Restauro pittorico

Pulitura dei dipinti: metodi di ieri e di oggi

Fonte: Tesi di laurea della restauratrice Giovanna Maccagnani restauratrice a Venezia

Introduzione alla pulitura

La traduzione della parola pulitura deriva da “politura” dal latino “politus”.
Tale definizione veniva adoperata da vari restauratori.
Nel corso dei secoli l’operato dei restauratori è stato avvolto da un alone di mistero.
Le metodologie di intervento venivano tramandate oralmente da maestro ad allievo come accadeva per le pratiche pittoriche. Rari sono gli scritti nei quali si intravedono i primi segreti di questa misteriosa arte paragonata addirittura ad una pratica tendenzialmente diabolica. Solo nel 1800 si cominciano a vedere i primi manuali “seri” di restauro, nei quali venivano descritti per filo e per segno metodi e materiali impiegati in questa difficile arte. Purtroppo dalle pubblicazioni ottocentesche ad oggi non si sono fatti grandi passi avanti. La maggior parte dei manuali moderni non sono altro che copie di quelli scritti in passato.
La classificazione chimica dei materiali è rimasta pressoché inalterata, o se cambiata resta comunque errata nei confronti della corrente nomenclatura. Gli accenni ai nuovi prodotti(enzimi,tensioattivi,saponi resinosi ) sono pressoché assenti, pochissimi autori li citano e sono per lo più chimici che operano nei laboratori e non restauratori.
Le resine viniliche e acriliche, introdotte una cinquantina di anni fa, vengono ancora trattate marginalmente.
La descrizione delle loro metodologie di utilizzo non vengono descritte così accuratamente come accade, invece, come per quelle ottocentesche. Probabilmente bisognerà aspettare ancora un secolo, quando ormai saranno considerate obsolete, per trovare notizie pratiche utili per l’utilizzo dei moderni materiali di restauro.

Lo scopo della Tesi

Lo scopo principale di questa tesi è la conoscenza di quei materiali che sono entrati a far parte del bagaglio del restauratore negli ultimi quarant’anni, cercando di capire la validità delle nuove metodologie e il loro rapporto rispetto a quelle più vecchie.
La scelta si è accentrata sulla pulitura, senza dubbio l’operazione più complessa e affascinante fra le tante del restauro.
Complessa perché è un’operazione irreversibile, che contraddice uno degli assiomi fondamentali del restauro, dalla quale dipende la comprensione futura dell’opera d’arte e la sua durata nel tempo.
Infatti un’eccessiva pulitura, alla quale non si può porre rimedio se non intervenendo con pennello e colori alterando l’originalità dell’opera, oltre a modificare l’intento originario del pittore può aggredire gli strati sottostanti lo sporco e causarne il degrado, ad esempio una decoesione dei prodotti costituenti la preparazione.
Affascinante per la sua pretenziosa volontà, tanto meravigliosa quanto impossibile da realizzare, di far apparire i quadri il più simile possibile anche dopo cinquecento anni dalla loro creazione a come erano appena usciti dalla bottega del maestro.

Ulisse Forni il grande “puliture”

Uno tra i maggiori restauratori è l’italiano Ulisse Forni, toscano di nascita senese. E’ infatti in una Siena così articolata che Ulisse Pietro Tommaso Leopoldo Forni nacque sul finire del 1814 – la data di battesimo è 5 dicembre 1814 – (Archivio Arcivescovile di Siena) da una famiglia di umili origini (padre cuoco e madre lavandaia).
Dal 1827 al 1835 ebbe una formazione artistica presso l’Istituto di Belle Arti, distinguendosi per aver ottenuto diversi premi nei concorsi annuali tenuti dall’Istituto. Lo stesso Forni attribuirà poi grande importanza a tale formazione anche per un restauratore: “occorre che il restauratore stesso sia forte nei rispettivi studi artistici, senza i quali mancherebbe delle teorie necessarie sempre in tutte le occorrenti operazioni”. Appena ventenne ebbe il primo contatto con l’ambiente artistico romano, grazie a Francesco Nenci, direttore dell’istituto il quale lo fece accogliere dai proff. Pietro Tenerani e Minardi. A Roma Forni si iscrisse alla scuola di pittura dell’Accademia si San Luca, ma i contatti con Siena continuarono, come attestano gli epistolari presenti negli archivi dell’Accademia di Roma e di Arezzo.
Nel 1836 partecipò al concorso per l’allunato Biringucci e lo vinse ottenendo di poter continuare gli studi artistici a Roma per ben sette anni 1837-1844.
In alcune lettere scritte in quel periodo Forni dimostra il suo avvicinamento allo studio dell’arte e quindi ai maestri del Rinascimento come Raffaello o Tiziano.
L’assunzione di Ulisse Forni al ruolo di aiuto restauratore per le Gallerie Fiorentine avviene il 28 marzo 1845, la sua perizia e la sua bravura lo porteranno in breve tempo ad assumere il ruolo che gli compete e cioè di Restauratore non solo per le Gallerie di Firenze ma anche per tutto il territorio del Gran Ducato di Toscana, dove viene chiamato per la sua grande competenza.
Si può considerare il maggiore “pulitore” anzi, restauratore .

