I MaterialiIl Mobile

Materiali e reversibilità

Oggi, anche se lentamente, nel settore del restauro del mobile antico, sempre più ci si pone il problema della reversibilità di materiali come consolidanti, stucchi, colle, coloranti, tinte, mordenti, cere e vernici. Vediamo come affrontare la questione della reversibilità nel momento della scelta del prodotto da utilizzare o del tipo di lavoro da eseguire.

Reversibilità o removibilità

I materiali suddetti vengono applicati in forma liquida o in una consistenza intermedia tra quella liquida e quella solida. Tutti hanno un proprio tempo di solidificazione in dipendenza della densità di applicazione.
Il passaggio alla fase solida può avvenire per evaporazione dell’acqua di diluizione o del solvente oppure per reazione chimica di indurimento.
Nel primo caso si è in presenza di materiali chimicamente reversibili che hanno bisogno di acqua o di un apposito solvente per passare dalla fase solida o semisolida a quella liquida. Quasi sempre i solventi adatti a sciogliere questi materiali una volta applicati sono gli stessi che ne avevano modificato la consistenza per renderli applicabili.
Nel secondo caso tra i materiali usati o usabili nel campo del restauro non mi risultano casi di reversibilità chimica almeno con i solventi maggiormente usati.

Sembrerebbe dunque che i materiali chimicamente reversibili siano da considerarsi meno invasivi, più rispettosi dei materiali antichi e più adatti a un futura asportazione per un intervento migliorativo da parte dei nostri posteri.
Spesso però c è confusione a livello terminologico. Si pensa che un materiale possa venir eliminato facilmente per la sua reversibilità chimica. Bisognerebbe invece parlare anche di removibilità meccanica, intesa come possibilità di eliminare in un secondo momento un intervento effettuato.
E inoltre il solvente che scioglie un materiale solidificato può avere effetti deleteri sul materiale legno se esso viene applicato per immersione. Se poi infine un materiale è termofondente non sempre l’applicazione del calore è praticabile senza effetti negativi indotti.

È quindi opportuno analizzare singolarmente i materiali di restauro su menzionati per definire e chiarire nei dettagli quanto qui affermato. Si vedrà che il concetto di reversibilità può diventare rituale se considerato da solo e talvolta persino fuorviante per un restauro corretto e soprattutto rispettoso della storia passata e futura del mobile.

Consolidanti e consolidamento

Tradizionalmente si usava, come consolidante per parti molto tarlate, la colla calda “da falegname” piuttosto liquida e si cercava di farla penetrare nei forellini.
Questa penetrava poco nei fori sia perché il tempo aperto è piuttosto breve a causa del veloce raffreddamento sia perché la penetrazione avveniva quasi completamente per forza di gravità mediante un corretto posizionamento del pezzo da consolidare.  Di fatto nei rari casi in cui veniva fatto, questo consolidamento serviva solo per otturare la parte terminale dei fori e risparmiare sulla stuccatura seguente.

Un altro metodo di consolidamento era l’immersione in cera fusa. È evidente il limitato utilizzo di questo metodo: solo manufatti relativamente piccoli possono essere trattati in questo modo. Oltre a ciò la cera calda può avere negativi effetti sulla finitura ad esempio in gommalacca.

Mutuando un sistema in uso nel restauro dei reperti archeologici, dei tessuti antichi, della ceramica e terrecotte, delle pitture parietali e delle statue lignee dipinte, oggi si può adoperare come consolidante una resina sintetica sciolta in un apposito solvente.

Questo sistema non è recentissimo. Già negli anni 50 del Novecento la multinazionale chimica tedesca Höchst’commercializzava una resina vinilica denominata Mowilith da sciogliersi in acetato etile. Storicamente questa è stata la prima resina sintetica utilizzata come consolidante.
La variante Mowilith 50, un copolimero dell’acetato di polivinile, è la più adatta alla conservazione del legno e dei reperti ossei.
Viene ancor oggi venduto in cristalli trasparenti da sciogliersi in acetato etile (che è il solvente più adatto). Tra i solventi o diluenti in uso nei laboratorio di restauro, si scioglie bene (al 15 – 20 %) anche in acetone e diluente nitro. Non è invece solubile in acqua e alcol.

Negli anni 70 però delle prove di laboratorio a cura dell’Istituto Centrale di Restauro accertarono che la resina vinilica è attaccabile dai tarli come il legno e quindi questo uso decadde.
Fu preferito pertanto un prodotto denominato Paraloid B72.

Il Paraloid B 72 (marchio della Rohm and Haas) è un copolimero di durezza media di metacrilato di etile e metacrilato di metile (70/30) e si presenta sotto forma di perline o cristalli trasparenti. È solubile negli esteri (acetato etile e di amile), chetoni, idrocarburi aromatici, idrocarburi clorurati (tricloroetilene, ecc.). Solubile anche nel “diluente nitro“.

Oltre ad essere inattaccabile dai tarli, a differenza delle resine viniliche come il Mowilith, è più flessibile, non produce deformazioni plastiche del manufatto ed è molto stabile.

Personalmente sciolgo questa resina in forma di cristalli in diluente nitro o acetone nella proporzione di 1 p.p. di resina e 6 p.p. di solvente. Ho verificato che 0,5 – 1 kg complessivi si sciolgono completamente in una settimana circa.

