Arte & Artigianato

Storia del Gioiello

La “Storia del Gioiello” ci porta in un viaggio fantastico tra i più grandi tesori della storia raccontandoci i personaggi e le emozioni che questi gioielli suscitano

Fonte: Dott.ssa Silvia Fini docente di “Storia del gioiello” presso l’Ateneo di Bologna

Viaggio tra i più grandi tesori della storia

Tutto ciò che sappiamo sulla storia del gioiello ci è pervenuta dai corredi funerari ritrovati, a volte per caso, durante gli scavi archeologici.

Fin dall’età della pietra l’uomo iniziò a sviluppare la credenza nell’aldilà, avviando nel contempo la pratica di inumazione, con corredi funerari formati da oggetti e monili che possono dare una seppur limitata idea, dell’evoluzione tecnica e degli stili che si sono succeduti nel tempo. I primi reperti sono in genere pendenti formati con oggetti semplici come conchiglie, denti e ossa di animali, raccolti e indossati soprattutto dai cacciatori europei con la funzione di amuleti.
Con l’affinarsi dell’abilità nella lavorazione della pietra, si diffusero monili formati da perline o grani; ma è attorno al 4.000 a.C., con i progressi compiuti nella lavorazione dei metalli, che si ebbe una radicale evoluzione nella creazione dei monili. Il metallo più usato, grazie alla sua malleabilità e inalterabilità era certamente l’oro, che raramente in natura si trovava allo stato puro, ma spesso si presentava in lega con l’argento.
A volte l’argento raggiungeva una percentuale fino a un quarto, formando una lega denominata “elettro”.
L’ oro veniva estratto setacciando i letti dei fiumi, oppure stendendo una pelle di pecora nei corsi d acqua corrente, che veniva poi stesa al sole e scossa per staccare la polvere d oro che vi rimaneva imprigionata. Da questa pratica nacque probabilmente il mito greco del “vello d oro” e ancora oggi alcune popolazioni di pastori seminomadi che vivono nelle zone montuose della Colchide, cercano l’oro utilizzando setacci con pelle d’ ariete.

Il Tesoro di Ur in Mesopotamia
Ricostruzione del busto  della regina  Pu-abi eseguito da Leonard Woolley
Ricostruzione del busto  della regina  Pu-abi eseguito da Leonard Woolley

Uno dei tesori più raffinati del mondo antico è stato rinvenuto in Mesopotamia, negli scavi condotti dall’archeologo Leonard Woolley tra il 1926 e il 1932. Dalle tombe reali dell’antica città di Ur, databili attorno al 2500-2300 a.C., Woolley riportò alla luce i corredi funerari di oltre 1800 tombe, appartenenti alla regina Pu-Abi e ad alcuni membri della sua corte (damigelle, musici, guardie e servi), che hanno permesso di ricostruire la moda del tempo. Le donne indossavano diademi formati da sottili fasce di foglie d oro, grandi orecchini a mezza luna, anelli, collane e braccialetti in pietre dure tubolari o in paste vitree, alternati a piccoli cilindri d oro decorati a punzone. Gli uomini portavano orecchini, collane, bracciali, braccialetti e ornamenti pettorali. La regina Pu-Abi apparve poi ricoperta da un mantello decorato da pietre preziose, con una elaboratissima acconciatura sul capo composta da fili d oro che sostenevano una decorazione in pietre dure tubolari, con dischi, foglie e fiori in lamina d oro lavorata a sbalzo e a incisione.

Il Tesoro di Priamo

Uno dei “pionieri” alla ricerca degli antichi tesori della storia fu certamente Heinrich’Schliemann, che negli scavi effettuati attorno al 1873 alla ricerca della mitica città di Troia, rinvenne un tesoro, da lui battezzato “tesoro di Priamo“, nascosto in uno strato di ceneri lasciato da un incendio, che successivamente si scoprì essere in realtà più vecchio di circa 1500 anni rispetto alla città cantata da Omero.
Egli non aveva ottenuto il permesso dalle autorità turche per effettuare quegli scavi e quindi esportò in gran segreto il tesoro ad Atene, depositandolo nel caveau di una banca.

