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Anzola dell’ Emilia

La ricostruzione delle abitazioni dell’ epoca è, chiaramente, su basi ipotetiche, ricavata dall’analisi dei dati rilevati dagli scavi e dalla posizione di ciò che si presume fossero i pali di sostegno delle capanne.
I villaggi avevano una dimensione iniziale di circa 2 ettari, aumentata successivamente fino a 15/20 ettari per consentire la costituzione di aggregati con un economia più complessa e con maggiori possibilità di difesa.

Anzola dell’Emilia: le origini

Fonte:  Gruppo di ricerca storico-archeologica del Centro Culturale Anzolese

Fino a una trentina d’ anni fa, era abbastanza diffusa la convinzione che il paese avesse avuto degli insediamenti abitativi solo dopo la centuriazione romana del territorio padano, e che il primo consistente villaggio basso-Medievale si fosse aggregato all’interno della cinta muraria del castello di Unciola , fra il X° e l’XI° secolo.
Per la verità, alcuni scavi effettuati dall’ anzolese Torquato Costa (la cui figura sarà tratteggiata più avanti) avevano riportato alla luce dei reperti archeologici che presumevano degli insediamenti abitativi già in epoca pre-romana, ma la casualità dei ritrovamenti non aveva consentito di approfondire la loro datazione in modo più preciso, anche se l’ intuizione che nel territorio adiacente all’attuale via Emilia (Zona Palazzina di Sopra e Palazzina di Sotto, zona Confortino e zona Cà Rossa ad Anzola) vi potessero essere degli antichi villaggi dell’età del ferro (3.000-3.200 anni fa) veniva presa in seria considerazione.

Fig 1: Ipotesi dell’antico insediamento anzolese di 3000 -3200 anni fa

Sarà solo negli anni fra il 1981 e il 1982, che alcuni ritrovamenti casuali effettuati dagli anzolesi Claudio Chiarini, Anna Zucchelli, Stefano Veronesi, Giovanni Albertini e Nadia Guidetti (ritrovamenti conseguenti alle opere di scavo delle fondamenta dello stabile di via Calanchi – via XXV aprile e prontamente segnalati alle Autorità competenti) creeranno i presupposti per una campagna di scavi iniziata una decina di anni dopo.
L’ area interessata dagli scavi  fece riaffiorare una quantità molto consistente di ceramiche, ed altre suppellettili, a testimoniare l’esistenza  di un insediamento abitativo da considerarsi come un vero e proprio villaggio terramaricolo . Quindi, si possono oggi avanzare alcune ipotesi anche se un po ardite: la prima, che la via Emilia non sia stata costruita completamente dai romani, ma che questi ultimi abbiano allargato, sistemato e resa agevole un tracciato viario che, seppure in forma primitiva, probabilmente esisteva già. La seconda, che l’abbandono delle terre anzolesi a nord della via Emilia sia stato causato dalla grande crisi che seguì la caduta dell’Impero romano e dall’invasione dei barbari provenienti dal nord Europa, nonchè dal progressivo allagamento delle campagne dovuto alla non manutenzione dei corsi d acqua e alla particolarità del terreno pianeggiante ed argilloso. La terza, che il progressivo ripopolamento della campagna dovuto all’opera di bonifica dei monaci benedettini intorno all’anno Mille, abbia ridato vita e fertilità a zone abitate fin dai primordi.

Fig: 2 Capanne delle Terramare di Montale (MO) Fig 3: Sistema di difesa: fossato e palizzata

La ricostruzione delle abitazioni dell’ epoca è, chiaramente, su basi ipotetiche, ricavata dall’analisi dei dati rilevati dagli scavi e dalla posizione di ciò che si presume fossero i pali di sostegno delle capanne.
I villaggi avevano una dimensione iniziale di circa 2 ettari, aumentata successivamente fino a 15/20 ettari per consentire la costituzione di aggregati con un economia più complessa e con maggiori possibilità di difesa.
Gli insediamenti erano costituiti da abitazioni a probabile carattere unifamiliare, di pianta quadrangolare, con lunghezze che variavano da 8/9 metri fino a 20 metri. La pavimentazione era di terra battuta, con pareti a graticcio intonacato, e tetto di paglia sorretto da pali.
Una caratteristica di tutte le capanne era quella di essere sollevate da terra, per meglio difendersi dagli animali, dall’umidità e dalle acque.
L’ immagine di questa capanna (fig. 2) è ricavata dalla ricostruzione di case della Terramara di Montale, in provincia di Modena

In questa ricostruzione (fig. 3) grafica è rappresentato il sistema difensivo dell’ipotetico villaggio di Anzola, costituito da un fossato colmo di acqua che lo circondava completamente. Vi era, inoltre, una palizzata che dava ulteriore sicurezza e sorreggeva una delle grandi porte che regolavano l’accesso al villaggio.
Da considerare che questo antico sistema di organizzazione e difesa degli insediamenti abitativi umani, durerà fino agli anni in cui l’ avvento delle artiglierie renderà obsoleti i castelli protetti da mura possenti (secolo XVII d.C.).
La ricostruzione del sistema fossato-terrapieno-palizzata-porta d ingresso, è ricavata dal parco archeologico di Montale, in provincia di Modena

Questa immagine popone la ricostruzione ambientale dell’area prospiciente il villaggio terramaricolo di Anzola. E vista da nord-ovest'(cioè dall’attuale borgata Martignone).

Il sostentamento alimentare era garantito dalla caccia e dalle prime organizzate forme di sfruttamento agricolo del terreno, che si avvaleva di attrezzi per dissodare il terreno (aratri e vomeri) composti da legno e corna di animali come il cervo, nonché degli animali (bovini) largamente utilizzati nell’aratura dei campi. 

I terreni adatti alle coltivazioni venivano ricavati dal disboscamento di ampie zone con boschi o foreste, utilizzando il legname per la costruzione dei villaggi e destinando le radure alle coltivazioni dei cereali (quali grano, orzo e miglio) e degli ortaggi.

L’ attività agricola si avvaleva di tecniche che entreranno nella plurimillenaria tradizione colonica locale, quali lo sfruttamento intensivo dei terreni attraverso l’uso di strumentazioni (seppure primitive) adatte alle singole colture (falcetti, picconcini, zappe_), e la rotazione periodica delle specie seminate. Quest’ultima tecnica, ancora oggi largamente usata nelle campagne, consentiva di mantenere elevata la produttività del terreno.
L’ alimentazione era integrata anche dal consumo dei frutti selvatici, come le mele selvatiche, le ciliegie e le more, che nascevano in modo spontaneo.
Accanto allo sviluppo dell’agricoltura nascono le prime, seppure rozze e primitive, tecniche per trasformare i semi dei cereali in farine commestibili, attraverso l’uso di grandi macine in pietra che trituravano i semi tramite il loro ripetuto schiacciamento. E questo poteva avvenire all’esterno della famiglia per grandi quantità, o all’interno di essa per modiche quantità. Ancora oggi, presso i popoli più primitivi, l’attività delle donne è largamente dedicata a questo aspetto della nutrizione familiare. 

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