Le soluzioni diluite con entrambe le resine possono essere applicate per spennellatura, iniezione, “goccia a goccia” o immersione, con penetrazione ed efficacia progressivamente maggiore. Una volta penetrata all’interno del legno la resina si solidificherà conferendogli una certa consistenza. La solidificazione si produce per evaporazione del solvente. Da ciò deriva la maggiore penetrazione quando si sceglie ad esempio il diluente nitro e la maggiore velocità di solidificazione quando si preferisce invece un solvente più bassobollente come ad esempio l’acetone.

Fin dove è possibile io procedo con immersioni ripetute fino a completo assorbimento e successivo lavaggio delle superfici ad esempio con diluente nitro per impedire il depositarsi sulle superfici esterne di uno strato lucido di resina.

In alternativa si può procedere alla picchiettatura continua con pennello saturo.
Questo metodo è il più adatto quando non è possibile l’immersione. La picchiettatura dovrebbe essere ripetuta più volte, e cioè sempre sulla mano precedente ancora umida fino alla completa impregnazione del manufatto e ripetendo l’operazione fino al completo assorbimento. Dopo ogni fase è opportuno il lavaggio con il metodo sopra descritto.

Entrambe queste resine (Mowilith e Paraloid) fissano relativamente a lungo tutti i solventi. È perciò importante prestare particolare attenzione riguardo all’essiccamento e al magazzinaggio a causa dell’odore e della tossicità dei solventi.

È evidente che il consolidamento è una operazione che vuole conferire stabilità nel tempo ad un manufatto che altrimenti rischierebbe di sgretolarsi.
L’ operatore pertanto conduce questa laboriosa e dispendiosa operazione proprio per conservare il più possibile ciò che resta dell’originale e non pensa nemmeno lontanamente alla possibilità che in futuro qualcuno proceda all’eliminazione del suo lavoro. Il consolidamento infatti viene eseguito solo quando la situazione è molto grave e non ci sono alternative conservative.

La resina penetrata non subisce una trasformazione chimica come ad esempio i collanti termoindurenti e di per sé rimane reversibile. Di fatto però non sarà più possibile estrarla dall’interno del legno se non in minima parte, quella superficiale. In questo caso, a parer mio, non si può parlare né di reversibilità né di removibilità in quanto la non rimozione è condizione di sopravvivenza per l’elemento consolidato e questi due concetti sono da porre in secondo piano.

Diventa invece molto importante una corretta scelta del consolidante per le sue caratteristiche di buona penetrazione, compatibilità con in legno e i suoi “movimenti” e non attaccabilità da parte di insetti o agenti patogeni. Non è infine da sottovalutare il fatto che la penetrazione della resina rappresenta la fine certa di uova e tarli ancor vivi all’interno del legno.
E questi requisiti a tutt’ oggi sembrano ampiamente rispettati dal Paraloid B72.

Stucchi e stuccatura

Tradizionalmente ogni mobiliere o ebanista si fabbricava lo stucco da sé.
Veniva usata per lo più polvere finissima del legno legata con colla “da falegname” diluita.

Stucco con gesso di Bologna: Una variante più raffinata si può però mutuare dal restauro pittorico e di oggetti e sculture in legno. Viene usato come mescola di base il gesso di Bologna, altrimenti detto gesso cotto o da doratori, colorato con terre coloranti come terra di Siena, terra di Siena bruciata, terra ombra o di van Dick, terra di Cassel, ecc. Questa mescola viene legata con colla di coniglio diluita. Viene scelto questa variante di colla di origine animale perché rimane morbida per più tempo della classica colla da falegname e produce uno stucco secco meno rigido e quindi più adatto ai naturali movimenti del legno.
Personalmente uso una colletta formata da 1pp di colla di coniglio e 3/4pp di acqua riscaldate sempre “a bagno maria”.

Lo stucco deve essere applicato nelle piccole insenature e buchetti cercando di premerlo il più possibile dentro e lasciando sempre dell’eccedenza sulla superficie.
Essiccandosi diminuirà il suo volume e quindi tenderà ad abbassarsi. Prima di ogni stuccatura successiva sarà bene rasare lo stucco eccedente. Questa operazione deve essere ripetuta fino a quando la rasatura non rivelerà nessuna carenza.

Una buona accortezza è quella di preparare la superficie con una mano di vernice, applicare le diverse mani di stucco, rasandolo sommariamente con un ferro tagliente prestando attenzione a non intaccare il legno, “lavando” poi la superficie con acqua preferibilmente calda. Questa operazione sostituisce il tradizionale metodo di usare la carta abrasiva (o “vetrata”) per finire la superficie dato che questo ultimo sistema non può fare altro che “spatinare” il legno.
Viceversa il lavaggio con acqua non intacca la “patina” e la mano di vernice sulla superficie impedisce la penetrazione dell’acqua dello stucco nel legno.

