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Mobile Impero

Fonte: Testo tratto da “Relazione sul restauro di un Comò Impero ” di Francesca Latini ” Scuola di Restauro di Ostra” Corso di restauro del mobile

Premessa

Lo scopo di queste pagine è quello di vedere insieme come i professionisti si pongono di fronte al restauro di “pezzi” importanti. Questo tipo di approccio al restauro, molto probabilmente non è praticamente eseguibile per ogni pezzo che ogni buon restauratore si accinge a restaurare, vuoi per il tempo, vuoi per la finalità pratica: un comò dei primi decenni del Novecento sicuramente non riveste oggi la stessa importanza e non sprigiona lo stesso fascino di una ribalta del Settecento.

Pertanto se per il primo ci accingeremo ad un restauro coscienzioso ma di routine, per il secondo, dedicheremo senz’altro più attenzione, riservando, anche per nostro piacere personale, più tempo ad una documentazione scritta e fotografica che tenga traccia degli interventi eseguiti.

Così avviene che, come suggerito dalle pagine “Principi di Restauro“, nella relazione che mi accingo a proporvi, si passa dall’analisi del manufatto, inquadrandolo nella sua epoca storica e quindi datandolo e attribuendogli uno stile alla verifica dello stato di conservazione attuale individuando gli eventuali interventi di restauro in precedenza eseguiti. Si passa poi ad elencare in un possibile ordine cronologico gli interventi necessari, ed infine si effettua il restauro vero e proprio riportando il mobile al suo originario splendore, non rinnovandolo o volendone cancellare i segni del tempo, ma armonizzandoli e valorizzandoli, così che al termine del nostro lavoro abbia riacquistato la dignità e il fascino di un grande Vecchio.

“Scheda Tecnica di Restauro di un comò in stile Impero”

Analisi del Mobile

Comò in stile Impero, databile intorno alla metà dell’Ottocento in noce e pioppo.

Descrizione

Il comò si presenta in un pessimo stato di conservazione e con un evidente deterioramento. Ha subito inoltre qualche tentativo di restauro poco appropriato. La struttura portante è in massello di noce.

Il comò ha tre cassetti, di cui il primo, più piccolo, fa parte del fascione superiore che è in aggetto rispetto al resto del corpo del mobile.

Questa è una tipologia propria dello stile Impero in quanto richiama la costruzione tipica dei templi romani, formati da colonne che sorreggeva l’architrave. Ai lati dei due cassetti inferiori andrebbero infatti due lesine a forma di mezza colonna che purtroppo sono andate perdute nel corso del tempo.

Le gambe posteriori sono semplicemente quadrate. E, come appunto i canoni dello stile, non vi sono parti mosse o appena morbide, bensì forme estremamente delineate, rigorosamente perpendicolari e squadrate ad esclusione delle colonne da reintegrare che danno al mobile quell’eleganza sobria , ma imponente, che ispirano potenza, fermezza, risoluzione, rispetto ed un senso di interezza distaccata che sublima e sottomette lo spettatore alla sua presenza. E un mobile estremamente elegante, che esige la lucidatura alla francese per dare sfoggio della bellezza della noce da cui nasce e che non è destinato ad essere semplice contenitore di biancheria, bensì per dare orgoglio ai suoi possessori e padroni.

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Fianco del mobile

I fianchi sono a specchi rientranti, inglobati attraverso dei canali alla struttura portante. Il piano formato da varie tavole è montato in senso trasversale, così come sono composte in verticale le lastronature dei cassetti inferiori. Nel primo cassetto la noce è montata in senso longitudinale. Ciò crea un gioco di contrasti che donano un effetto particolare ed un pregevole aspetto al mobile. La patina è originale. Ad un esame tattile, il legno risulta di una durezza e di una levigatezza che solo il tempo può donare; la venatura è compatta e chiusa e non è avvertibile sotto le dita. Battendo il legno con piccoli colpi, se se ricava un suono secco e sordo. Il colore è biondo scuro dato dalla gommalacca ormai ingiallita ed è leggermente tendente al rosso. Si nota, inoltre, una massiccia presenza di insetti xilofagi che infestano il mobile, contribuendo al degrado in cui versa.

