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Gli Stucchi per integrare lacune

Premessa

Quando un manufatto ligneo presenta una lacuna di dimensioni importanti, questa non può essere reintegrata utilizzando gli stucchi classici , ma occorre utilizzare un tassello che va poi opportunamente incollato e modellato. Altra possibilità può essere quella di utilizzare stucchi di sintesi generalmente bicomponenti. L’articolo presente si riferisce a questi ultimi casi in cui, fatte le dovute valutazioni, si decida di operare con stucchi di sintesi, inoltre spesso ci si riferisce a strutture lignee e più raramente a generi di arredo.

La stuccatura

Un manufatto ligneo può presentare lacune non solo per rotture dovute all’utilizzo, ma anche per l’azione di microrganismi (che rendono il legno spugnoso o friabile), e di insetti, come tarli e termiti. In casi estremi l’attacco portato da questi insetti può essere così esteso da lasciare una sottile lamina esterna appoggiata…sul vuoto.  

Inoltre possono presentarsi lacune atipiche, cioè delle fessurazioni, per effetto del ritiro differenziato dovuto all’anisotropia del legno, in particolare su statue lignee realizzate su tronchi pieni. Anche se la stagionatura è stata corretta il danno può manifestarsi se l’ambiente conservativo è soggetto a forti sbalzi termoigrometrici. Su questo particolare tipo di deformazione e sulle problematiche connesse all’intervento si rimanda all’articolo contenuto nel libro “Lacuna” della Edifir.

In presenza di una lacuna nell’opera lignea un intervento tradizionale è quello dell’inserimento di un tassello di legno, con caratteristiche simili a quello originale.

Il tassello di legno ha due indiscutibili pregi: se la superficie è visibile, una oculata scelta del materiale permetterà una integrazione con una resa ottica difficilmente ottenibile con uno stucco. Inoltre, se il tassello ha una stagionatura simile all’originale (e qui sta la difficoltà , la risposta sarà anisotropica (ossia il movimento sarà diverso radialmente piuttosto che longitudinalmente); e questo è del tutto impossibile da ottenersi con uno stucco.
Non è questa la sede per approfondire la questione relativa alle difficoltà inerenti una buona tassellatura, ma si ricorda solo la necessità di una manualità elevata, la probabile, differente risposta del tassello alle variazioni termoigrometriche, e la inevitabile perdita di parte del materiale originale.

L’ accenno a questa tecnica ci serve solo per introdurre il doppio aspetto del tassello: una massa, che va a riempire la cavità, ed un adesivo che tiene vincolato il tassello al manufatto originale.

Questi due aspetti coesistono negli stucchi, che devono contemporaneamente fornire la “massa” e rimanere ancorati al manufatto, quindi possedere una certa capacità adesiva.

La composizione di uno stucco riflette questa esigenza, suddividendo i compiti tra degli inerti (bulking agents), che devono semplicemente riempire lo spazio, mentre il compito di tenere il tutto insieme è affidato a dei leganti (binders), con proprietà adesive.

Da sempre la stuccatura è stata condotta con una varietà di prodotti, derivanti solitamente dall’esperienza e dalla pratica di bottega, e solo più recentemente, con materiali introdotti dalle industrie di settore. L indagine più approfondita su questo tipo di materiali è stata condotta da Barclay e Feller, ed il loro articolo del 1988 rimane una pietra miliare sull’argomento.

Nonostante la frequenza di questa operazione, si riscontra una pressoché totale assenza di attenzione e di discussione sui pro e i contro presentati dai vari prodotti.

Nella selezione di uno stucco deve essere valutata attentamente la possibilità che il legno stuccato sia sottoposto in futuro a movimenti, che porteranno ad uno stress sull’interfaccia della stuccatura.

Contemporaneamente dovrà essere valutata la resistenza meccanica del manufatto.

