Sculture Policrome

La scultura lignea

Fonte: SacrumLuce

La scultura lignea – Storia e tecnica

La statua di legno policroma rappresenta la tipica espressione dell’immagine di culto a partire dal XIII secolo fino a quando, in epoca rinascimentale, tale materiale verrà discriminato rispetto al pregio del marmo e del bronzo nell’ambito del dibattito sul primato tra le tecniche e i generi artistici.

La storia

Contrariamente al giudizio negativo che a partire dai trattatisti cinquecenteschi ha influenzato la percezione della scultura lignea fin quasi a i giorni nostri, è proprio attraverso questa tipologia che si è rinforzata la rinascita della scultura: la statua di legno policroma rappresenta infatti la tipica immagine di culto a partire dal XIII secolo. Nel corso dei secoli la policromia delle sculture, essenziale nella coscienza di chi le produceva e le commissionava, è divenuta un elemento di discredito in quanto ritenuta un espediente cui era costretto chi non sapeva scolpire; il pregiudizio ha colpito soprattutto le statue lignee su cui si interveniva con una continua manutenzione del colore, ma anche la scultura in marmo era completata dalla policromia.
Non è noto se i ruoli di scultore e pittore fossero distinti ma sta di fatto che essi presupponevano due diverse professionalità. Nei documenti trecenteschi di allogagione si può comunque verificare come nella maggior parte dei casi i due ruoli fossero separati, per cui la scultura veniva passata al pittore dopo essere stata intagliata ; ma non mancano casi di doppia definizione come per l’attività lucchese di Piero d Angelo o Jacopo della Quercia, nominati sia come “sculptor” che come “pictor”.
Tanto l’intaglio quanto la stesura della policromia avvenivano in piccole botteghe organizzate e regolate da precise normative come si apprende dal “Livre des Métiers” di Etienne Boileau, che raccoglie gli statuti delle corporazioni di Parigi del 1268. La bottega si rivela qui essere non solo il laboratorio dove viene prodotto l’oggetto, ma anche il luogo del sapere tecnico-artistico e lo spazio di esposizione dell’opera al potenziale acquirente.

La  tecnica

I materiali

Nell’esecuzione delle sculture lignee determinante era la conoscenza del materiale per evitare i difetti legati al singolo tronco e alla sua crescita (lunatura cipollatura, cuore eccentrico, stellatura) come quelli connessi alla scelta del taglio e alla stagionatura (imbarcamento degli sciaveri, crettatura radiale, centrale o periferica, nodi fissi e mobili, torsioni) .
Poiché il legno è un materiale “vivo”, soggetto a modificarsi per dimensioni e forma al variare della temperatura e dell’umidità, esso veniva ricavato da vecchi alberi abbattuti nelle fasi vegetative dell’autunno e dell’inverno (quando minore è la risalita della linfa), in quanto più compatto e meno corruttibile del legno di taglio primaverile.

Le diverse tradizioni di utilizzo hanno privilegiato la scelta di un essenza piuttosto che un’altra, anche in base alla natura dei boschi disponibili nel territorio: in Toscana, alla fine del XIII secolo, per l’intaglio di sculture lignee destinate alla policromia si fa uso di essenze tenere, come il tiglio o il pioppo, sia per la loro maggiore duttilità sia per la presenza minima di tannino, un elemento che poteva macchiare la preparazione bianca a base di gesso e colla. Analogamente si evitavano i legni di conifera perché le resine, raccolte in “tasche”, nei punti di fuoriuscita potevano provocare il distacco della preparazione.
Per quanto riguarda gli utensili legati all’esecuzione delle sculture lignee, essi si suddividono in due categorie: gli strumenti da sgrossatura (asce e seghe di vario genere, scortecciatori, piallacci e attrezzi da spacco) e quelli per l’intaglio (scalpelli, sgorbie e piccole lame da taglio) destinati alla definizione della superficie