È evidente che questo stucco di per sé è un materiale chimicamente del tutto reversibile perché la colla animale che funge da legante è termofondente. Di fatto però mediante acqua calda si può asportare solo la parte superficiale della stuccatura e al massimo si produce per sfregamento anche accentuato solo un avvallamento in corrispondenza della stuccatura stessa.
Si potrebbe obiettare che con un bisturi o un altro arnese meccanico si riuscirebbe a estrarre lo stucco. Di fatto non c è nessun motivo per farlo e si può facilmente supporre che, se in futuro si vorrà sostituire la stuccatura, la nuova verrà semplicemente sovrapposta alla vecchia. Lo stesso si fa anche oggi quando ad esempio si vuole coprire una vecchia stuccatura che utilizza come legante l’olio di lino.
Fino in epoca relativamente recente si usava questo legante per stuccature anche abbastanza estese. Oggi queste si presentano comunque di colore scuro o persino nerastro perché qualunque sia o sia stata la terra usata come carica di base, con il tempo l’olio di lino scurisce.

Altri tipi di stucchi possono venir usati per stuccare piccoli difetti del legno.
Lo stucco “francese” all’acqua, una pasta molto fluida diluibile in acqua a base gessosa e addensata anche con olio è facilmente rasabile, di buona consistenza e viene venduto anche colorato come le varie essenze legnose. Tutto sommato è abbastanza compatibile al legno come elasticità anche se è problematica la tenuta nel tempo se la stuccatura è poco più grande di un forellino.

Legno plastico: Mutuato dall’industria del mobile è il cosiddetto “legno plastico“, segatura di una determinata essenza legnosa legata con una resina addensante in genere poliuretanica o acrilica molto diluita. L’ essiccazione è piuttosto veloce ed è abbastanza basso il relativo calo di volume.
Se questo stucco viene usato nel restauro dei mobili antichi si hanno vari problemi.
La superficie ottenuta è pressoché impermeabile oltre che di scadente levigabilità.
Diventa pertanto molto difficoltosa una eventuale truccatura di colore prima della lucidatura finale, è quasi nulla la penetrazione della gommalacca e, a causa della cattiva levigabilità, impossibile una lucidatura a specchio .
Le vernici attuali (soprattutto poliuretaniche) hanno un maggior effetto coprente a causa dell’alto residuo secco (60-80%) e quindi lo strato applicabile per mano applicata è molto spesso. Per queste caratteristiche queste possono essere sovrapposte a questo tipo di stucco senza problemi.
Viceversa la gommalacca (come del resto anche altre vernici tradizionali come ad esempio sandracca, coppale, ecc.) ha bisogno di penetrare nei pori e ha uno scarso potere coprente a causa del basso residuo secco (5-10% in relazione al rapporto di diluizione alcol-resina).
Per questi motivi si sconsiglia l’uso di questo stucco nel campo del restauro anche se, occorre ammetterlo, è invece abbastanza usato.
Oltre a ciò la resina che funge da legante indurisce con un processo che è difficilmente reversibile se non con il solvente suo proprio. Questo è la stessa sostanza che funge da legante che come già detto rende impermeabili le superfici che tocca.
L’ eventuale tentativo di rimozione delle stuccature con il solvente inevitabilmente quindi rende impermeabili anche le superfici circostanti. Oltre a ciò è meccanicamente molto laborioso rimuovere lo stucco una volta essiccato.

Resine bicomponenti: Soprattutto nel restauro di vecchie cornici ma anche delle sedie, sedicenti restauratori usano ricostruire parti mancanti usando resine bicomponenti per lo più di tipo epossidico. Queste sono chimicamente irreversibili e come tutte le resine termoindurenti sono dure e poco flessibili. Il tempo aperto è piuttosto basso e veloce è l’indurimento. Per quest’ultima caratteristica sono indubbiamente molto comode in presenza di lacune o mancanze estese.
Il problema maggiore che si evidenzia è la scarsa adesione nel tempo. Queste resine infatti per loro natura non sono elastiche come il legno, anche se spesso i produttori affermano il contrario, e con l’alternarsi dei micromovimenti del legno si producono analoghe microfessurazioni per perdita appunto di adesione in corrispondenza della superficie di contatto tra il legno e la resina indurita.
Oltre a ciò c è scarsa compatibilità con le finiture in uso in una bottega di restauratore per la quasi totale impermeabilità della resina essiccata.
Se si volesse in un secondo tempo rimuovere questo stucco, forse lo si potrebbe fare sugli spigoli o comunque sulle parti convesse, difficilmente sulla parti concave. Nei fori, nelle insenature strette e nei cosiddetti sottosquadra la rimozione sarebbe impossibile.
In definitiva quindi in questo caso si può parlare di totale irreversibilità e di parziale removibilità.

In conclusione qualsiasi stucco dovrebbe essere reversibile e rimuovibile. Anche se sarà sempre un operazione delicata e potrà richiedere anche grande abilità, dovrà essere comunque sempre praticabile.
E perciò regola comune a tutte le operazioni di stuccatura che la coesione della porzione stuccata non superi per tenacia quella del materiale limitrofo. È infatti pericolosa una tenacia superiore in quanto in generale le strutture originali, in quanto antiche, sono di solito compromesse, indebolite e in caso di rimozione uno stucco troppo tenace rischia di strappare con sè anche parte di materia originale.
Questa caratteristica elimina immediatamente tutti gli stucchi monocomponenti o bicomponenti che solidificano per una irreversibile reazione chimica. I tempi sono troppo brevi per un adeguata e agevole lavorazione e inoltre in genere si ha formazione di calore e talvolta anche aumento di volume al momento dell’indurimento. Complessivamente è un metodo troppo pericoloso perchè può provocare rotture e colature di materiale applicato quasi del tutto ineliminabili. Ed infine non è indicato in quanto si tratta di prodotti di sicura irreversibilità e di quasi impossibile rimovibilità. 

