Quest’intervento con il vinavil che è un prodotto poliviniliacetato, trasparente, aveva dato al dipinto una strana colorazione, appariva come offuscato da una sottile lastra lattiginosa ed eterogenea. In sostanza fu adoperato per incollare le pellicole che si erano sollevate e per verniciare le parti rimanenti.

Il mio problema, a questo punto, è stato quello di eliminare lo strato di vinavil e le impurità, per una buona lettura dell’opera.

Dopo alcuni saggi eseguiti, nei punti meno interessanti del dipinto, con diversi prodotti, ho scelto un ritardante per acrilici che non causa alcun danno al colore sottostante. Il prodotto è un medium per colori acrilici della Talens olandese, che è difficile trovare sul mercato per i costi elevati. Ho iniziato, tassello dopo tassello del dipinto, a ricoprire con il ritardante per una durata di circa di 10/15 minuti. Ad ogni intervento, ho tolto, con batuffoli d ovatta inumidita d acqua e/o alcol etilico, la pellicola polivinicola ammorbidita, dalla zona pittorica interessata. Le pellicole più spesse di vinavil le ho asportate tramite il bisturi.

Contemporaneamente a quest’operazione di pulitura, ho eliminato tutte le sostanze estranee con, miscela basica e/o dimetil e acetato d’ ammile.

Analisi artistica: individuazione dell’autore

L’ eliminazione dello strato vinilico e della pulitura del dipinto, sono durati diversi mesi.  Pulito il dipinto, che ormai era leggibile nella sua quasi interezza, ho analizzato il valore artistico dell’opera e la sua appartenenza alle aree culturali.  Da una prima analisi ho costatato che l’opera era stata eseguita secondo due diversi stili. Analizzando meglio il dipinto, mi sono convinto che gli stili esecutivi appartenevano a due diverse e contrapposte personalità.

Iniziamo dai dati certi:

Il dipinto è, da due documenti annotato come opera di tale Giuseppe Antonio Agnone di Frasso;

Nella parte bassa del dipinto si trova una vistosa data, 1788, dopo le iniziali A.P. e AUG.i. Le iniziali A.P., probabilmente, sono quelle del donatore e non dell’autore e Aug.i forse sta per Augusti (mese di agosto).

Secondo la tradizione, l’opera fu eseguita su incarico di un frassese morso da un cane arrabbiato e guarito per intercessione di S.Vito.

Nell’istrumento della vendita del Feudo di Frasso del 1724 incontriamo la descrizione della chiesetta di S. Vito, composta di due cappellette affiancate, con porte separate una dedicata alla Madonna del Popolo e l’altra a S. Vito con suo altare, e il quadro s(opr)a a tavola con immagine della Vergine, dei SS. Vito e Fran(cesc)o . Nell’archivio vescovile di S.Agata dei Goti si trova questa notizia, fornitami sempre da Vincenzo Simone, si tratta della visita Pastorale del 12/11/1701di Mons. Albini-Sante al vol. XIV foglio 159: Sopra l’altare (Chiesa di S. Vito) vi è una corna lignea con cornice di noce intagliata, rappresenta l’immagine della Vergine e dei Santi Vito e Francesco d Assisi .

Se Giuseppe Antonio Agnone ha dipinto la pala di S. Vito nel 1788, si deduce che le notizie fornite da quest’ultimi due documenti, con date 1724 e 1701, si riferiscono ad un altro dipinto

Prima ipotesi: il dipinto descritto da Mons. Albini è stato sostituito dalla pala dell’Agnone?

Seconda ipotesi: tutti i documenti parlano di dipinto su tavola e non su tela, ed è più probabile che l’Agnone abbia dipinto sulla stessa tavola deteriorata. In sostanza l’Agnone ha restaurato la tavola e, come s intendeva il restauro nel 700, ha ridipinto quasi totalmente l’opera lasciando soltanto alcune parti originali: le teste dei due angioletti al centro della composizione, il piede della Madonna con sandali che fuori esce dalla gonna, lo stemma di Frasso Telesino e in qualche piccolo brano del corpo dell’angelo di destra sopra la Vergine. Questi elementi, anche all’occhio di un profano, appaiono completamente diversi dalla restante pittura. La stessa composizione rigorosamente classica è in contrasto con la scioltezza della pennellata naive di Agnone.