L’ultimo rifugio dei sostenitori della pulitura totalitaria sta allora nelle ipotetiche. Col nome di patina si vuole far passare il sudiciume,le vernici accumulate nei secoli, ecc.  A proposito si possono portare tre importanti testimonianze, dalle quali risulta che quello che noi chiamiamo patina può essere il più delle volte dimostrato o in velature o in vernici colorate. Gli esempi sono tra i più disparati e lontani fra loro,così da non implicare né una ristretta scuola,né uno sporadico artista.
Si tratta di casi occorsi all’ Istituto Centrale di Restauro di Roma, dove si è sempre stati contrari alla pulitura ad oltranza e dove, come per ricompensa, il sottoscritto poteva finalmente trovare la dimostrazione indubbia della bontà del metodo seguito.

Giovanni Bellini: Incoronazione della Vergine

Si può notare come, ad esempio, nel dipinto dell’ Incoronazione di Giovanni Bellini di Pesaro, che in un precedente e malaugurato restauro rimase tutto marezzato, l’incauto antecedente restauratore aveva asportato, nel tentativo di pulitura, anche l’oro messo a pennello con sottili tratti sulla pittura già finita. Quindi si poteva notare dove l’ oro risultava abraso, questo perché continuava ad affiorare, sul cielo, quello strato di vernice scura. Questa osservazione perentoria indusse il restauratore ad escludere nel modo più assoluto la rimozione della vernice, che invece veniva richiesta assai dalla letteratura sull’argomento e da studiosi venuti in visita. Anche qui l’antecedente restauratore aveva tentato l’ asportazione della vernice dorata in un punto, presso ai gradini del santo ed ecco cosa ora ne risulta:
Il Bellini aveva dipinto a corpo solo le linee direttrici della prospettiva. E aveva invece aggiunto in velatura le suddivisioni dei conci e delle cambre bronzee all’uso romano fra concio e concio.
Tutto ciò era stato fissato da una vernice assai spessa, che era impossibile rimuovere senza asportare anche le parti aggiunte in velatura. Esaminata la vernice risultò composta da una resina dura con tracce di una lacca vegetale gialla (vernice colorata)
E’ già stato sottolineato come questa ricetta non sia quella che è poi divenuta tipica della Scuola Fiorentina che è invece molto più vicina a quella fornita da Secco Suardo , con l’uso della colla forte e del seme di lino
Solo in casi di dipinti destinati ad ambienti particolarmente umidi, Forni consiglia al suo posto un mordente oleoso e simile a quello dei doratori.

La pulitura dei dipinti a olio

La Pulitura è anche nei dipinti ad olio suddivisa in varie tipologie :

  1. dipinti coperti da vernici come la mastice e la dammar “quadri coperti da un olio siccativo o grasso “ ,
  2. dipinti con “vernice durissima” come la coppale,
  3. pitture verniciate con colla o chiara d’uovo,
  4. “quadri offesi dal fumo”, “offesi dagli insetti, o di quelli sporcati artificialmente
  5. dipinti con muffe, opere con ridipinture ad olio.