Analisi dettagliata di ogni elemento e dei precedenti interventi di restauro.

Il Ripiano

Il ripiano è in noce massello spesso due centimetri, formato da vari listelli posizionati con l’andamento della venatura in posizione perpendicolare rispetto alla lunghezza del piano. Quest’ultimo è stato inchiodato alla prima catena (sottopiano) e ai fianchi del mobile.

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Condizioni del piano

Si notano infatti delle stuccature a cera dura che ricoprono le teste dei chiodi infossate nel legno. Nella parte inferiore della catena sottopiano, si vedono le punte di ferro di questi troncate al pari livello del legno in quanto più lunghi degli spessori piano e catena.

Questo bloccaggio meccanico ha fatto si che le varie tavole del piano (con precisione sono sette), causa i movimenti del legno dovuti alla maggiore o minore quantità di umidità (che rispettivamente gonfia o ritira il legno), si sono sconnesse tra loro. Alcune di esse si sono anche imbarcate.

Un intervento poco ortodosso

Le tavole più esterne del piano nella parte che si affaccia sui fianchi, presentano due tasselli a coda di rondine confluenti all’esterno.

Il perché di questo intervento effettuato non a posteriori, bensì al momento della costruzione del mobile, sono da ricollegarsi al fatto che le tavole in questione presentano dei nodi (parte dei quali visibili ancora nella parte inferiore del piano) che il falegname ha preferito sostituire con i suddetti tasselli e per una questione di rigore estetico ha posizionato queste due tavole ai lati, in modo che questo intervento (se vogliamo poco ortodosso) non interrompesse la continuità di venature al centro del piano e, anche, per non dover ricorrere altrimenti ad un’altra partita di noce, visto che le tavole, provengono , guardandone attentamente la conformazione, il colore e l’alternanza di alburno e durame, tutte dallo stesso tronco.

Tra la terza e la quarta tavola partendo da sinistra si nota un intervento di restauro effettuato in un secondo momento, per supplire allo scompenso del legno che in quel punto era particolarmente evidente: un listello di 4 mm di spessore sempre in noce è stato messo a “tappo” senza livellare le due tavole con il pessimo risultato di aumentare più di prima la differenza di altezza delle due parti e creando uno scalino ancora maggiore.

Evidenti macchie di cera indicano il tentativo, che ha avuto esito negativo, di “ammorbidire” questo scalino che ora risulta di 1,5 mm.

Sulla stessa tavola una stuccatura fatta con biancone (o gesso Bologna) e terre colorate indurite con colla animale, copre un nodo che probabilmente è saltato via, mentre sulla quarta tavola due bruciature profonde testimoniano qualche piccola trascuratezza o incidente per fortuna a lieto fine.

Il Fianco

Sul fianco destro notiamo una profonda fenditura, corrispondente alla linea di unione, con dei residui di colla al suo interno e di cera al suo esterno.

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Fessurazione nel fianco

Lo specchio del fianco è liscio e rientra nel mobile per un centimetro mentre ha uno spessore di cm. 1,5 che va rastremandosi ai lati nella parte interna e si innesta così lungo tutta l’altezza dei montanti, con una scanalatura effettuata a regola d arte e che forma una coesione perfetta tra le due parti.

Anche la cornice sotto di 1 cm di spessore verso l’esterno, si unisce ai montanti per mezzo di incastri a tenone e mortasa e ingloba il fianco.

Un discorso a parte riguarda la fascia in aggetto superiore: con la stessa tecnica della fascia inferiore è stata costruita quella superiore che incornicia lo specchio del fianco, a differenza che per fare quest’ultima è stato usato del pioppo su cui è stato incollato un altro pezzo, di 2 cm di spessore (questa volta di noce) che costituisce la parte sporgente; esso termina dietro con la fine del mobile, mentre nella parte anteriore ad ognatura (45°) per unirsi alla parte che crea l’aggetto anteriore la quale è, invece, direttamente incollata sul montante.

Il Fronte

Nella parte frontale abbiamo la catena sottopiano in alburno di noce, recante un incavo nel quale alloggia la serratura quando il cassetto è chiuso; infatti il primo cassetto, il più piccolo, ha il frontalino che integra, come abbiamo detto, il cordolo in aggetto e ha come fermata di corsa la catena vera e propria.