Heinrich'Schliemann (1822-1890)
Heinrich’Schliemann (1822-1890)

Alcuni sostengono che Schliemann propose il tesoro ad alcuni grandi musei europei, che rifiutarono di acquistarlo o semplicemente di esporlo. Per certo sappiamo che egli subì un processo per esportazione illegale, istruito su richiesta della parte turca, che lo condannò al risarcimento di 10.000 franchi. Egli spontaneamente pagò ai turchi la somma di 50.000 franchi, acquisendo la proprietà di una collezione di oggetti assolutamente unici, appartenenti ad un periodo della civiltà europea ancora sconosciuto per la scienza. Il tesoro venne successivamente portato da Schliemann in Germania e donato al museo nazionale di Berlino ma sul finire della seconda guerra mondiale, l’Armata Rossa sovietica se ne impossesso e lo porto in URSS, dove rimase per circa cinquant anni in un deposito sotterraneo segreto del Museo Pushkin di Mosca.

Solo dopo il crollo dell’Impero dei Soviet il tesoro e ricomparso ed e stato esposto al pubblico con una mostra inaugurata nel 1996. I pochi fortunati che hanno avuto la possibilità di vedere per la prima volta il “tesoro di Priamo” riferiscono di aver riconosciuto solo parte dell’originale collezione di Schliemann, tuttavia i reperti sono ancora perfettamente conservati: si tratta di anelli, grandi orecchini, collane e bracciali tutti in oro, lavorato ad incisione e decorato con filigrana e granulazione. In particolare spiccano due diademi formati da catene orizzontali alle quali sono fissate delle catenelle verticali pendenti, ornate da sottili lamine d oro, che formano una frangia sulla fronte, scendendo poi ai lati del viso fin sulle spalle. Tutti ci auguriamo che molto presto si possa ammirare questa storica collezione in una mostra itinerante, ma vi è una contesa ancora da risolvere fra tre paesi che ne rivendicano il possesso: la Germania sostiene di essere stata derubata, la Turchia afferma di averne la legittima proprietaria in quanto reperto rinvenuto sul suo territorio, mentre la Russia lo considera un risarcimento dai danni umani subiti dai nazisti.

Le scoperte più recenti

Questi due tesori, assieme a quello scoperto nel 1922 da Howard Carter e Lord Carnarvon nella tomba di Tutankhamon, sono i più noti e leggendari, ma negli ultimi vent anni, alcune spedizioni di archeologi sono state testimoni di clamorose scoperte che per varie vicende storico politiche sono rimaste sconosciute al mondo e che solo ora hanno cominciato a suscitare interesse.

Howard Carter all'ingresso della tomba di Tutankamon
Howard Carter all’ingresso della tomba di Tutankamon

In particolare nel 1989, una spedizione irachena iniziò gli scavi presso l’antica capitale assira, Kalkhu che ospitò tre generazioni di re, prima che la capitale venisse spostata alla più nota Ninive. In questa località dell’Iraq settentrionale che oggi si chiama Nimrud, gli archeologi riportarono alla luce tre sepolture di regine con i loro ricchi corredi funerari in oro, decorati con intarsi di pietre semipreziose e smalti. Al momento della scoperta, il ritrovamento venne annunciato solo ad una ristretta cerchia di studiosi e dopo lo scoppio della Guerra del Golfo, il successivo isolamento dell’Iraq fece perdere ogni traccia di questo tesoro, fino a dubitare della sua effettiva esistenza. Solo dopo la caduta di Saddam, il governo amministrativo americano, preoccupato per i furti di opere d arte, nominò ministro della Cultura Irachena l’italiano Pietro Cordone, con l’incarico di salvaguardare e recuperare i reperti rubati durante il clamoroso saccheggio del museo di Baghdad.

Cordone recuperò in breve tempo tutti i reperti più importanti della collezione e la direttrice del museo nazionale di Baghdad gli rivelò che Saddam, preoccupato per le conseguenze della Guerra del Golfo, aveva trasferito numerosi reperti archeologici nel caveau della banca centrale. L apertura della camera blindata riservò non poche sorprese: una somma di denaro pari a circa 360 milioni di dollari e, in un caveau parzialmente allagato da infiltrazioni d acqua, alcune casse contenenti un tesoro perfettamente conservato, composto da 615 monili, tra i quali spicca una splendida corona d oro composta da dozzine di piccoli pezzi d oro lavorato a sbalzo e filigrana. Questo importante ritrovamento, paragonabile al tesoro di Tutankhamon, è stato esposto per la prima volta durante la riapertura del museo di Baghdad, al cospetto di una folla estasiata, e presto dovrebbe iniziare un tour che coinvolgerà tutti i musei del mondo disposti a ospitarlo in tutto il suo folgorante splendore.