Infatti uno stucco molto rigido e tenace, inserito in un oggetto fragile e destinato a muoversi, porterà ad una rottura del manufatto stesso. In questo caso è meglio orientarsi su di uno stucco elastico e sicuramente poco adesivo, cosicché al momento del movimento si abbia un analogo movimento dello stucco, o al limite un suo distacco, al quale si potrà sempre ovviare, senza causare però danni al manufatto originale.

Si parla in questo caso di stucco non-strutturale. Si tenga però sempre presente che il confine tra stucco strutturale e non-strutturale è molto labile, e dipendente dalla resistenza del legno su cui si va ad operare.

Come primo passo nella valutazione degli stucchi per legno è quindi necessario definire se lo stucco ha solo una funzione estetica oppure tendenzialmente strutturale (quindi possiede la capacità di sostenere un peso, tenere uniti due pezzi, ecc…).

Stucchi Tradizionali

Elenchiamo quindi le proprietà caratteristiche che definiscono uno stucco (in inglese filler):

• consistenza pastosa, che acquista durezza in un tempo ragionevolmente breve

• discrete proprietà adesive

• minimo ritiro con l´essiccamento

• discreta lavorabilità al termine dell´essiccamento

• buone proprietà di durata nel tempo

• inerzia chimica nei confronti del substrato

Altre proprietà che sono desiderabili, ma non strettamente necessarie, sono:

• facilità di utilizzo

• inattaccabilità da parte dei microrganismi

• reversibilità

• facilità di colorazione

A queste proprietà secondarie possono esserne aggiunte altre, a seconda del tipo di intervento: ad esempio, se si desidera integrare una cornice che dovrà poi essere dorata, lo stucco dovrà sostenere una ammannitura; se la tradizionale miscela gesso e colletta non aderisce sarà necessario modificarla, magari con l´aggiunta di resine acriliche in emulsione acquosa che ne consentano l´aggrappaggio. Un altro requisito, nel caso di utilizzo per riproduzioni in stampi in silicone, è quello di fornire una buona definizione dei dettagli. Infine (ma si potrebbe continuare elencando altri casi particolari), può essere richiesta una buona intagliabilità.

Per quanto detto sopra relativamente alle proprietà meccaniche, dobbiamo sempre valutare l´oggetto su cui si interviene e le probabili condizioni future di conservazione. Una maggiore o minore tenacità ed elasticità di uno stucco non sono quindi di per se desiderabili, ma la nostra scelta sarà orientata dalla finalità dell´intervento.

Stucchi tradizionali – Possiamo dire che ogni materiale dotato di capacità adesive è stato sperimentato come legante, associandolo a vari tipi di cariche, come riporta ampliamente il Turco nel suo classico manuale. Questi stucchi si basano su miscele degli inerti più noti (carbonato di calcio, gesso di Bologna, caolino,…), con i classici leganti acquosi (colla di pelle, caseina, colla d´ossa), oppure con altri leganti come l´olio di lino cotto.

Ecco alcuni esempi:

•Colla forte (d´ossa) ed un inerte che può essere gesso da doratori, carbonato di calcio, caolino, polvere di alabastro, polvere di legno, o una miscela degli stessi

•Caseina ed un inerte, solitamente gesso da doratori o carbonato di calcio

•Stucco di gommalacca

•Stucco a cera d´api

•Stucco a olio o a vernice (mastici)

Nessuno di questi stucchi risulta soddisfacente, per vari motivi.

Gli stucchi a base proteica, come i primi due, presentano elevato ritiro, abbinato ad una scarsa adesione al supporto. Diventa così impossibile effettuare integrazioni di volumi consistenti. La durezza e rigidità di questa tipologia di stucco, che aumenta nel tempo, fa sì che con il movimento del legno si creino distacchi o crettature. Inoltre non deve essere trascurata la difficoltà di preparazione, dato che comporta la solubilizzazione a caldo della gelatina, e che una volta preparato lo stucco non può essere conservato, e deve essere utilizzato entro poche ore. Infine l´apporto di acqua deve essere sempre preso in considerazione per supporti troppo sensibili, presenza di preparazioni, dorature,….