Colle e incollaggi

Verranno in questa sede analizzati i collanti e i relativi sistemi d incollaggio usati o usabili nel campo del restauro solo per ciò che riguarda i problemi della reversibilità e della removibilità.

Colla di origine animale

La colla animale è una complessa naturale combinazione di catene di proteine, anche se è il collagene il responsabile del potere collante.

Come tutte le proteine possiedono numerosi gruppi capaci di formare legami a idrogeno per cui risultano sostanze tipicamente idrofile e in definitiva sensibili e non resistenti all’acqua.

Tipico fenomeno delle proteine è la denaturazione proteica che è l’alterazione irreversibile della sua struttura chimica tridimensionale provocata dall’azione di agenti sia chimici che fisici. Può essere accelerata da enzimi ed è provocata da numerosi fattori: calore, acidità, basicità. alcol, acetone, formaldeide, radiazioni UV, raggi X, ecc .

Si può facilmente dedurre da queste note la facilità estrema con cui il film anche essiccato può essere sciolto. La reversibilità chimica di questo tipo di collanti si può dunque identificare solo come deterioramento e questo tipo di collanti non sono riattivabili come altri di tipo termofondente.

Come sempre si pone però il problema della removibilità del film.

Raramente ci si trova nell’impossibilità pratica di eseguire uno scollaggio. Talvolta il processo sarà lungo o laborioso (miniforature in parti non in vista e iniezioni di alcol, appoggio di panni umidi riscaldati con un ferro, ecc) ma il risultato sarà soddisfacente se si osserveranno tutte le precauzioni possibili per salvaguardare il legno.
Spesso però il problema sta nell’impossibilità o per lo meno l’estrema difficoltà a pulire il giunto dai residui di vecchia colla. Contrariamente a quanto talvolta affermato e anche scritto, questi residui non possono più avere alcun potere collante anche se certamente non inibiscono un successivo incollaggio.
In definitiva dunque nel caso delle colle di origine animale il problema vero è quello pratico della removibilità e non quello della reversibilità vera e propria.

Colla vinilica

Come già detto a proposito della resina vinilica detta Mowilith e usata come consolidante, tra i solventi/diluenti in uso nei laboratorio di restauro, il film collato si scioglie bene anche se lentamente in acetato etile, in acetone e anche nel diluente nitro. Non si scioglie invece con alcol.
Il problema diventa però spesso di difficile soluzione pratica. Non sempre infatti si riesce a bagnare per lungo tempo il giunto collato e soprattutto senza intaccare, modificare o talvolta rovinare delle parti in vista o già finite.
Con il calore, contrariamente a quanto sopra affermato in linea di principio, di fatto la rimozione non è possibile. Infatti è impossibile mantenere per lungo tempo una temperatura stabile del giunto a 50-60°C e inoltre si hanno effetti devastanti sul legno che forma il giunto. Più facilmente si è costretti a surriscaldare l’esterno del giunto per permettere al calore di penetrare all’interno e in questo modo le superfici esterne o almeno le rispettive finiture facilmente sono compromesse e possono presentare bruciature.

Si ricorda inoltre che una delle caratteristiche fondamentali dei collanti vinilici è che la tenuta è tanto maggiore quanto più è sottile il film collante. Spesso i giunti nel campo del restauro sono piuttosto grezzi e sicuramente lo spessore del film collante è superiore all’ordine dei decimi di millimetro. E questa è una fondamentale controindicazione per l’uso dei collanti vinilici nel campo del restauro.

In conclusione si può agevolmente affermare che il collante vinilico oltre a non essere indicato nel restauro per le sue caratteristiche intrinseche, è di fatto di removibilità difficile e per lo più pericolosa per le superfici del legno circostante i giunti.

Altri collanti

Talvolta capita di sentir lodare la miracolosa e soprattutto veloce efficacia degli adesivi cosiddetti istantanei come quelli ciano acrilici o epossidici. Analogamente a quanto detto per le resine analoghe usate come stucchi, si tratta di sostanze che essiccando producono film molto rigidi e fragili e incapaci di adattarsi ai movimenti del legno sia quando questo è sottoposto a sollecitazioni meccaniche che quando si dilata o restringe per le variazioni dell’umidità.

Non è quindi il caso di usare questo tipo di collanti anche se si tratta di rifissare parti molto piccole.

Non è nemmeno il caso di usare collanti di tutt’ altro tipo come quelli elastomerici.

I più noti sono quelli che utilizzano come materia prima il policloroprene, sintetizzato per prima dalla Du Pont con il nome commerciale di neoprene. È per questo che questo tipo di collanti sono chiamati comunemente neoprenici (Bostik e simili). Normalmente gli adesivi neoprenici, sciolti in solventi clorurati, vengono spalmati sulle due superfici da incollare e l’accoppiamento è effettuato dopo l’evaporazione dei solventi. Una volta accoppiate le parti da incollare non si possono più riposizionare.