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Fronte del mobile

Le altre catene, sempre in noce, si innestano sui montanti con incastro a tenone e mortasa.

Abbiamo detto che le due mezze colonne ai lati dei cassetti sono state perse. Sono però ancora evidenti sui montanti, appena sotto la sporgenza del fascione e appena sopra i le gambe del comò, i residui della colla animale con cui erano assemblate.

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Posizione delle lesine mancanti

Le gambe posteriori sono la continuazione dei montanti così come le gambe anteriori le quali presentano in più una sporgenza incollata di pari spessore alla parte aggettante superiore ( cm. 2 ) che parte dalla linea inferiore dell’ultima catena fino ad arrivare a terra per tutta la lunghezza del piede. Ha la funzione di piedistallo per la colonna.

La parte in alto a sinistra dell’aggetto si è completamente staccata però, per fortuna, è stata conservata all’interno di un cassetto del mobile.

I Cassetti

A proposito dei cassetti, c è da dire subito che, mentre nel primo cassetto la noce è messa, come si dice in gergo, “per vena” , cioè la venatura segue parallela la lunghezza del cassetto, negli altri due l’andamento delle fibre ha una linea verticale. Il perché lo vedremo in un secondo momento in quanto il cassetto più piccolo ha il frontalino in legno massello mentre nei cassetti più grandi abbiamo una placcatura di ben 7 mm che purtroppo è molto sconnessa: il cassetto centrale ha ben 14 placche mentre il terzo ne ha 9.

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Uno dei cassetti

Questa scelta è stata fatta forse per seguire un criterio di economicità visto che per la costruzione di quasi tutto il mobile (cioè ripiano, fascione, fianco, montanti, catene, gambe e frontalino del primo cassetto) è stata utilizzata moltissima noce e con spessore veramente eccezionale.

Le ragioni per cui anche parti per così dire “di servizio” quali montanti e catene, sono in noce massello è da ricollegarsi al fatto che esse sono pur parti esposte e come tali fanno parte anche esse dell’estetica e della linea squadrata del mobile

Il primo cassetto non si chiude completamente perché la serratura si è sconnessa e va a toccare la catena sottopiano. Problema comune ai tre cassetti è lo scostamento tra il fondo e i fianchi. Nel secondo e nel terzo cassetto le placche sono sconnesse fra di loro ed alcune di esse sono quasi staccate. La placca centrale è fissata con cinque antiestetici chiodi.

Il fondo del secondo cassetto è in abete, probabilmente rifatto in un secondo tempo, mentre negli altri due è di pioppo e troviamo profonde spaccature.

Interno e schiena

Nell’interno del comò i corsaioli (guide) sono vistosamente consumati e impediscono la buona funzionalità dei cassetti. Nello schienale sono stati applicati degli spessori per arrestare la corsa dei cassetti, mentre al di sotto del ripiano sono state applicate delle liste di legno di traverso per limitare o riaccostare le spaccature del piano.

Il comò nella parte dietro presenta uno schienale in pioppo con le assi poste in orizzontale.

Fasi del restauro

Il comò è stato lasciato per circa due settimane nel laboratorio per permettere il suo adattamento alle nuove condizioni del microclima.

Il mobile ha un immediato bisogno di un trattamento antitarlo.

Trattamento antitarlo

Per rendere più efficace questo trattamento è opportuno sapere qualche cosa di più di questo insetto nocivo e del suo ciclo vitale.

Le uova vengono depositate in fessure, giunti staccati ecc. Le larve sono estremamente piccole ed incominciano a rodere il legno del quale si cibano. Esse scavano gallerie, rimanendo nello stato di larva per due o tre anni e talvolta per più tempo. Dopo tale periodo si mettono a rodere verso la superficie e si trasformano, una volta adulti, in coleotteri. Abbandonano la galleria attraverso un foro che li porta finalmente all’esterno e qui si accoppiano e la femmina depone le uova in posti adatti, talvolta anche in vecchi forellini di uscita iniziando così un nuovo ciclo.

Per attaccare il tarlo, la prima esigenza è quella di tentare di fare cessare ogni sua attività con l’uso di appropriato insetticida.