Lo stucco di gommalacca è utilizzabile solamente per piccolissime integrazioni. Si fonde la gommalacca precedentemente preparata in bastoncini assieme a cera d api, che rende lo stucco più tenero, o resine naturali come la colofonia, che impartiscono invece maggiore durezza. Questa miscela viene colata nelle fessure, e fa presa rapidamente, per raffreddamento. Viene consigliata solo su superfici da lucidare poi a gommalacca.

Analogamente lo stucco a cera è molto usato per la chiusura di piccole lacune, come i fori di sfarfallamento dei tarli. La stuccatura di fessure superiori ad un paio di millimetri porta a distacchi o crettature dello stucco stesso. Può essere preparato miscelando a caldo cera d´api e carnauba, in essenza di trementina, ed aggiungendo pigmenti per raggiungere il tono desiderato. Non è strutturale, ma solo estetico. Il problema principale degli stucchi a cera è che causano una variazione tonale nella zona circostante l’integrazione, per migrazione del legante. Infatti si applica fondendo lo stucco e applicandolo a spatola. Il problema permane anche se si miscelano cariche come gesso o granulati vegetali. A favore di questo stucco possiamo sottolineare la reversibilità, anche se la parte che è migrata impregnando l’area circostante risulterà solo parzialmente rimovibile.

Lo stucco a olio di lino deve contenere biacca o minio per velocizzarne l’indurimento, che è comunque lento, almeno 24 ore. La superficie deve però essere preparata applicando prima a pennello il solo olio di lino.

I mastici, dove il legante è una vernice, si sono evoluti sostituendo alle vernici naturali le nuove flatting sintetiche.

Risulta evidente da questa rapida carrellata come sia stato logico cercare di superare i limiti posti dagli stucchi naturali con l’avvento dei polimeri di sintesi. Abbiamo visto come in passato i “creatori” degli stucchi tradizionali erano andati a pescare tra le varie tipologie di leganti a loro noti, quindi le colle animali, la caseina, la gommalacca, gli oli… Analogamente nel dopoguerra, con la comparsa sul mercato degli adesivi di sintesi, è stato del tutto naturale sperimentare le novità del momento anche come leganti degli inerti tradizionali, quindi sostituendo, ad esempio, la colla forte con il Vinavil. Ecco quindi comparire per analogia stucchi come gesso e Vinavil, polvere di legno e Vinavil, ecc…

Gli stucchi di sintesi

L’ interesse e l’ attualità dell’argomento è dimostrato da una serie di studi usciti recentemente sulla rivista Arkos per quanto concerne il ripristino di strutture lignee, ed anche dalla presentazione di un interessante lavoro al convegno GI-IIC di Palermo (22-24 Settembre 2005).

La lettura di questo ultimo lavoro, a firma di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Palermo, è particolarmente consigliata a chi volesse approfondire la problematica dell’interazione tra gli stucchi e le fessurazioni da ritiro. Tra le conclusioni della ricerca la sostanziale inadeguatezza dei prodotti esistenti, anche elastomerici, nel resistere alle sollecitazioni che si presentano con le variazioni termoigrometriche proprio sui cunei inseriti nelle fessurazioni da ritiro. Per gli stucchi con medio potere adesivo si ha sempre il distacco del cuneo. Nei casi di stucchi resistenti, come detto nella precedente puntata del Bollettino CTS, la conseguenza è ben peggiore, generandosi nuove fessurazioni.

Ricordiamo che una caratteristica comune a tutti gli stucchi è l´isotropia, ovvero la risposta alle sollecitazioni esterne uguale nelle varie direzioni. Questo contrasta con l´anisotropia del legno, che si comporterà sempre in maniera diversa a seconda che si misuri le proprietà in senso radiale o in senso longitudinale.