Da queste brevi osservazioni si può concludere innanzitutto che per sua natura il giunto rimane sempre parzialmente elastico. Se quindi questo tipo di collante viene usato per l’incollaggio di giunti sottoposti a sforzo o a fatica il problema è l’estrema elasticità del film. Questa caratteristica rende inevitabile la formazione o di spaccature sulla eventuale copertura (lastronatura, bordini, cornicette, ecc) o per lo meno di fenomeni di craquelure sulla finitura delle superfici.
Oltre a ciò il film è di difficile removibilità a causa della lenta e laboriosa solubilità chimica della sostanza.

Coloranti e mordenti

La coloritura è quella operazione mediante la quale si modifica il colore naturale del legno pur lasciandone trasparire il disegno e l’alternanza di chiaro e scuro delle venature.  

Le sue finalità sono le seguenti:

  1. far risaltare meglio il colore naturale
  2. imitare legni pregiati
  3. rendere uniforme il colore del legno nuovo con quello vecchio
  4. livellare le lievi differenze di colorazione ad esempio tra alburno e durame delle varie parti originali del manufatto

La coloritura, come normalmente viene praticata, interessa solamente lo strato più superficiale del legno (qualche decimo di millimetro). Può essere coprente (come i coloranti ad olio), penetrante (come le aniline), per via intermedia (terre) o agire per reazione chimica (mordenzatura). Da ciò deriva che la mordenzatura è un operazione chimicamente meno reversibile del trattamento con aniline e ancor meno della copertura con colori ad olio.
Questo non significa però che ad esempio i coloranti a olio siano facilmente removibili come si vedrà. Certamente questi e le terre diventano più removibili se applicati su un fondo verniciato.

La penetrazione del colore risente molto dell’orientamento delle fibre legnose: in particolare le sezioni trasversali assorbono molto di più di quelle radiali o tangenziali, a causa della capillarità per la quale l’acqua tende a risalire attraverso i pori del legno. Ciò comporta una maggiore penetrazione e intensità di colore sulle superfici trasversali e quindi maggior difficoltà di rimozione successiva.

E poi da ricordare che qualsiasi difetto superficiale verrà esaltato dalla coloritura. Ad esempio una fibra legnosa sollevata accumulerà intorno alla sua base una gocciolina di colorante e quindi in quel punto il colore sarà più intenso.

Da tener presente che i legni di conifera di natura resinosa o quelli di latifoglia ricchi di tannini possono dare problemi per reattività chimica rispettivamente delle resine e dei tannini con il colorante. Allo stesso modo, per incompatibilità chimica, si possono avere problemi a volta irrimediabili quando si mescolano fra loro due coloranti per ottenerne un terzo.

I solventi possono essere o l’acqua o l’alcol mentre non sono indicati nel campo del restauro inchiostri o coloranti solubili in solventi organici perché a forte penetrazione, irreversibili e irremovibili.

Coloranti naturali (vegetali o animali)

Fino all’Ottocento erano gli unici conosciuti per la colorazione del legno. Hanno scarso potere di penetrazione anche se non sono di facile removibiltà perché penetrano comunque nel tessuto del legno.

Aloe che si estrae da varie specie di piante omonime. La provenienza determina la diversità di colorazione:

aloe di Bombay di colore rosso;
aloe del Capo marrone verdastro con riflessi verdi;
aloe del Natal di colore grigio marrone;
aloe di Barbados di colore marrone cioccolato.
Si scioglie in acqua bollente (1:10) o in alcol (1:5).

Campeggio. È un colorante che si estrae da un albero che cresce in Messico e in genere nel Centroamerica. Si presenta in forma di polvere marrone che si scioglie in acqua.

Senza una mordenzatura (vedi dopo) preliminare si ottiene un colore giallo arancio.

Sangue di drago. È una secrezione resinosa che si ricava dai frutti di alcuni tipi di palme delle Indie Orientali. È di colore rosso-bruno solubile in alcol ed è utilizzata soprattutto come colorante per velature o come additivo per colorare le vernici.

Gomma gutta. La gomma gutta è un colorante organico di origine vegetale e provenienza orientale, conosciuta fin dall’antichità. Si presenta in blocchi di colore giallo traslucido che si sfregolano abbastanza facilmente. È solubile in alcol, pochissimo penetrante ed è tradizionalmente usata come colorante anche in combinazione con resine propriamente vernicianti per il suo splendente colore giallo oro.

Terre coloranti. Sono in genere delle terre macinate finissime che vengono usate nel restauro del mobile per colorare gli stucchi e a volte per truccature superficiali nella fase di prefinitura. Hanno la caratteristica di essere corpose e quindi non sono adatte per tingere il legno. Se usate per truccature o velature fanno spessore e si amalgamano difficilmente con il legno circostante. Questo si può osservare soprattutto a luce radente. Presentano però una scarsa penetrazione nel legno e addirittura nulla se vengono applicate su una “mano” ad esempio di gommalacca. Da ciò si deduce l’ottima removibilità di questa colorazione.