Dovendo sostituire i corsaioli (guide dei cassetti), preferisco eliminarli prima del trattamento in quanto evito uno uso inutile di antitarlo e sono facilitata nel passare il pennello all’interno dei fianchi. Con la pistola a aria compressa cerco di pulire per quanto possibile lo sporco dalla superficie e dall’interno delle gallerie dei tarli per facilitare l’assorbimento dell’insetticida liquido.

Utilizzo lo xilamon, il cui uso è autorizzato dalla Sovraintendenza alle Belle Arti, passandolo abbondantemente con il pennello in ogni parte del comò. Avvolgo il tutto con del nylon per creare una sorta di camera a gas in cui la concentrazione de prodotto sia elevata.

Data la tossicità dei suoi componenti ho eseguito il trattamento con tutte le dovute cautele per evitare un intossicazione, in quanto lo xilamon ha un grande potere penetrante e attraverso la pelle arriva subito in circolo nel sangue.

Ho lasciato poi il mobile, avvolto nella “camera a gas” per una settimana, per dare all’antitarlo il tempo necessario affinché agisca poi, prima di poter cominciare ad effettuare il restauro l’ho liberato dall’involucro di nylon affinché, per un paio di giorni, stando all’aria perda l’odore del veleno e finisca di asciugare.

Riparazione del piano

Dopo il trattamento antitarlo ho iniziato il lavoro di restauro partendo dal piano: sono partita con il segnare tutte le varie tavole che compongono il piano del mobile e le ho staccate mediante l’uso di un mazzuolo di gomma battendo, al di sotto del piano, su di un legno posto di traverso.

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Rimozione delle tavole del piano

Con le tavole sono venuti via anche i vecchi chiodi che poi ho segato. Questo perché, essi erano molto infossati nel legno, al punto che se li ribattevo, avrei corso il rischio di rovinare il piano ed in più, li ho potuti conservare, almeno in parte, nella loro posizione originaria.

Ho pulito i punti di giunzione di ogni pezzo del piano, che erano sporchi di polvere, cera e vecchia colla animale, mediante uno scalpello ed una lama semirigida da regno (raschietto) naturalmente ben affilati.

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Incollaggio delle tavole del piano

Li ho incollati a gruppi di tre con la colla a caldo , tirando prima con dei morsetti, preparati precedentemente, dai lati per accostarli, chiudendoli poi tra due legni lunghi, facendo in modo che non si creino delle differenze di livello nelle giunzioni.

Prima di incollare ho fatto una prova generale, perché la colla a caldo si “impolmonisce” (cioè perde il suo potere collante) se passa troppo tempo dalla stesura al serraggio con i morsetti.

Riparazione del fianco

Sono passata poi all’incollaggio dello specchio del fianco che non è né incollato né inchiodato ai montanti ma è semplicemente inserito nelle scanalature, perciò libero di muoversi. Ho potuto così commetterlo agganciando con i morsetti un pezzo di legno sulla parte sinistra del fianco che mi è servito da appoggio per un altro morsetto che, questa volta, collega questo “ponte” con il fondo del mobile permettendo il riaccostamento delle parti.

Ricostruzione dei corsaioli

Ho iniziato così la ricostruzione dei corsaioli (guide dei cassetti), che come avevamo visto li avevo eliminati in quanto consumati al punto da risultare inservibili.

Restauro di un comò Impero: riparazione dei corsaioli
Ricostruzione dei corsaioli

Una volta prese le misure, ho usato del legno di pioppo per ricavarne i corsaioli. Mediante la sega a nastro ho creato gli scassi che vanno ad inglobare i montanti. Dopo averli provati sul mobile, ho fatto dei buchi con il trapano in corrispondenza dei montanti che mi sono serviti da alveolo per inserire chiodi fatti a mano alla maniera antica.

Prima di fissare i corsaioli al comò, li ho piallati con lo sgrossino ( tipo di pialla lunga con ferro arrotondato, che serviva appunto per sgrossare il legno) per cancellare i segni lasciati dalla piallatrice meccanica.