Descrizione del dipinto

Al centro del dipinto vi sono le due testine alate di cherubini che segnano il confine tra il cielo e la terra. Sopra di esse una giovanile Madonna, assisa su nubi, è coronata da due angeli, distesi in orizzontale, intenti a reggere con una mano la corona e con l’altra a porgere una rosa e una palma. A destra e a sinistra della Vergine, due coppie di testine alate che, per la fattura pittorica, contrastano con l’eleganza e l’accuratezza d esecuzione dei cherubini centrali.

Sotto la Madonna, a sinistra si trova, S. Vito e a destra S. Francesco d Assisi, al centro è posta la Chiesa di S. Vito con il monte Sant Angelo e lo stemma di Frasso Telesino, rappresentato da un albero fronzuto che si erge dalla terra, stagliandosi sul cielo luminoso. Sulla chioma dell’albero è appollaiata una colomba bianca. Lo stemma è incorniciato da un ovale con fogliame intrecciato.

La composizione della tavola è d impostazione classica, senza novità alcuna e richiama schemi cinquecenteschi, piuttosto che quelli barocchi o tardo barocchi. Non sappiamo nulla del primo pittore, ma la pala è già presente nel 1701 come ci ha riferito Mons. Albini, nella sua cronaca della visita pastorale a Frasso. La pala che possiamo, per comodità, indicare come primo dipinto, per distinguerla da quella dell’Agnone, può risalire agli ultimi anni del 600 il cui pittore, probabilmente di scuola accademica, s ispira a schemi classici –  tardo manieristi e non alla rivoluzione pittorica barocca.

Si può azzardare un ipotesi, in altre parole, che il pittore faccia parte della cerchia di quegli artisti provinciali che dipingono sulla base di novità apprese da maestri provenienti dalla capitale Napoli, quale Tommaso Giaquinto che ha operato, lungamente a S.Agata dei Goti.

Nei pochi elementi superstiti il pittore non ha impiegato un imprimitura sulla tavola e dipinge direttamente sul legno, per sfruttare le sue venature e per ottenere una tessitura grafica che asseconda le forme dipinte. Anche l’Agnone, nel mettere mano alla tavola per restaurarla, dipinge direttamente sul legno senza ricorrere alla preparazione ma, lo fa con intenti diversi, egli deve recuperare i pochi elementi rimasti integri e ricostruire la frammentarietà della composizione; l’imprimitura l’avrebbe costretto a coprire il tutto e ad impostare una nuova raffigurazione. Non sappiamo se sia stata una scelta dell’artista o una volontà del committente che, per devozione, desiderava fare ripristinare la vecchia composizione.

Quest’ultima ipotesi è la più attendibile, non si spiegherebbe come l’Agnone che è in possesso di una pennellata veloce e dinamica si sia fatto sfuggire l’occasione di dare qualche ritocco ai frammenti del vecchio dipinto. Cosa che fa chiaramente sulla mano della Vergine che preme il seno nudo per allattare il figlio. Il seno in origine era più grosso dell’attuale, lo si nota dal capezzolo in posizione sottostante, rispetto all’attuale. L Agnone copre in parte il seno con la veste purpurea della Madonna e lo rimpicciolisce nella forma. Il Bambino Gesù, che è tenuto dalla madre sulle ginocchia, aveva una posizione differente dei piedi, infatti, con una luce radente si notano le positure diverse.

Consolidamento dell’opera

A questo punto ho sistemato la pala su una parchettatura per la sua stabilità e per procedere nel lavoro.

Ho incollato, con pasta di legno senza chiodi, sul retro della pala, un intelaiatura di legno tassellato.

Le tre tavole, che compongono la pala, erano deformate (imbarcate) e prima dell’assemblaggio con l’intelaiatura, le ho sottoposte ad una pressione controllata tra due ripiani stretti con morsetti a vite.

Incollata la pala con la parchettatura, le parti mancanti le ho ricostruite con pasta di legno e le ho stuccate con gesso di Bologna.