Le fasi Operazione preliminare dello scultore che si accingeva ad eseguire una statua era la scelta del legno e la sua sgrossatura. Quindi, assai frequentemente si procedeva allo svuotamento del tronco, dal momento che la destinazione cultuale della maggior parte delle statue prevedeva lo spostamento delle medesime ed era dunque necessario alleggerirle per facilitare il trasporto. Tale svuotamento riduceva peraltro il rischio che i naturali movimenti del legno massiccio provocassero fenditure deformando il modellato stesso.
Le sculture duecentesche e di primo Trecento erano dunque scavate, sia che l’esecuzione fosse limitata alla parte anteriore della figura, sia che venissero intagliati anche i fianchi e parte del retro, per cui lo svuotamento avveniva da un ampia fessura tergale; solo raramente, nel caso di maestri abituati a lavorare il marmo, si intagliava nel legno massiccio.

      Quest’ultima soluzione si fa più frequente nel Quattrocento, con l’imporsi del “tutto tondo”, ma ancora più diffusa è la pratica di modellare separatamente il fronte e il retro della scultura, entrambi scavati internamente e ricongiunti nella fase conclusiva.
Operazione pressoché inevitabile era poi quella dell’assemblaggio: era infatti improbabile che un singolo tronco potesse contenere l’intera figura e dunque alcuni elementi (le mani, le braccia o parte delle vesti) dovevano essere ricavati separatamente. In particolare i crocifissi erano formati almeno da tre elementi, le due braccia e la parte centrale del corpo, comprensiva o meno della testa e delle gambe, che spesso risultano intagliate a parte e assemblate con colla e chiodi o perni e cavicchi.    

La policromia

Completato l’intaglio, la statua era pronta per la policromia o l’indoratura. Veniva dunque steso un impasto preparatorio per regolare le asperità del legno e renderne la superficie uniformemente liscia e assorbente: si trattava solitamente di diversi strati di gesso e colla proteica (di pergamena, di bue, di pesce), talvolta ottenuta annegando nell’impasto garze e telette di lino. La tela, anticamente estesa a tutta la scultura, venne poi limitata alla copertura delle giunzioni tra gli elementi costitutivi della statua che venivano perciò definiti “incamottati” (dal termine camotta che significa appunto tela, camicia, coperta).

Le sculture, con o senza “camotta”, venivano dunque ricoperte con uno strato di gesso grosso (colla e gesso macinato grossolanamente) o gesso sottile (colla e gesso finemente tritato). Dopo la levigazione della superficie da eventuali irregolarità si procedeva dunque ad un incollatura leggera, detta “appretto”, e poi si tornava a stendere uno strato di gesso e colla.
Una volta asciugata e seccata, la statua era pronta per ricevere i pigmenti , polveri coloranti ottenute con vari materiali, minerali o terre macinate e depurate con lavaggi, poi stemperate e rese adatte alla stesura col pennello tramite leganti. Si usavano anche coloranti di origine vegetale (come lo zafferano, la robbia, l’indaco) o di origine animale (come il seppia o la cocciniglia) finché l’esigenza di creare più ricchi effetti cromatici dette impulso alla ricerca di sostanze artificiali, ottenute per reazioni chimiche.

Un pensiero su “La scultura lignea

  • carlo gnecchi-ruscone

    Spettabile INFORESTAURO,
    Ho avuto la fortuna di acquistare una scultura lignea con la TECNICA DI COSTRUZIONE detta “MARMO VELATO”, ed ho letto con grande interesse quanto da voi scritto sul vs. sito.
    Desidererei copiare la vostra descrizione per esclusivo mio uso personale di appassionato, ma ciò non è possibile. Vi chiedo di rendermi possibile di copiare quanto da voi scritto al proposito.
    Nel ringraziarvi anticipatamente per la vostra attenzione e gentilezza, Vi invio i migliori saluti.
    Dott. Carlo Gnecchi-Ruscone – Piazza Gnecchi-Ruscone 5 – 20065 Inzago (MI) – Tel 02 / 954.90.03

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