Per posizionarli mi sono servita di una squadra che mi dava la giusta ortogonalità con il fronte del comò. Li ho così incollati ed inchiodati ai montanti. Dopo di ciò ho posizionato le guide, che servono per evitare il gioco laterale dei cassetti direttamente sui cassetti con colla e chiodini senza testa.

Riparazione delle catene

Ho notato che le due catene inferiori erano leggermente instabili. Per evitare di smontare tutto il comò ho divaricato, con un sistema di leve, i fianchi, in modo da lasciare sufficiente spazio per inserire della colla a caldo, iniettata con l’uso di una siringa, negli incastri a tenone e mortasa. Ho poi richiuso gli incastri stringendoli con un lungo morsetto da fianco a fianco.

Riparazione dei frontalini dei cassetti

Per riparare i frontalini dei due cassetti inferiori, è necessario staccare le placcature in quanto, essendo gravemente compromesse per quanto riguarda la loro aderenza alla tavola di pioppo sottostante, una stuccatura semplice sarebbe stata una soluzione di ripiego e a lungo andare, qualche placcatura sarebbe venuta via.

La colla animale è la colla che veniva utilizzata in quell’epoca essa si scioglie con il calore, a bagnomaria: è, quindi, reversibile. E proprio in queste occasioni che si può sperimentare di persona l’importanza dei materiali reversibili: le colle viniliche, quelle bicomponenti e tutte le altre colle sintetiche che si trovano in commercio oggi, non permettono un distacco senza procurare danni al legno perchè sono molto tenaci. Con esse non avrei mai potuto distaccare le placche senza spaccature e fratture gravi dell’essenza lignea.

Partendo quindi dal principio sopra citato, ho bagnato le placche con molta acqua, lasciandole “macerare” con essa per circa un ora utilizzando stracci bagnati appoggiati sopra il frontalino. Dopo ciò ho numerato, cassetto per cassetto, le varie lastronature per non confondermi nel rimontaggio indicandone sia la successione che il verso.

Distacco della placcatura

Utilizzando una siringa, ho iniettato acqua calda fra la placca in noce e il fondo in pioppo. Ho riscaldato mediante una pistola termica, la zona su cui stavo operando. Ciò ha ammorbidito la vecchia colla che, cedendo un pò alla volta mi ha permesso l’inserimento di due scalpelli da scultore ( più sottili rispetto a quelli da falegname ).

Continuando a bagnare ed a scaldare la placca ed inserendo sempre più profondamente gli scalpelli sono riuscita a distaccarle. Con questo procedimento ho trattato una per una ogni singola placca.

La parte sottostante di esse si presenta piena di colla appicicaticcia. Per toglierla avrei dovuto raschiare con una raspa. Però in questo modo avrei perso inesorabilmente tutti i segni del ferro a dente (particolare pialla utilizzata dai falegnami con un ferro formato da denti fini e piccoli che serviva a creare una superficie con scanalature che aiutavano la colla ad aderire meglio) e riducendo, anche se di poco lo spessore delle placche.

Ho così messo a bollire in una teglia dell’acqua e una per una le ho messe a bagno. La colla a caldo si è completamente sciolta ed è bastato strofinare con uno straccio le placche per asportarne così ogni residuo.

Una placca del secondo cassetto, risulta gravemente compromessa dai tarli, tanto che ho ritenuto opportuno sostituirla con del noce antico, ricavato da un portone della fine del 700 appartenuto ad un ordine ecclesiastico.

Un discorso a parte va fatto per il frontalino in pioppo del cassetto: le placche erano semidiscostate perché la tavola di pioppo sottostante era tutta leggermente imbarcata verso l’esterno diminuendo così la zona di aderenza tra noce e pioppo. Con una pialla a mano ho rettificato allora il frontalino ottenendo così una superficie piana che ho poi graffiato con il ferro a dente.

Dopo aver ripulito anche lateralmente le placche ho iniziato, partendo dalle due centrali a reincollarle. Come punto di riferimento ho tenuto il foro della serratura.

Tra la lastronatura ed il pezzo di legno posto sotto il morsetto ho messo un foglio di carta per impedire un eventuale incollaggio tra la placca e il tassello. Appena la colla animale è fuoriuscita dai bordi laterali della noce, spinta dalla forza di trazione dei morsetti, l’ho subito tolta con la punta di uno scalpello per poter subito passare al riassemblaggio di quelle successive.