Da ricordare che le terre asciutte hanno un colore loro proprio, in miscela bagnata con la colletta o con la gommalacca come leganti ne presentano un altro, quando sono asciutte dopo l’applicazione un altro ancora e infine quando vengono ricoperte dalla verniciatura finale ancora una volta cambiano colore. Da ciò si può capire facilmente la difficoltà di indovinare la miscela giusta delle terre e l’esperienza richiesta in questo campo.

La più usate sono le seguenti:

Terra di Cassel :Il suo colore bruno-scuro è intenso e caldo. Usata soprattutto per scurire altre terre.
Terra d’ombra bruciata : È ottenuta dalla calcinazione della terra d’ombra naturale ed ha una tonalità calda e sufficiente stabilità. È forse la terra più usata nel settore del mobile.
Terra di Siena naturale :Dà una tinta gialla tendente al bruno che si avvicina al colore del noce chiaro. Non è molto stabile alla luce e viene adoperato come correttore di altre terre.
Terra di Siena bruciata: È la terra di Siena naturale calcinata. È un colore rossastro con buon potere colorante e stabile alla luce.
Rosso inglese: Terra simile come composizione alla precedente. Colore solidissimo ma bisogna essere parchi nell’adoperarlo perché tinge fortemente.
Rosso pompeiano: Simile ai due precedenti ma con minor potere colorante.

Coloranti all’acqua

Si tratta di sostanze costituite sia da coloranti naturali (vedi sopra) che da quelli sintetici di invenzione tardo ottocentesca, detti aniline.
Sono solubili in acqua calda o tiepida, e mescolabili fra di loro per ottenere una vasta gamma di gradazioni. Per facilitare la penetrazione si aggiungono piccole dosi di ammoniaca. Questa attacca la lignina dello strato superficiale del legno e in tal modo fa allargare i “pori” del legno.

Per la facilità di applicazione e di distensione data la lenta evaporazione dell’acqua questi coloranti sono i più appropriati nel restauro del mobile. Siccome però tingono per penetrazione nelle fibre del legno possono essere rimossi solo levigando la superficie in profondità. Non si può quindi propriamente parlare né di reversibilità né di removibilità del processo ma solo di asportazione della superficie colorata.

Coloranti all’alcol

Si tratta di prodotti solubili nell’alcol etilico a maggiore penetrazione dei coloranti all’acqua.
A causa della volatilità del solvente, seccano rapidamente e quindi sono di difficile distensione sulle superfici; se stesi direttamente sul nudo legno, a causa proprio della profonda penetrazione, sono irremovibili.

Nel campo del restauro vengono utilizzati per tingere piccole zone su superfici verniciate o materiali poco porosi come la madreperla o l’avorio.

Anche qui non si può parlare né di reversibilità né di removibilità ma di asportazione dello strato colorato. Oltretutto questo è più profondo di quello ottenuto con i coloranti all’acqua e quindi di asportazione ancor più difficile.

Velature e truccature con tempere

Dopo le prime mani di verniciatura di solito a gommalacca e prima della finitura a tampone, può essere necessario ritoccare parti rovinate o precedentemente stuccate.
In questo caso si è dimostrato molto appropriato l’uso di tempere colorate ad acqua.
Su una o più mani di vernice come isolante hanno scarso spessore di copertura, grande varietà di toni, buona luminosità e totale removibilità con acqua.
La facilità estrema di rimozione garantisce da comprensibili errori l’operatore ma la sua delicatezza soprattutto allo sfregamento è un handicap per la lucidatura seguente. È indispensabile perciò l’applicazione molto delicata a pennello dopo una completa essiccazione di una mano di vernice.

Coloranti ad olio

Hanno un ottimo livello di penetrazione, ma presentano diversi inconvenienti:
asciugano molto lentamente; cambiano di colore una volta asciutti e, con il passare del tempo, a causa dell’ossidazione dell’olio penetrano in forma ineguale nel legno a seconda della porosità; in genere anneriscono nel tempo perché l’olio di lino che ne è il legante si ossida e annerisce .

Oltre quindi ad essere chimicamente irreversibili, sono irremovibili per ché impediscono di ritingere il legno con un’altra tintura che non sia ad olio. Per tutti questi motivi non devono essere utilizzati nel restauro dei mobili.

Mordenti coloranti

Moltissimi sono i mordenti, ossia sali che si legano con sostanze presenti nel legno impartendo un particolare colore.

Permanganato di potassio. Si presenta in forma di cristalli di colore violetto che si dissolvono in acqua. È un ossidante molto forte, e per questo il suo uso è sconsigliato, se non con le dovute precauzioni.
Può essere usato sia per imbrunire che per decolorare il legno. Questa sostanza in soluzione dall’1% al 5% colora il legno di una tonalità intermedia di marrone.

Bicromato di potassio. Si presenta in cristalli di un bel colore rosso-aranciato, inodori, inalterabili all’aria ed abbastanza solubili in acqua. Utilizzato a concentrazioni molto basse, reagisce con i legni ricchi di tannino, conferendo colorazioni brune più o meno cariche; applicato su oggetti trattati con soluzioni di legno di campeggio fornisce delle colorazioni nere intense. (Attenzione perchè è cancerogeno ndr)

Bicromato di sodio. Si presenta in cristalli di colore aranciato-rossastro oppure in polvere leggera.

