Arte & ArtigianatoLa Carta

La carta: storia e tecnologia

Cenni storici della carta nel periodo pre-industriale

La carta venne introdotta come supporto per la scrittura in sostituzione del papiro, utilizzato dalla cultura antica, e della pergamena in uso nel Medioevo. Entrambi sono materiali costosi e di limitata diffusione. Il nuovo utilizzo della carta segnò un progresso nella società araba ed europea.
Si narra che gli imperatori cinesi abbiano mantenuto segreta la metodologia di fabbricazione della carta per molto tempo. Solo dal VII secolo d.C. si diffonde in Corea, in Giappone, ed infine a
Samarcanda (Asia centrale) dove gli Arabi appresero tutte le tecniche proprio da due fabbricanti di carta cinesi, presi in ostaggio, per divulgarle nel Medio Oriente e nell’area mediterranea.

Verso l’anno mille grazie agli Arabi, la fabbricazione della carta raggiunse l’Egitto, segnando la fine del papiro, e della pergamena, arrivando poi in Italia e in tutta Europa.
Gli Arabi sono i maestri primitivi dei cartai fabrianesi: la cartiera di Fabriano cominciò la sua attività già dal XII secolo (forse 1173), e rimase il centro principale di produzione della carta in Italia (come Genova e Bologna a partire dal 1200) e in Europa fino al Rinascimento anche se non
tutti riponevano piena fiducia nel nuovo materiale, ed alcuni continuavano a preferire la pergamena, nonostante fosse molto più costosa.

Il libro da me analizzato è stato stampato su carta nel 1557.
Nel 1516 la diffusione della stampa a caratteri mobili dona alla carta il ruolo di strumento e di veicolo insostituibile per la diffusione della cultura e dell’informazione. I maestri fabrianesi apportano una serie di miglioramenti che rende la carta tenace e funzionale rispetto ai precedenti
supporti scrittori. Le cartiere italiane continuarono a costituire un’industria fiorente fino al XVII secolo quando sul mercato europeo iniziano ad imporsi le industrie francesi e olandesi, così nel XVIII secolo le innovazioni scientifiche e tecnologiche segneranno la crisi delle manifatture italiane
incapaci di tenere il passo delle nuove tecniche di produzione .

La materia prima

I Cinesi preparavano le materie prime fibrose per la carta, ammorbidendole nell’acqua e poi pestandole in mortai di pietra con pestelli di legno. Essi usavano come materia prima le canne di bambù, paglie e corteccia di bacchette di gelso ecc.
Gli Arabi invece utilizzavano il lino, il cotone e la canapa, quindi anche i cartai fabrianesi si servivano della stessa materia prima sotto forma di stracci.

Con il cotone (almeno per l’Europa fino all’avvento della rivoluzione industriale) si ottiene una componente mediocre, invece con il lino
seguito dalla canapa, si ottiene una carta di alta qualità; esiste anche la carta di seconda qualità che si ottiene con stracci di lana o di seta, stracci colorati, cordami e reti da pesca.

Gli stracci divennero però una materia prima insufficiente quando l’invenzione della stampa fece crescere il fabbisogno di materiale scrittorio e le cartiere divennero così numerose da provocare una scarsità di
disponibilità di stracci; per i maestri cartai era un materiale tanto prezioso da indurli spesso a sollecitare materiale allo Stato e privare la gente ammalata dei propri indumenti.

Con una situazione del genere urgeva trovare un materiale che potesse sostituire degnamente le stoffe. Ecco che nel XVIII si scoprirono nuove materie prime come la pasta di legno e le polpe di carta e si scoprì il
cloro per la sbianca degli stracci.

Trattamento degli stracci

Gli stracci in primis venivano selezionati in base alla qualità, al colore e al grado d’usura, dopo di che venivano privati delle parti non utili, tagliati e battuti per eliminare lo sporco; poi lavati e liscivati per sgrassarli, per ammorbidirli e per sbiancarli, dopo di che venivano lasciati al sole ad
asciugare. La tecnica di liscivazione più antica veniva eseguita con acqua calda e cenere, poi con il passare degli anni si eseguirono varie sperimentazioni che portarono all’utilizzo della soda o della calce.

Dopo la liscivazione i tessuti subivano un altro lavaggio e venivano poi tagliati a strisce finissime con l’ausilio di lunghi coltelli.

Fermentazione degli stracci

Per ottenere la pasta fibrosa, c’era necessità di far fermentare gli stracci in vasche piene d’acqua, chiamate marcitoii (o maceri ndr), dove venivano lasciati dalle quattro alle sette settimane.

Collocazione della canapa al macero

La qualità della pasta dipendeva dalla durata della fermentazione, dalla variazione della temperatura nella vasca, e tutto ciò veniva deciso dal maestro cartaio.

Preparazione della pasta di stracci

Dopo la fermentazione, per separare le fibre riducendoli in pasta (cosiddetto pesto) e quindi ridotti quasi a cellulosa pura, gli stracci, venivano triturati con appositi macchinari i quali subirono un’evoluzione nei secoli. I cinesi utilizzavano un mortaio a mano di legno, poi gli Arabi passarono ai pestelli azionati a mano; questa tecnica innovativa prende il nome di follo arabo, costituito da vasche di pietra (pile) con pestelli non chiodati (magli) azionati a mano.

Poi i fabrianesi nel XIII secolo introdussero l’innovativa ruota idraulica per azionare il sistema di pestelli chiodati, rappresentando un notevole progresso, che venne utilizzata fino alla fine del XVII secolo, subendo soltanto qualche miglioria.