Non particolarmente significativi sono i materiali suggeriti, che ormai conosciamo: alcool, ammoniaca, acquaragia, lisciva (che pure viene indicata come molto pericolosa e sconsigliabile) soda e potassa, magnesia caustica, sale marino e via via molti altri sino alla stessa saliva.
D’altronde lo stesso Forni ci ammonisce che i “mezzi” sono infiniti: non si tratta che di ben sceglierli secondo il caso e l’opportunità.
Anche la modalità di applicazione è altrettanto vasta: un“piumacciolo” di cotone, la stoppa, un pennello di setole, un piccolo spazzolino ruvido, la spugna e la tela.
E’ più interessante segnalare anche qui la sua impostazione mentale per cui “un valente restauratore, quando pulisce un quadro, sa arretrarsi con avvedutezza al punto conveniente, amando meglio di lasciare sull’opera un po’ di sudicio , che renderla fredda e stonata per il troppo pulire. Egli non ignora altresì che un certo tono dorato, che il tempo da al dipinto, produce sui quadri un effetto incantevole, che senza una grande necessità, si guarderà bene di levare la vernice fino in fondo”; tale affermazione mostra, ancora una volta tutta la conoscenza della tradizionale prudenza della scuola fiorentina e la saggezza derivata dal secolare dibattito italiano sulla patina e sulla pulitura. L’equilibrio dell’insieme è dunque una delle finalità della pulitura nella tradizione fiorentina da Forni in poi, così come l’attenzione alla tecnica di esecuzione e i diversificati effetti dell’invecchiamento sui vari pigmenti per cui la massima è che “Non si pulisce un quadro se non quando è veramente sporco; non gli si toglie e né si rinnova la vernice, se non quando è nocevole all’effetto del dipinto, o contraria alla sua conservazione “.

La cultura del Restauro

Nel corso di tutto il Medioevo , fino al 500, sono numerosi gli interventi sopratutto distruttivi, su opere d’arte, sono tante le testimonianze di modificazioni legate a fatti politici o religiosi.

La Pittura nel Medioevo

Fra l’Ottavo e il Nono secolo furono molti i rifacimenti e le distruzioni di opere d’arte causati dall’ iconoclastia dovuta all’imperatore Leone III, il quale sosteneva un culto iconico per cui molte raffigurazioni di Cristo, della Vergine e dei Santi furono distrutte per lasciare posto a croci o motivi ornamentali.

Coppo di Marcovaldo, madonna col bambino di Orvieto, museo dell’Opera del Duomo, 1270 circa

Più tardi ci troviamo di fronte a immagini come ad esempio “La Madonna Orvietana” di Coppo di Marcovaldo ridipinta più tardi da un seguace di
Duccio da Buoninsegna alla fine del 200. Questo genere di interventi rende spesso difficile la datazione dell’ opera, l’attribuzione al reale autore all’originario committente.

L’architettura nel medioevo

Sempre in questo periodo gli architetti utilizzavano, per nuove costruzioni o per riadattamenti materiali di riporto senza modificare il loro aspetto: capitelli, colonne, frammenti di cornicioni, fregi, ecc.
All’epoca non vi era ancora la distinzione oggi esistente fra restauratori ed artisti, sono infatti pittori, scultori e architetti i maggiori esecutori di interventi su opere d’arte . Le opere più manipolate erano le statue antiche i cui frammenti venivano ricombinati, come nel Medioevo per ottenere nuovi soggetti.

A quest’epoca risalgono anche le prime critiche sugli interventi. Il primo ad aprire il dibattito fu il Vasari che trovava spesso le opere restaurate peggiorate anziché migliorate.
Un’ importante evoluzione nel campo del restauro si ha nel corso del 600 quando il collezionismo di opere d’ arte, cominciato nel secolo precedente , portò all’aprirsi di un fiorente commercio antiquario e un sempre maggior numero di collezioni private . La manipolazione di quadri da galleria e da dimora privata , furono spesso fonte di danni : molte opere furono tagliate , come capitò alla “Gioconda” di Leonardo ,ad alcune venne data forma tonda od ovale perché più gradevole a vedersi,ai più fortunati vennero aggiunte delle parti.
Pratica molto in voga nel 600 è anche quella della foderatura ,questa operazione viene applicata a quadri di numerosi autori tra i quali:
Tiziano, Guercino, Reni , Pietro da Cortona e Van Djck che subiscono danneggiamenti .
La tecnica più comune era eseguita con colla di pasta ,la quale a seconda del paese presentava alcune differenze :
– in Italia venivano utilizzate tele di canapa e colla di farina,
-in Francia tele di lino,
-in Russia la colla di storione,
-in Giappone la pasta d’amido di riso
-mentre in Olanda e nei paesi anglosassoni veniva invece utilizzata la foderatura a cera resina che presentava minori problemi per l’assenza di apporto al quadro di umidità .