Viene spesso impiegato in sostituzione del bicromato di potassio, poiché è di costo molto inferiore e permette di raggiungere quasi gli stessi risultati.

Ammoniaca. Viene utilizzata in genere in soluzione acquosa per tingere il rovere poiché reagisce con il tannino conferendo al legno un colore marrone scuro. In soluzione più diluita (3-5%) è usato per invecchiare legno nuovo.

La mordenzatura colorante in genere è un operazione per sua natura chimicamente irreversibile in quanto si ha una reazione chimica con le sostanze contenute nel legno con produzione di una nuova sostanza di colore diverso.
E quindi anche la removibilità è per lo meno difficile. Solo talvolta il legno può essere sbiancato ma non si tornerà mai al colore precedente alla mordenzatura.

Mordenti decoloranti

Le sostanze a disposizione sono moltissime, ma solo alcune entrano nella pratica di bottega: il permanganato di potassio è ad esempio più utilizzato come colorante che sbiancante .

Ipoclorito di sodio. È tossico ed irritante per le mucose e per gli occhi. È uno sbiancante molto efficace, ma produce danni irrimediabili alla cellulosa. Inoltre la fibra deve essere lavata al termine del trattamento con abbondante acqua demineralizzata, per rimuovere residui che potrebbero continuare ad agire e formare acido cloridrico. Se ne sconsiglia pertanto l’uso nel restauro nonostante che sia a tutt’oggi un prodotto di largo consumo.

Soda caustica. Si scioglie in acqua. In bassissime concentrazioni può colorare il legno conferendogli un tono giallastro mentre se si eccede, questo si decolora, perché questo prodotto brucia le fibre del legno e le decolora. Non è consigliato assolutamente nel campo del restauro per la sua violenta aggressività anche se molto usato dai restauratori dilettanti come sverniciatore totale.

Acqua ossigenata. Ha il grosso vantaggio che i prodotti della reazione di ossidazione sono ossigeno ed acqua che sono innocui e inoltre non è necessario un lavaggio al termine del trattamento, in quanto il perossido rapidamente si decompone senza dare sottoprodotti.

Acido ossalico. Si presenta in cristalli trasparenti, incolori, igroscopici. È solubile in acqua, al 10% a temperatura ambiente, molto di più scaldando la soluzione (44% a 60ºC). Non è un forte riducente, ma la velocità di reazione può essere accelerata scaldandolo leggermente.

In definitiva la mordenzatura decolorante è un operazione rischiosa. Può produrre danni alla superficie del legno e bisogna conoscere bene la compatibilità delle varie sostanze con le vernici che dopo vengono applicate.

Le Vernici

Le vernici usate in un laboratorio di restauro sono per lo più solubili in alcool.
Questo è pertanto il solvente più adatto, anche se non l’unico, per rimuovere coperture in gommalacca o sandracca che sono le resine più frequenti.
Sono da evitare accuratamente sostanze acide o basiche come la soda caustica che rovinano in profondità il legno bruciando gli strati superficiali e asportando così qualsiasi patina.

Se si sceglie di sverniciare del tutto una superficie mantenendo però la patina del legno, i problemi più rilevanti si incontrano quando si vuole asportare lo strato di turapori composto per lo più da pietra pomice in polvere fissata con gommalacca.
A proposito del concetto controverso di patina vedi La patina

Viene qui considerata solo l’asportazione dello strato di copertura con metodo chimico, non considerando la levigatura con carta vetrata o abrasiva che per sua natura non può conservare alcuna patina .
Come aiuto si può usare paglietta metallica fine tenuta sempre bagnata in alcol o in una miscela sgrassante ad esempio di alcool, benzina rettificata ed etere etilico. In  alternativa si può usare una mista di alcol ed essenza di trementina o qualche altro solvente.

Spesso però ci si imbatte in superfici che hanno subito diversi interventi con uso anche di smalti a base di olio di lino cotto o più recentemente di smalti sintetici, vernici moderne (nitro, poliuretaniche). Da diversi anni sono in commercio inoltre dei surrogati sintetici della gommalacca (vernici nitro opportunamente modificate per essere applicate a tampone) che vengono usati perché permettono una maggior velocità di esecuzione e un maggior spessore di copertura per mano , senza però la morbidezza del risultato finale tipica delle superfici finite a gommalacca. In questo caso e in quello di generiche resine sintetiche vengono usati sverniciatori chimici che sciolgono e sollevano il film coprente dalla superficie del supporto.
Quelli di più frequente uso sono a base di cloruro di metilene perché sciolgono tutte le resine moderne (viniliche, nitro, poliuretaniche, ecc.).
Il cloruro di metilene è una sostanza tossica molto volatile e viene pertanto tamponata in un gel che ne prolunga l’efficacia diminuendo la velocità di evaporazione.

Siccome questi sverniciatori chimici non intaccano nessuna delle resine e cere tradizionali (vedi tabella specifica) vengono usati anche come pulitori di superfici con un fondo ad esempio a gommalacca e successivi interventi posteriori magari di difficile individuazione.