L' archeologo russo Victor Sarianidi gioca a backgammon con un locale turco sotto la tenda
L’ archeologo russo Victor Sarianidi gioca a backgammon con un locale turco sotto la tenda

Forse il più clamoroso dei ritrovamenti, ma anche il più inaspettato poiché situato in una zona lontana dalle grandi e note civiltà del Mediterraneo, avvenne ad opera di una spedizione sovietica guidata dall’archeologo Victor Sarianidi, nella zona situata tra l’odierno Kazakhstan, Uzbekistan e Afghanistan.  

In questo crocevia situato tra le grandi rotte commerciali provenienti dall’oriente e dalla Persia, vi era una regione denominata Bactriana, che divenne parte dell’impero macedone sotto il regno di Alessandro Magno.

Dai greci venne definito “il paese dalle mille città” acquisendo una grande importanza, tanto che lo stesso Alessandro prese in moglie una principessa del luogo di nome Rossana.

L’ interesse della spedizione di Victor Sarianidi si concentrò in particolare nella città di Bactria, situata nel nord dell’Afghanistan e citata dai testi letterari cinesi, arabi e persiani come “Balkh la bella, madre di tutte le città”. Questa splendida località, che ospitò anche le sontuose nozze di Alessandro e Rossana, era talmente bella che nemmeno gli invasori provenienti dalla Mongolia osarono distruggerla, ma si integrarono perfettamente con la cultura esistente, dando vita all’impero Kushan, caratterizzato da una perfetta fusione tra cultura greco ellenistica, persiana, cinese, indiana e sciita.

Il Tesoro di Tillya Tepe

La squadra guidata da Victor Sarianidi, iniziò gli scavi sulla collina di Tillya Tepe, (la collina d oro), riportando alla luce nel 1978 sei tombe principesche di nomadi Khusan risalenti al I secolo d.C. contenenti una enorme quantità di oggetti preziosi di straordinaria fattura e stile unico, che vennero prontamente catalogati e rinchiusi in casse di metallo.
Dopo l’occupazione sovietica, il tesoro fu trasferito in tutta fretta nei depositi del museo nazionale afghano e venne mostrato solo per un giorno a diplomatici stranieri per dimostrarne l’esistenza e l’integrità. Quando, dopo il ritiro delle truppe sovietiche, scoppiò la guerra civile, lo stesso Victor Sarianidi racconta di aver scritto a numerosi musei, enti e associazioni, tra cui l’Unesco, per chiedere di depositare momentaneamente il tesoro fuori dal territorio afghano, ma nessuno si dichiarò interessato. A partire dal 1989 il tesoro fu dunque segretamente nascosto nelle cassette di sicurezza del settore presidenziale della Banca centrale di Kabul e da quel momento se ne perse ogni traccia.

Pendente detto « il sovrano e i draghi » Afghanistan, Tillia tepe, tomba II. I secolo. Oro, turchese, granate e lapislazzuli, 12,5 x 6,5 cm, Museo nazionale afgano. MK 04.40.1091 © Thierry Ollivier / Museo Guimet
Pendente detto « il sovrano e i draghi » Afghanistan, Tillia tepe, tomba II. I secolo. Oro, turchese, granate e lapislazzuli, 12,5 x 6,5 cm, Museo nazionale afgano. MK 04.40.1091 © Thierry Ollivier / Museo Guimet
Corona, Tillia tepe, tomba VI. I secolo. Oro, 45, 0 x 13, 0 cm, Museo nazionale afgano. MK 04.40.50 © Thierry Ollivier / Museo Guimet
Corona, Tillia tepe, tomba VI. I secolo. Oro, 45, 0 x 13, 0 cm, Museo nazionale afgano. MK 04.40.50 © Thierry Ollivier / Museo Guimet