Le pellicole pittoriche che si sollevavano per alterazione della coesione e adesione (vuoti sottostanti, colore riarso) le ho fatte riaderire al supporto ligneo con il primal. Il primal mi è servito anche per consolidare la parte lignea sottostante il dipinto, sia in corso di quest’operazione e sia in quella successiva di ritocco del colore. Con iniezioni di primal A C 33 e acqua dal 50% al 25 % sono intervenuto, ogni qualvolta intuivo che c era un vuoto sotto la pellicola cromatica.   Il legno così consolidato, ha reso stabile la pellicola cromatica.

I ritocchi successivi li ho eseguiti ad Acquerello. Al termine la pala è stata verniciata con prodotto della Lefranc-Bougeois.

Altro capitolo con aspetti interessanti è, il portale di legno dorato e dipinto che incornicia la pala.

Quest’elemento probabilmente fu tolto da un altro ambiente e, per l’imponenza e la suggestione scenografica, fu sistemato come cornice intorno alla Pala di S, Vito, che ritenevano degna di tale architettura. Quest’elemento fu costruito probabilmente per restringere un vano d accesso, non si spiegherebbero altrimenti i dipinti che sono sul retro.

Dipinti che erano notati da chi varcava la soglia attraverso la preziosa architettura.

I dipinti sono: nel retro dell’architrave, un bel festone monocromo;

dietro le due lesene, una decorazione speculare rappresentante, un fascio verticale di fiori che fuoriescono da un cranio. Tracce di decorazioni si trovano anche dietro la croce, in alto. Le decorazioni pur essendo deteriorate, ancora si riescono a leggere nelle linee essenziali.

Alcuni pezzi dell’elemento architettonico mancavano del tutto o erano rovinati notevolmente. Ho provveduto, dove era possibile, a ricostruire i pezzi con materiale adeguato: legno stagionato e incollato con pasta lignea. Con la stessa pasta di legno ho ricostruito parti di cornici della trabeazione e delle due lesene, delle decorazioni delle colonne, i riccioli dei capitelli, gli ovuli e anche uno dei due vasetti sopra l’architrave. I calchi in gomma siliconica, utilizzati per la ricostruzione degli elementi decorativi mancanti, sono stati ottenuti da pezzi originali restaurati. Alterazioni della doratura erano presenti dappertutto. Si notavano vecchi interventi di restauro fatti con porporina o addirittura con dell’arancione e terra di Siena. Dopo aver stuccato, con gesso di Bologna, ho dato l’imprimitura sia come preparazione al colore e sia sulle superfici da ricoprire con foglia d oro. L oro in foglie adoperato è l’orone, lo stesso impiegato in origine. L oro è stato incollato su bolo di colore ocra della Lefranc, a guazzo e brunito con pietra d agata.

Ho recuperato solo alcuni brandelli della vecchia doratura che sono serviti come documento ma anche per intonare il nuovo oro.

Il Blu cobalto dell’apparato scenico che si era ossidato, solo in pochi punti non compromessi, durante la pulitura, è emerso nel suo splendore originale. Proprio riferendomi ai pochi lembi del colore originale, ho trattato tutte le parti con il blu cobalto, ottenuto (così come si faceva allora), con pigmento d azzurro oltremare e verde smeraldo stemperato con colla totin.

Il blu cobalto abbinato all’oro, è stato impiegato anche in un apparato settecentesco, simile a quello di S.Vito, che si trova nella seconda cappella a sinistra della Chiesa dell’Annunciata a Sant Agata dei Goti.

Probabilmente l’uso di quest’abbinamento cromatico era una tendenza estetica del territorio durante il 600/ 700.

Ho verniciato alla fine tutto l’apparato architettonico con alcol etilico e gommalacca a protezione sia del colore e sia della doratura.

Indicazioni per la conservazione

Al fine di evitare nuovi danni sarebbe opportuno conservare l’opera in condizioni di umidità e temperatura idonee e costanti e, per evitare il pericolo di furto (visto i precedenti), si consiglia d installare un sistema di allarme nel luogo che ospiterà la pala.

Conclusioni

Al termine del restauro posso considerarmi soddisfatto soprattutto nel portare a termine un lavoro che ha come destinatari i frassesi proprietari dell’opera. L opera che è nell’insieme imponente e suggestiva con un suo fascino indiscusso, pur non essendo di grandissime qualità figurative, testimonia il grado di civiltà artistica che a Frasso si esprimeva attraverso i suoi artisti, nel sei-settecento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Translate »