Il problema più impegnativo però riguarda le vecchie coperture a base di olio di lino che una volta essiccate sono durissime e di difficile rimozione. Il metodo meno pericoloso è il riscaldamento con pistola termica facendo attenzione a non bruciare il legno. L’ alternativa parziale è rappresentata solo da sostanze come l’ipoclorito di sodio o la soda caustica che sopra ho già sconsigliato. Non resta pertanto che il calore seguito dal paziente metodo meccanico con carta abrasiva, raschietti o utensili taglienti mettendo così una pietra sopra alla patina del legno.

E da rilevare però che talvolta i mobili che presentano questa copertura possono essere mobili dipinti di pregio ed dunque tutte le tracce di colore originale devono essere mantenute.
In questo caso per asportare lo sporco superficiale si può usare con successo una crema pulente a base di sapone in crema miscelato ad alcool etilico ed ammoniaca ( spirito di sapone ). Questa mescola viene spalmata o pennellata sulle superfici e asportata dopo alcuni minuti: le superfici devono poi essere accuratamente sgrassate. Si consiglia comunque una successiva finitura a cera.

Solubilità di oli, resine ed elastomeri in vari solventi

Resine acriliche e metacriliche (es. Paraloid): Solubili in alcol etilico, cloruro di metilene, acetone, diluente nitro. Parzialmente solubili in alcool isopropilico Non solubili in essenza di trementina, etere solforico , benzina rettificata,etere etilico .

Resine viniliche (es. Mowilith): Solubili in cloruro di metilene, in acetone, in diluente nitro. Parzialmente solubili in alcool isopropilico. Non solubili in essenza di trementina, etere solforico , benzina rettificata,alcol etilico, etere etilico.

Gommalacca: Solubile in alcool etilico, in alcol isopropilico. Parzialmente solubile in acetone. Non solubile in essenza di trementina, etere solforico , benzina rettificata, etere etilico, cloruro di metilene, diluente nitro.

Sandracca: Solubile in alcol etilico, alcol isopropilico, etere etilico, acetone. Non solubile in essenza di trementina, etere solforico , benzina rettificata,cloruro di metilene, diluente nitro.

Colofonia: Solubile in essenza di trementina, etere solforico , alcool etilico, etere etilico, acetone, diluente nitro. Non solubile in benzina rettificata, cloruro di metilene, alcol isopropilico.

Trementina veneta: Solubile in essenza di trementina, etere solforico , alcol etilico, acetone. Non solubile in benzina rettificata, alcool isopropilico, etere etilico, cloruro di metilene, diluente nitro.

Mastice: Solubile in essenza di trementina, alcol etilico, diluente nitro Parzialmente solubile in alcol isopropilico, etere etilico, acetone. Non solubile in etere solforico , benzina rettificata, cloruro di metilene

Dammar: Solubile in benzina rettificata, alcool etilico, alcol isopropilico, diluente nitro. Parzialmente solubile in etere solforico , acetone. Non solubile in essenza di trementina, cloruro di metilene.

Coppali: Molto lentamente solubili in alcool etilico parzialmente solubili in acetone. Non solubili in essenza di trementina, etere solforico , benzina rettificata, alcol isopropilico, etere etilico, cloruro di metilene, diluente nitro.

Cera d’ api e cera carnauba: Solubile in essenza di trementina. Non solubile in etere solforico , benzina rettificata, alcol etilico, alcol isopropilico, etere etilico, cloruro di metilene, acetone, diluente nitro.

Olio di lino secco: Parzialmente solubile in alcool etilico, etere etilico, acetone. Non solubile in essenza di trementina, etere solforico , benzina rettificata, alcool isopropilico, cloruro di metilene, diluente nitro.

Nitrocellulosa: Solubile in acetone, cloruro di metilene. Lentamente solubile in diluente nitro. Non solubile in essenza di trementina, etere solforico , benzina rettificata, alcool etilico, alcool isopropilico, etere etilico.

Le cosiddette colle viniliche sono adesivi a base di acetato di polivinile in emulsione acquosa, che per poter formare un film di collante secco, continuo ed omogeneo, devono consentire alle particelle, che costituiscono il film collante, di rimanere unite.
Ciò non si può verificare al di sotto della temperatura minima di filmazione (TMF: solitamente a circa 5-7°C) una temperatura sotto la quale il film collante non si forma più e l’adesivo indurito presenta un aspetto tipico, biancastro e gessoso e non può più avere alcuna capacità adesiva. Si può abbassare questa temperatura anche di 4-5°C con l’aggiunta di sostanze dette plastificanti ma questo è a discapito del potere collante.

Viceversa questi adesivi perdono ogni resistenza allo scorrimento a temperature superiori a 50-60°C. Ma anche a temperature inferiori una caratteristica negativa tipica è la poca resistenza allo scorrimento quando il giunto è sottoposto a carico costante. A temperature prossime ai 100°C si ha un residuo secco irreversibile.
Questa colla non è resistente all’acqua, a meno che non venga migliorata con additivi particolari.
Il meccanismo di indurimento è essenzialmente per evaporazione.I collanti usati tradizionalmente nella costruzione dei mobili sono quelli di origine animale e derivano dal trattamento di residui della macellazione degli animali che le danno il nome: colla forte o da falegname (da bovino), colla di pesce, colla di coniglio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Translate »