Dopo il saccheggio della riserva aurifera afghana da parte dei talebani, che si trovava anch’essa nella camera blindata della banca nazionale, sembrava che tutto il lavoro di una vita di scavi archeologici fosse andato perduto per sempre. Fu solo grazie all’accortezza e al coraggio di uno dei custodi che ciò non avvenne: egli ebbe l’idea di rompere la chiave all’interno della serratura della porta blindata e i talebani, nonostante quattro giorni di tentativi non riuscirono ad aprire il caveau. L oro della Bactriana, venne dunque esposto per la prima volta nel 2003, quando dopo l’apertura della cassetta di sicurezza si constatò con grande sollievo che tutti gli oltre 21.618 preziosi oggetti, tutti in perfetto stato di conservazione, non avevano mai lasciato Kabul. Tra i pezzi più particolari e degni di nota: una corona pieghevole da viaggio che poteva essere inserita nella tasca della sella, bracciali con raffigurazioni animaliste di derivazione sciita, ma anche fibbie decorate con amorini in stile ellenistico e una statua di Buddha che sembra sia la più antica mai ritrovata.
Questo splendido tesoro, simbolo di perfetta armonia tra diverse culture è stato esposto prima a Parigi e poi a Torino in una mostra intitolata “Afghanistan, i tesori ritrovati” che ha riscosso un enorme successo, accendendo finalmente interesse per i tesori del passato, come avvenne con la scoperta di Pompei e il tesoro di Tutankhamon in Egitto.

Conclusioni piene di speranza

Ci si è accorti finalmente che gli oggetti d oro, anche se dal punto di vista storico sono meno significativi di una stele o di un vaso dipinto, possono diventare i principali poli di attrazione di visitatori museali, grazie al loro fascino e al mito che spesso li accompagna.
Mi auguro dunque che questi straordinari manufatti, miracolosamente sopravvissuti a guerre, incendi, dittature e saccheggi, riescano in qualche modo a farci ritrovare le antiche radici comuni, che appartengono ad quell’universo di antiche civiltà in stretto contatto tra loro, che alcuni storici chiamano Eurasia.

Il Ritrovamento del tesoro della Bactriana o di Tyllia Tepe.

A Kabul, in Afghanistan nella sua Banca Centrale che ha sede nel palazzo presidenziale, appena pochi mesi addietro e in modo assolutamente casuale sono stati ritrovati ricchi e famosi reperti archeologici costituenti il tesoro della Bactriana o di Tyllia Tepe.

Ufficiali di quella banca centrale, nel cercare i lingotti d oro della riserva aurea nazionale afghana precedenti all’invasione sovietica, abbattendo una porta blindata sotterranea hanno rinvenuto, oltre ai lingotti del valore di 90 milioni di dollari, degli abiti aggrovigliati e altre stoffe contenenti 20600 manufatti d oro di varie dimensioni, scaglie grandi quanto un unghia e figurine.
Si tratta, come detto sopra, del tesoro della Bactriana o di Tyllia Tepe, ritrovato nel 1978 dall’archeologo russo Victor Sarianidi in sei tombe situate nel villaggio fortificato di Shibergan risalente al I secolo d.c. posto nel nord del Paese e vicino all’omonima oasi.
I resti dei corpi trovati nelle tombe, tutti personaggi altolocati, erano ricoperti da corredi funebri di gran pregio oltre che da oggetti d oro come monete, collane, fermagli con pietre dure e turchesi, bracciali, orecchini e una statua di budda antropomorfica risultante essere la più antica trovata.