Pila olandese a cilindro

Nel 1680 in Olanda viene introdotta la pila olandese o pila a cilindro, costituita da una vasca munita di un cilindro rotante provvisto di lame d’acciaio. Col tempo andò a sostituire la pila a magli nel resto d’Europa. Perché era in grado di ottimizzare i tempi di triturazione di 2/3, e di non perdere tanta materia prima (resa del 95% contro il 70%); inoltre il suo impiego poteva evitare il marcitoio (o macero ndr). Però questa macchina produceva una carta meno resistente con una fibra più corta, risultava anche una carta facile da collare e con meno imperfezioni.

Pila a magli

La pila a magli fabrianese consisteva in un sistema di vasche di pietra munite di martelli lignei legati tra loro e azionati dalla ruota mossa da un ingegno idraulico, questi si alzavano e ricadevano nelle pile.

Pila idraulica a magli multipli -Museo della scienza e tecnologia-Milano-

I magli erano di forma e dimensione diverse a seconda dell’operazione che dovevano svolgere: una prima serie di martelli chiodati (pila a cenci) triturava gli stracci una prima volta; poi la seconda triturazione veniva fatta con la pila da ripesto, costituita da magli muniti di biette (denti
di ferro) con la punta piatta. Infine la terza battuta veniva eseguita con la pila a sfiorato, il pesto veniva sfibrato con magli più piccoli e privi di biette in acqua per stemperare le fibre. Il processo durava dalle 30 alle 40 ore con acqua corrente e accuratamente filtrata per evitare l’intrusione di
impurità nell’impasto e uscendo dal setaccio posto in fondo la pila; anche da questa piccola accortezza ne dipendeva la qualità della carta.

Formazione del foglio

In un tino di legno rotondo, viene versata la sospensione lattiginosa, biancastra (pasta di carta), precedentemente preparata, mantenendola tiepida, a 25°C circa, per mezzo di un fornelletto posto alla base della tina.

Formazione del foglio

Il lavoratore o prenditore, ha il compito di formare il foglio. Tale processo
inizia prelevando dalla tina la giusta quantità di pasta di carta per mezzo della forma – un setaccio rettangolare di legno, con un piano filtrante formato da sottilissimi fili d’ottone, le vergelle, posti orizzontalmente nel lato maggiore rispetto ai filoni che sono posti verticalmente, questi sono dei fili in ottone più spessi e più distanziati fra loro, nel lato minore del rettangolo. Le due serie di fili sono sovrapposte e legate l’una all’altra e a sua volta sono fissate e sormontate dai colonnelli, delle sottili assicelle in legno – a tale forma si sovrappone una cornice in legno amovibile, il cascio, in grado di trattenere la giusta quantità di pasta in base allo spessore del foglio e alla dimensione che si desidera ottenere.
Quando il prenditore ritira la forma dalla vasca, sul reticolo metallico l’acqua filtra via e il materiale solido si deposita restando attaccato alle vergelle, creando uno strato fibroso, così che la trama metallica della forma lascia la sua traccia all’interno del foglio più sottile.

Simultaneamente il ponitore, un’altra figura professionale in cartiera, estrae il cascio e applica un feltro sul foglio in modo da poter capovolgere tutto l’insieme (feltro, foglio e forma) così da togliere la forma e liberare il foglio.

Ciò viene ripetuto per altri fogli, circa un centinaio, fino ad ottenere una pila la cosiddetta posta.

Spianamento

Dopo di che la pila viene pressata fortemente in un processo chiamato spianamento dove il torchio a vite stira le carte, privandole di pieghe e facendole perdere circa il 50% d’acqua rimasta, riducendo così i tempi di asciugatura.

Antico torchio. Museo della scienza e tecnologia-Milano-

Lo spianamento è un processo molto delicato, bisogna far attenzione perché qui si formano i legami fra le fibrille che garantiscono resistenza alla carta. Al termine dell’operazione i fogli, in mazzette da cinque o più, vengono messi negli appositi stenditoi, generalmente corde di canapa, per l’asciugatura, ma lasciandoli un po’ umidi per una miglior collatura successiva.

La collatura

I fogli destinati alla scrittura devono subire un trattamento speciale per impedire che l’inchiostro venga assorbito dalla carta, perché la carta fatta di sola cellulosa è fortemente assorbente e inadatta alla scrittura, per ale motivo deve essere impermeabile; è necessario quindi spalmare sulla
superficie una sostanza idrofoba: bisogna collarla.

Invece i fogli destinati alla stampa non ne avevano bisogno, infatti la maggior parte degli incunaboli sono stampati su carta molto poco o per
nulla ricoperta da nessun tipo di sostanza idrofoba.
Il collatore, con un gesto rapido, immerge direttamente nel tino – non veniva spalmata col pennello – una mazzetta (5 o 10 pezzi) di fogli presa dagli stenditoi, nel bagno di colla diluita con dell’acqua (circa 35°C), stando attento che tutti i fogli fossero abbondantemente ricoperti di
gelatina. Per eliminare la sostanza in eccesso, i fogli collati vengono pressati e poi messi nello stendino ad asciugare, dopo di che vengono posizionati nel lisciatoio per una decina d’ore.

Per la lisciatura sono stati utilizzati diversi tipi di attrezzi; pietre di selce o di altro tipo, denti di animale, stecche d’osso, o addirittura un grossa mazza azionata da una ruota idraulica, impiegati fino alla
fine del Seicento. Poi si sviluppò il cilindro metallico.

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