Trasporto degli affreschi

L’ innovazione più diffusa fra i restauratori di questo periodo è quella del trasporto degli affreschi ,che il Crespi considera uno degli interventi più adatti per la conservazione delle pitture murali.
Tra i trasporti più famosi vi è il trasporto dell’abside di Santi Apostoli a Roma tutto frammentato.
Questo tipo di operazione veniva generalmente affidata a scultori: ad Ercolano ad esempio i trasporti degli affreschi antichi erano affidati al Carnat. Non mancano i trasporti di tavole o tele su nuovi supporti: uno degli operatori più attivi in questo in questo senso è Domenico Michielini ,
il primo documento di un trasporto infatti si riferisce ad un suo intervento su una tela di Tiziano rappresentante un bambino .
Un altro restauratore molto apprezzato per i suoi interventi sui quadri delle gallerie reali francesi è il Colins, in particolar modo per gli ingrandimenti e i rifacimenti che adattavano i quadri di Tiziano, Veronese, Rubens all’insieme delle collezioni.

La professione del restauratore

Solo nel 700 la professione di restauratore viene distinta da quella di pittore.
Colui che dipinge , si pone solamente un modello da raggiungere ,il restauratore deve restituire il tocco fiero e vigoroso dei Raffaello e le grazie soavi dei Tiziano; e il rapporto fra restauro si è fatto più stretto.
La prima città nella quale si evidenziano questi cambiamenti è Venezia dove già nel corso del 500 il Senato si occupava della conservazione delle pubbliche opere dandone incarico ai singoli pittori come Bellini , Padovanino e molti altri fino al 1724 , quando il “collegio dei pittori”non rivendicò per se questa incombenza .

Il compito del collegio era quello di visitare mensilmente le pitture statali e di affidare ad alcuni artisti il restauro di quelle bisognose . Per dirigere e controllare lo stato dei lavori venne istituito un “ispettore delle pubbliche pitture “ e successivamente un “direttore del restauro”. Il primo a ricoprire questa carica fu Pietro Edwards che fu , senz’altro , uno dei più grandi restauratori dell’ epoca .
Questi organizzò un laboratorio di restauro nel refettorio della chiesa di santi Giovanni e Paolo dove divise i quadri da restaurare per classi di intervento.
Vi erano quelli di estremo, di grave e di minor bisogno. Edwards mantenne la carica di direttore dei restauri fino all’anno della sua morte nel 1821 .

Prime regole del restauro

Proprio sotto la guida del Maestro vengono stese le prime regole basilari per l’esecuzione di un vero e proprio restauro, qui di seguito elencate :

  • non pregiudicare l’originalità dell’opera;
  • rimediare solo nei limiti del fattibile a ridipinture di pulitori inesperti;
  • foderare quadri bisognosi e invece sfoderare quelli che ricevono più danno che giovamento da questo genere di intervento ;
  • togliere tutto ciò che impedisce una libera fruizione del quadro ;
  • riempire le lacune senza coprire il colore originale
  • ed in fine adoperare ingredienti che sarà possibile rimuovere ogni qual volta se ne presenti la necessità.

Sono regole ormai vicine al modo moderno di intendere il restauro , si delinea infatti uno dei principi fondamentali che è quello della reversibilità.

Per trovare quello della riconoscibilità bisognerà attraversare tutto l’800, infatti alla fine di questo secolo i restauratori sono ancora portati ad un restauro pittorico inteso in senso mimetico , con l’utilizzo di integrazioni ad olio, pur essendo questo non facilmente reversibile.

Tuttavia sono ancora molte le contraddizioni che dominano questi secoli di ricerca e scoperta.

Bisogna sottolineare che fortunatamente lo spirito del Romanticismo pervase anche i restauratori di questo secolo che dimostrarono una maggior cautela negli interventi di pulitura e maggior rispetto per l’originalità dell’opera d’arte.

Episodio significativo è quello scatenato dalla querelle da Ruskin nei confronti delle eccessive puliture che venivano eseguite nei laboratori della National Gallery di Londra, che portò l’allora direttore , Eastlake , a dare le dimissioni.

Le proteste di Ruskin però non ebbero seguito in quanto, nel 1859, Eastlake rientrato al suo posto, pubblicò il volume “Methods and materials of the old school and maters” che costituisce uno dei più importanti studi sulle tecniche artistiche che caratterizza la fine del secolo.

In questo periodo si delineano due correnti di pensiero ben distinte.

Secco Suardo e il Forni sostenevano un tipo di restauro adatto, alle collezioni private, ad esempio con l’uso delle reintegrazioni pittoriche mimetiche non riconoscibili, mentre il Cavalcaselle sosteneva un tipo di restauro filologico che servisse anche agli studiosi per i quali era preferibile un quadro con delle lacune, ma che permettesse di studiare i modi originali del pittore .

Di fondamentale importanza per lo studio e la conservazione delle opere d’arte furono le scoperte nel campo della chimica e della fisica soprattutto la scoperta dei raggi X e della fotografia.

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