Una volta terminato l’incollaggio delle placche sui due frontalini, ho lasciato asciugare la colla per le solite 24 ore.

Rifacimento delle colonnine

Una volta tolti i morsetti dei precedenti incollaggi (riparazione delle catene e del fianco) dal comò, ho potuto rilevare le misure delle parti in cui verranno inserite le semicolonnine con i loro capitelli. Ho disegnato alcuni bozzetti di capitello da fare al tornio, tenendo conto che la sezione trasversale del capitello non mi da una mezza colonna completa, ma bensì 2/5 di cerchio. Infatti l’avancorpo non forma un quadrato, ma un rettangolo di 2 cm di larghezza e 5 cm di lunghezza. Comunque, visto che viene ricavato da un cerchio, ho tornito il legno con un diametro pari alla larghezza massima dell’avancorpo, cioè 5 cm.

Studio per le lesine

Ho tornito varie forme perché dal vero ho potuto constatare meglio la proporzione dei vari elementi.
Ho scelto il capitello classico romano in quanto è il più ricorrente riscontrabile nelle documentazioni fotografiche dei vari esempi di mobili Impero ed unisce semplicità e raffinatezza.

Partendo dal diametro del capitello e della base, fatti in noce, ho fissato un pezzo, sempre di noce e tagliato con le giuste misure di lunghezza, larghezza e profondità, ad un tassello alto che mi è servito di supporto alla colonna che ho stretto nella morsa del bancone.

Con il pialletto ho consumato il legno fino a dargli una rotondità ed una rastrematura verso l’alto per snellire la colonna.

Ho poi smussato gli spigoli, creatisi inevitabilmente, con il raschietto e con della carta vetrata a grana grossa per poi arrivare a quella più fina.

Altri interventi sui cassetti

Fondi staccati

Una volta che la colla sul frontalino dei due cassetti ha fatto presa, ho potuto togliere i morsetti per poter intervenire sui fondi staccati.

Il Falegname che ha costruito il comò ha messo sulle sponde dei ciurli di legno piccolissimi a mo di chiodi per non consumare i corsaioli, che con l’uso si sono allentati.

Rovesciando sottosopra i cassetti, ho inserito dei chiodi da tappezziere con la testa ribattuta he poi ho infossato, mediante un calzachiodi, nel legno.

Lastronatura dei frontalini mancante

Nella parte frontale dei cassetti alcuni spigoli delle placche erano saltati via. Ho reintegrato queste parti con tasselli sempre di noce antica, facendo attenzione all’andamento della venatura.

Registrazione dei cassetti

Inserendo i cassetti nel comò, ho notato che c era troppa “aria” tra catena e cassetto (questo per un difetto di costruzione), così ho distribuito questo eccessivo spazio a metà tra la catena superiore e quella inferiore armonizzando il tutto. Ciò l’ho potuto ottenere incollando sulla parte bassa delle sponde dei cassetti, quella che scorre sui corsaioli, due liste di noce di 3 mm di spessore, che alzano il cassetto riducendo il vuoto superiore.

Doratura dei capitelli e delle basi delle colonnine

Ho gessato i capitelli e le basi delle colonne, che andranno dorati ad oro zecchino , secondo un antichissimo procedimento utilizzato già dal popolo egiziano alcuni secoli a.c.

La base per la doratura è una mestica calda formata da gesso di Bologna, finissimo e setacciato e colla di coniglio (o lapin), ottenuta in autoclave, bollendo in acqua e calce la pelle ed i tendini dei conigli.

Doratura dei capitelli

Questo strato di gesso permette la brunitura ( che vedremo poco più avanti) e crea una superficie liscia atta a ricevere l’oro. Ne ho passate tre mani, aspettando ogni volta la completa essiccazione dello strato sottostante lisciando con carta fine.

Nel frattempo ho ebanizzato le colonne.

Sui capitelli ho steso due mani di bolo armeno, con colla di pesce calda.
Il Bolo è una terra argillosa, di color rosso mattone, che troviamo nelle cornici antiche sulle parti in cui l’oro è stato consumato e che ha la funzione di appretto per l’oro.