Questa ineludibile differenza tra stucco e legno dovrà essere tenuta sempre a mente.

Possiamo dividere gli stucchi presenti attualmente sul mercato nelle varie classi di polimeri su cui si basano:

•Vinilici.

•Acrilici

•Poliuretanici

•Poliestere

•Siliconici

Epossidici

Gli stucchi a base vinilica

(una dispersione di polivinilalcool o di polivinilacetato, come il Vinavil, e gesso o polvere di legno) presentano problemi di ritiro al momento dell’evaporazione della fase acquosa. Ma il principale problema di questi stucchi è un lento, graduale irrigidimento del legante, associato allo sviluppo di acido acetico che porta ad un degrado della zona circostante. Inoltre la presenza di acqua ci riporta a tutti i problemi connessi ai movimenti che questa può indurre in una struttura lignea, e al rigonfiamento delle preparazioni nelle policromie, inconvenienti già citati a proposito degli stucchi a colla d´ossa tradizionali. Il prodotto più impiegato appartenente a questa categoria è il Modostuc, impiegato non solo nella stuccatura del legno (è commercializzato in varie tonalità), ma anche nella versione bianca, per intonaci o dorature. I suoi pregi maggiori sono la facile lavorabilità ed il basso costo, nonchè una rimovibilità non solo tramite acqua, ma anche con etanolo o acetone. I difetti sono quelli enunciati sopra, oltre ad una tendenza a crettare se la stuccatura occupa un volume importante. Nella sua misteriosa formulazione sembra siano presenti anche una resina acrilica ed un addensante cellulosico, mentre gli inerti sono carbonato di calcio, gesso e caolino. Oltre al Modostuc sono poi ampliamente utilizzati stucchi “fatti in casa” partendo dal Vinavil e aggiungendo quantità variabili di segatura, o polpa di cellulosa, o fibre cellulosiche, ed eventualmente olio di lino cotto e terre.

Gli stucchi acrilici

consistono essenzialmente di soluzioni in solvente di resine come il Paraloid B-72, variamente caricate. Il vantaggio di lavorare in assenza di acqua è in parte controbilanciato da una separazione degli inerti dalla miscela, e dal ritiro a seguito dell´evaporazione del solvente.

I poliuretanici

non sono molto utilizzati in Italia, mentre in letteratura troviamo alcuni esempi relativi al mercato statunitense (National Maritime Museum Putty, Smooth-cast’70D). Vengono a volte utilizzate le schiume poliuretaniche (Poliol 9790), ma solo come riempitivo, dato che queste non hanno una resistenza meccanica significativa. Tra i limiti di impiego la tossicità e, nel caso di applicazione su oggetti fragili, il rischio di causare rotture a seguito dell´espansione della schiuma.

Le resine poliestere

sono state utilizzate per produrre stucchi di facile utilizzo, estremamente resistenti e adesivi, il più noto dei quali è il Sintolegno. Si tratta di un bicomponente molto reattivo, che in pochi minuti indurisce, anche a basse temperature. Per interventi su manufatti di pregio presenta però una resistenza meccanica troppo elevata, appare “vetrino” e si frantuma nelle operazioni di intaglio, ed infine è difficile da colorare.

Gli stucchi siliconici

sono ottenibili caricando con inerti le gomme siliconiche. Questi stucchi vengono utilizzati per la loro principale proprietà di essere estremamente elastici, e, di conseguenza, di non innescare in legni degradati stress da tensione. La loro scarsa capacità adesiva limita però l´utilizzo al solo riempimento delle cavità, senza alcuna azione strutturale.

Inoltre le gomme siliconiche da sole non sono carteggiabili nè intagliabili, e devono essere necessariamente caricate. Inoltre non sono facilmente colorabili.