Gli aspetti cronologici

Del tesoro non si parlò più dopo il suo ritrovamento.
Tornò attuale allo scoppio della guerra tra gli USA e l’Afghanistan dei Talebani avvenuta l’11 settembre 2001. Tutti i giornali soffermarono la loro attenzione su quel tesoro che si suppose fosse stato rubato, fuso dai Talebani, venduto sul mercato internazionale o nascosto dal comandante dell’alleanza del Nord, Massud, scappato da Kabul nel 1996; tutte le voci ebbero uguale insistenza e circolarono con altrettanta fondatezza.
Gli inizi.
La storia cominciò nel 1978, e proseguì in modo pressocchè rocambolesco quasi come nei romanzi d avventura, quando il già citato archeologo russo Victor Sarianidi, (ne ripetiamo il nome per rinnovarne il merito), fece l’importante ritrovamento.
Com era prevedibile a nulla valsero le precauzioni dell’archeologo e in breve, sparsasi la voce, si diressero sul luogo sempre maggiori torme di avventurieri con il miraggio di arricchirsi. Fortunatamente intervennero i militari a presidiare la zona che venne così salvaguardata efficacemente (Quasi).
Proprio un romanzo d ‘avventura.  Durante gli scavi, venne approvata e costruita una strada transitante nelle vicinanze che arrecò notevoli disturbi e disagi, e prolungate e ripetute piogge danneggiarono le strutture degli scavi. Finalmente i reperti vennero scortati e trasferiti a Kabul dove però venne scoperto che un mercante provò a vendere ori uguali a quelli archeologici di cui circolavano notizie.
Si provvide ad indagare e a fermare il mercante ma questi non fu trovato e con lui sparirono all’estero anche gli ori.
Andata via l’Armata Rossa venne abbandonata l’area archeologica. Immaginate lo stato d animo dell’archeologo russo Tutto il suo lavoro lo ritenne buttato al vento e con esso l’insieme dei reperti che avrà immaginato nelle collezioni private e illegali di ricchissimi quanto cinici e disinibiti collezionisti privati con tutt altro spirito che il mecenatismo. (Ne abbiamo uno in casa?)
Il tesoro intanto era già a Kabul e lì restò dimenticato sino al 1982 quando l allora presidente filosovietico Najibullah lo fece catalogare, fotografare. Nel 1989, dopo la partenza dell’Armata Rossa, il tesoro fu fatto prendere da quello stesso presidente per mostrarlo riservatamente agli ambasciatori stranieri dimostrando che i Russi non l’avevano trafugato e dopo fu fatto riporre nel caveau assieme alla riserva aurea nazionale e ad altre rarità e preziosi del museo di Kabul dove venne pressocchè dimenticato ancora una volta e la cui esistenza in breve restò nota solamente a 7 persone tra cui lo stesso presidente.
Purtroppo per lui nel 1996, giunti al potere i Talebani, fu da questi mutilato ed impiccato.
In quello stesso anno, Massud assediò Kabul e il Museo si trovò in zona d operazione riportando danni soprattutto a ciò che custodiva e che finì distrutto o trafugato. A questo punto la comunità internazionale ricostituì SPACH (Society for Protection of Afghanistan Cultural Heritage), un organo per proteggere quanto rimase. Catalogato ciò che restò, cioè il solo 30%, si provvide a riporlo ancora una volta nella Banca centrale di Kabul.
Un episodio è meritevole d essere ricordato alla pari di quello svolto dall’archeologo russo ed è stato riportato in Afgha.com, un sito in lingua inglese, punto d incontro dove si ritrovano tutti i profughi afghani dispersi per il mondo.
I Talebani, durante il loro governo, cercarono valori in diversi caveaux e tra questi giunsero in quello contenente i reperti di Tyllia-Tepe. Ma il custode afghano Askerzai, a cui deve andare il nostro riconoscimento, con calcolata astuzia ruppe all’interno della serratura della porta blindata la chiave falsa accortamente utilizzata per quella finalità. Per sua fortuna non fu compreso l inganno che venne invece addebitato a negligenza e in forza di ciò fu condannato ad alcuni mesi di carcere.
Dopo quel tentativo, vanificato da Askerzai, i Talebani provarono ancora per tre ore a forzare la porta blindata senza riuscirvi, abbandonando l’impresa e fuggendo per il contemporaneo ingresso degli Americani in città.
La porta fu forzata solo dopo molti tentativi ad opera di un fabbro che impiegò molti giorni e appena aperta ne fu tratto l’oro e venne riposto in altro caveau della Banca Centrale dove ancora attende la collocazione definitiva.
La Rivista “The Art Nwespaper”, per ultimo e recentemente, ha comunicato indiscretamente che sono ancora in corso gli sforzi tentati dalla sezione americana di National Geographic Society e del Museum Guinet francese per organizzarne una mostra sotto il proprio patrocinio l’una cercando di bruciare sul tempo l’altro.
Importante riportare su ciò quanto detto dalla citata prof.ssa Arcangela Santoro: “Un tesoro che emoziona perchè parla di una società capace di convivenza, disponibilità verso altre culture, capace di reinventarsi combinando insieme diversi linguaggi“.