Una volta che, questo strato è asciutto, ho cominciato a mettere l oro in foglie. Esso ha uno spessore variabile da 0,00001 a 0,00008 mm. Un tempo veniva fatto dal “battiloro” con un metodo lungo e faticoso utilizzando il martello e l’incudine.

Doratura

Una volta adagiata la foglia sul cuscinetto da doratore, facendo molta attenzione in quanto, dato il minimo spessore , è sufficiente un movimento improvviso per farla volare, l’ho tagliata con il coltello da doratore in piccole parti per avere una migliore agibilità per le piccole curve del capitello e per evitare uno spreco di metallo prezioso (più i pezzi di foglia sono grandi e maggiore è il rischio di romperla negli spigoli).

Con la colla di pesce ho poi bagnato le parti di bolo su cui ho adagiato l’oro che avevo precedentemente preso mediante un pennello di vaio appena ingrassato e specifico per questo uso.

Dopo sei ore ho “mattato” o “brunito” la superficie con il brunitoio (strumento con una punta di pietra d agata). La brunitura serve a schiacciare la foglia d oro sul bolo per creare un tutt uno che dona lucentezza e levigatezza alla superficie.

Pulitura della superficie

Ho rimosso la vecchia gommalacca, ormai ingiallita dal tempo, bagnandola con abbondante alcool e sfregando con paglietta per portare via ogni residuo. Nelle vecchie aperture, dove c era la presenza di cera, sono passata con essenza di trementina.

Questo metodo di pulizia è stato usato in sostituzione dello sverniciatore, in quanto è meno aggressivo di quest’ultimo.

Pulita la superficie, sono state messe in evidenza tutte le piccole differenze di colore e le macchie del legno che prima erano “mascherate” dalla lucidatura stessa.

Stuccatura

Ho steso una mano di gommalacca a pennello. A questo, punto ho stuccato tutti i fori dei tarli con biancone (gesso di Bologna) colorato con terra d ombra, alla terra gialla e al rosso di Siena aggiungendo un pò alla volta colla a caldo. Ottenendo così lo stucco con una consistenza spalmabile e del colore più vicino a quello della superficie da trattare. Dopo aver stuccato, ho lasciato asciugare e poi ho levigato.

Lo strato di gommalacca che ho passato in precedenza, mi ha permesso di carteggiare lo stucco senza intaccare la superficie del legno, perciò senza rovinare in nessun modo la patina. La gommalacca è venuta via anch’essa con la carteggiatura, in conseguenza dei numerosissimi buchi dei tarli che non hanno risparmiato nessuna parte del comò.

Per nutrire il legno e vederne il colore ho passato una mano di olio paglierino a tutto il comò. Per lenire alla differenza di colore del piano data dalla successione di alburno e durame di noce, ho adottato una tecnica coloristica adottata dai pittori del 500.

Lucidatura

Finalmente sono passata alla fase di lucidatura. L importanza del comò, unita alla bellezza della noce, richiede una “lucidatura alla francese” a specchio. Ho intriso un tampone di lana , ricoperta da una stoffa di cotone, con gommalacca disciolta in alcool, passandolo sulla superficie con movimento circolare e continuo.

Una volta raggiunto un bello strato di lucido, ho lasciato riposare il comò per un giorno per fare in modo che il legno assorba la lucidatura. Ho poi continuato a lucidare aggiungendo olio e alcool e immettendo nel tampone gommalacca sempre più diluita fino ad ottenere una superficie lucida a specchio.

Come ultima cosa ho graffiato i montanti in modo da far aderire la colla per assemblare le colonne.

Il colore ora risulta più scuro, perché mentre prima del restauro era dato dalla gommalacca ingiallita, ora è derivato dal noce, patinato dal tempo, che assume quella tonalità scura con profondi riflessi dorati, ed è semplicemente meraviglioso.

Il mobile finito

Il restauro a questo punto può ritenersi ultimato. Il comò ha ripreso funzionalità e bellezza originali.

Per quanto riguarda l’estetica il cassettone in questione è un pezzo di grande valore ed eleganza e può pertanto rimanere isolato in una sala e valorizzare esso stesso il resto dell’arredamento.

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