Il prodotto capostipite e maggiormente diffuso tra gli stucchi epossidici è la Araldite SV 427 della Ciba Geigy, ma esistono sul mercato altri prodotti analoghi (EPO 127 della C.T.S.). Questi stucchi hanno elevate resistenze meccaniche, elevata adesione e stabilità nel tempo. Inoltre catalizzano sostanzialmente senza ritiro. Sono nati per le operazioni di stuccatura e ricostruzione di elementi lignei destinati a sostenere carichi importanti, come travi e soffitti. Anche se sono state utilizzati spesso su oggetti di grande valore storico-artistico come dipinti su tavola o statue lignee policrome, una volta applicati sono molto difficili da rimuovere, e nel caso di movimenti la loro resistenza comporterebbe la rottura dell´opera originale. Il loro utilizzo è giustificato perciò per interventi su oggetti che verranno musealizzati e mantenuti sempre in condizioni termoigrometriche di sicurezza.

Proprio per ovviare a questo limite degli stucchi epossidici è stato messo a punto da C.T.S. un nuovo formulato, denominato Balsite, uno stucco bicomponente a base epossidica caratterizzato da una estrema leggerezza e reversibilità, sia meccanica che chimica. Infatti, grazie alla sua particolare formulazione, la Balsite presenta una bassa resistenza meccanica e può essere rimossa con facilità tramite sgorbie, bisturi, micromotori, oppure la sua rimozione può essere raggiunta mediante il suo graduale rigonfiamento con solventi polari; si consiglia l’utilizzo di solventi con evaporazione lenta, come il dimetilsolfossido.

La Balsite è stata studiata appositamente per l’ incollaggio e la stuccatura di oggetti fragili o soggetti a movimenti, dato che la sua formulazione consente un cedimento alle tensioni che possono essere generate da variazioni termoigrometriche. Unitamente alla bassa rigidità presenta anche un modulo elastico vicino a quello del legno. La modellabilità della Balsite rende molto semplice l´operazione di ricostruzione di parti lignee mancanti, ed una volta indurita risulta facilmente intagliabile e carteggiabile, oltre a presentare la possibilità di colorazione dell´impasto e di poter effettuare finiture superficiali (verniciature, ammanniture,…).

La sua leggerezza evita l´eccessivo appesantimento delle strutture su cui viene posizionata.

E´ inoltre possibile utilizzare la Balsite per riproduzioni di parti mancanti pressandola o colandola in calchi di gomma siliconica.

Una particolare caratteristica della Balsite è quella di poter essere miscelata con piccole percentuali di alcool, diventando così iniettabile; il minimo ritiro (<1%) nella fase di indurimento rende questo materiale ideale per effettuare iniezioni in manufatti che presentano cavità interne da riempire, come ad esempio statue lignee o dipinti su tavola pesantemente attaccati da tarli o termiti.

Strati isolanti

In generale gli stucchi epossidici possono essere utilizzati in abbinamento a polimeri termoplastici con funzione di isolanti.

La presenza di uno strato di interposizione può essere opportuna nel caso si voglia ridurre la penetrazione di parte del legante dello stucco all’interno della fibra del legno. Infatti connaturato al meccanismo dell’adesione è l’imparentamento, più o meno profondo, tra il legante dello stucco ed il substrato ligneo. Un eccessiva penetrazione può rendere la stuccatura del tutto irreversibile, ed è per questo che si può ridurre l’adesione saturando la porosità con un materiale, caratterizzato da una elevata reversibilità, così da facilitare le operazioni di distacco dello stucco stesso.

Un prodotto di questo tipo solitamente ha anche funzione di consolidante, e questo permette di ottenere che l’area adiacente all’interfase risulti più resistente alle tensioni.

Una procedura ormai adottata frequentemente è quella di associare ad una stuccatura o ricostruzione con resine epossidiche irreversibili uno strato di interposizione con una resina acrilica come il Paraloid B-72, che rimane solubile in alcuni solventi anche dopo invecchiamento.

Nel caso si richieda un prodotto isolante rimovibile in acqua possono essere utilizzati sia la colla di coniglio che il Klucel G.

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