(tratto da http://www.archeologia.com/)

Mostra “Afghanistan, i tesori ritrovati. Collezioni del museo nazionale di Kabul” Parigi, Museo nazionale della arti asiatiche Guimet

06 dicembre 2006 – 30 aprile 2007

Con i reperti provenienti dalla quattro maggiori aree archeologiche del paese -Tepe Fullol, Ai- Khanum, Tillia Tepe e Begram, è stata allestita una esposizione che si propone sia di divulgare questi tesori al grande pubblico, sia di rendere omaggio alla storia dell’Afghanistan, una regione al centro di reami e di imperi, estesi dall’Asia centrale all’India settentrionale.
Grazie alla presentazione, del tutto eccezionale, di 220 pezzi, la mostra permette di cogliere l’evoluzione storica dell’Afghanistan, dall’età del Bronzo all’impero dei Kouchans.
Nonostante gli oggetti esposti siano differenti per origine geografica e storica, sottolineano la continuità, l’unicità e la ricchezza del patrimonio afgano, in una regione sottoposta a molteplici influenze culturali: iraniche e vicino orientali, indiane, scite, cinesi ed ellenistiche.

Vaso, Capo del personaggio femminile Afghanistan, Begram, cantiere II, sala 10 1° s. Bronzo 10,6 x 5,2 cm Museo Nazionale dell’Afghanistan – MK 04.1.104 © Thierry Ollivier / Museo Guimet

Si parte dai reperti della nuova cultura Bactriana dell’età del Bronzo (2200 – 1800 a.C. circa), emersa dalla scoperta fortuita, nel 1966, del tesoro di Tepe Fullol, a metà tra la civiltà dell’Indo e quella mesopotamica, con i suoi sigilli di bronzo, le sue statue di “dee” in materia composita dalle linee astratte, le coppe in oro e in argento dal decoro animale su fondo paesistico, la sua corte di creature strane e tori barbuti o i suoi motivi geometrici, lontani eco della ceramica di Quetta.

Fullol mostra una specifica situazione che spiega in parte il dinamismo della civiltà dell’Indo, con la quale è in contatto. Controllando la fonte del lapislazzuli del lontano Badakshan (Afghanistan settentrionale), è in relazione con Sumer e Ur o Mohendjo-Daro.

A sud della città di Baghlan, una scoperta permette di conoscere una rete di scambi precedentemente sconosciuta tra il Vicino Oriente, l Asia Centrale, l’Afghanistan e la valle dell’Indo, testimonianza di quello che Pierre Amiet chiama “l età degli scambi inter – iraniani”
Il limite ultimo dell’ellenismo nel cuore dell’Asia centrale è testimoniato da Ai – Khanum (fine IV- metà II a.C.), scavata da una missione francese tra il 1964 e il 1978, con i suoi lingotti d oro che ricordano la ricchezza degli avventurieri greci e una placca con Cibele che illustra la simbiosi con le tradizioni più orientali.
La città mitica di Balkh (o Bactres), dove vennero celebrate le nozze di Alessandro Magno e di Rossana nel 327 a.C. è ricordata dai testi letterari classici, cinesi, arabi e persiani come “Balkh la bella, madre di tutte le città” prima della distruzione di Gengis Khan nel 1220. Scavata a partire dal 1924 da una missione francese, ha rivelato nella cittadella resti achemenidi (VI – IV a.C.) e livelli di età islamica, mentre alcuni blocchi architettonici greci reimpiegati sono stati ritrovati nel sito vicino di Tepe Zangaran.
Una stupa fondata dal re Mega Soter (Vima Takto), della metà del I secolo della nostra era, costituisce il monumento buddista più antico della Bactriana.
Tillia Tepe, “la collina d oro” (I secolo), con le sue sei tombe principesche intatte è stata l’ultima importante scoperta archeologica prima che l Afghanistan piombasse nel caos: pendenti, cinture, specchi cinesi, avori indiani ed intagli greco romani sottolineano il ruolo dell’Afghanistan di cerniera sulla strada della steppa.
(tratto da http://www.archaeogate.org/)

Libri consigliati:

IL TESORO DI TROIA gli scavi di Heinrich’Schliemann
(catalogo della mostra presso il Museo Puskin di Mosca 16 aprile 1996-15 aprile 1997. Promossa da: Ministero della Cultura della Federazione Russa, Museo Statale di Arti Figurative Puskin).
Edizioni: Museo Puskin – Leonardo Arte.

AFGHANISTAN i tesori ritrovati – collezioni del Museo nazionale di Kabul
(catalogo della mostra presso il Museo di Antichità di Torino 25 maggio 2007-11 novembre 2007.Promossa dalla Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo di Torino)
Edizioni: Umberto Allemandi & C

Link utili:

http://www.baghdadmuseum.org/

http://www.fondazionearte.it/

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