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Storia dell’Arte della Cartapesta


Titolo: Storia dell’arte della cartapesta
Autore: Ezio Flammia
Editore: Arduino Sacco
Genere: Arte (Saggio)
Anno: 2011
Prezzo: € 17,00
Pag. 326
Form. 235 x 150 (mm.)
Spessore: 24 (mm.)
ISBN – 978-88-6354-436-7

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Prefazione di Ezio Flammia

La cartapesta è un’arte polimaterica d’origine antichissima. I Greci, già nel secolo IV a.C., utilizzano la fibra di lino, una delle sostanze con cui si fabbrica la carta, per realizzare, unitamente allo stucco ed al colore, le maschere comiche della Commedia fliacica e le maschere cultuali da appendere ai rami degli alberi nei boschi sacri.
L’invenzione del composto per produrre la carta è merito dei cinesi ed è loro anche l’idea di utilizzarlo, dopo averlo amalgamato con pochi materiali di carica, per la produzione di oggetti utili alla casa come scodelle, cofanetti ed altro e in seguito, per creare opere d’arte. 

La cartapesta si ricava principalmente con due procedimenti fondamentali: utilizzando un conglomerato a base di pasta di carta, oppure incollando fogli di carta uno sull’altro, con sistemi operativi che si sono evoluti nel tempo.

Nei due procedimenti, da sempre, si utilizza moltissimo materiale cartaceo di recupero ed è perciò che la cartapesta è un’opportunità ideale per il riciclo della carta.
 Gli oggetti che si conoscono, appartenenti ad epoche, ad aree geografiche e ad ambiti diversi, consentono di apprezzare le grandi qualità della cartapesta ed è soprattutto la sua duttilità materica che affascina, nel corso della storia, personalità del mondo dell’arte, dell’artigianato e dell’industria. La letteratura d’arte del passato spregia la cartapesta ritenendola ‘materia vile’, poiché è ottenuta dalla frantumazione di umili stracci e, perciò, non è nel novero delle materie tradizionalmente ritenute proprie della scultura. Le cronache d’arte raramente registrano gli avvenimenti e le vicende degli artisti nel loro esercizio di cartapestai.
Vasari, nelle Vite, fornisce notizie di qualche interesse, quando descrive le sperimentazioni di alcuni artisti, eseguite con materiali poveri, simili alla tecnica della carta pesta, termine da lui usato nella “Vita di Domenico Beccafumi”.
 Dalle descrizioni vasariane, si conosce che la cartapesta, in Italia, prende avvio a Siena dopo le esperienze manipolative di Jacopo della Quercia, quando sul finire del secolo XIV costruisce il monumento funebre del capitano di ventura Giovanni d’Azzo Ubaldini, su ordine del Comune senese. L’artista, incalzato dalla necessità di eseguire in poco tempo la scultura commemorativa monumentale, modella, su uno scheletro di legno, cordami e altro, un composto di terra e cimatura (scarti della lavorazione delle stoffe). Questa novità tecnica di Jacopo, consente di ottenere risultati sorprendenti e prelude al conglomerato di carta pista degli anni successivi.  Le opere superstiti di cornici, di fregi architettonici in area senese, tra i secoli XV e XVI e le notizie riguardanti gli apparati di festa come il monumento semovente di Beccafumi in onore di Carlo V, confermano l’origine di una tecnica povera, nata a Siena, nel Rinascimento. La cartapesta, eseguita con fogli di carta incollati e sovrapposti, è nello stesso tempo utilizzata da Donatello a Firenze che la diffonde nel Veneto, poi per la ‘propaggine padovana’ si espande in Umbria e nelle Marche, infine nel resto dell’Italia.
L’esperienza di Beccafumi favorisce in futuro, sia le applicazioni della cartapesta per gli apparati effimeri di Gian Lorenzo Bernini, di Alessandro Algardi e di altri artisti del periodo barocco e sia le realizzazioni delle scenografie teatrali e degli addobbi nelle chiese.
Non si sa quanto siano debitori a Jacopo Della Quercia artisti come Donatello, Antonio Rossellino, Benedetto da Maiano, quando utilizzano la cartapesta per la produzione di copie da loro prototipi in materiali ritenuti nobili, ma è Jacopo Sansovino che, riprendendo la sperimentazione del grande senese la perfezionerà sulla base delle sue esigenze estetiche, raggiungendo risultati d’altissimo valore. La cartapesta, all’epoca di Sansovino ha un’alta considerazione tra gli aristocratici e tra il ceto emergente borghese ed è utilizzata indistintamente, nelle versioni, sia con i fogli incollati e sovrapposti e sia con il pesto di carta.  Gli artisti fanno uso della cartapesta anche per le opere devozionali per soddisfare i bisogni degli umili che esprimono sentimenti di pietà e di venerazione.
Quasi tutti gli artisti citati ed altri, in epoche successive, producono sculture e bassorilievi di cartapesta per il culto pubblico nelle chiese e per quello privato nelle case. Alcune di queste opere, che hanno la fortuna di salvarsi, sebbene siano collocate nei musei, risultano poco note al pubblico.
Le pubblicazioni prodotte, negli ultimi anni, in occasione di mostre delle opere restaurate, unitamente alla divulgazione delle sculture di cartapesta a carattere devozionale dei cartapistari di Lecce, contribuiscono a far conoscere l’aspetto tecnico/linguistico ed il percorso dell’arte della cartapesta nel tempo.
Sono, purtroppo, ancora poco analizzate le cartapeste delle botteghe emiliane e campane, come quelle dei Piò a Bologna, dei Punziano a Napoli, tasselli importanti per comprendere la diffusione della tecnica nelle regioni del Centro Sud.   La cartapesta del Settecento e dell’Ottocento primeggia tra le varie forme d’arte applicata e questo è il suo periodo più rigoglioso. Essa compete con le cineserie e adegua la moda orientale alla cultura dell’Occidente e per la duttilità materica e per le infinite possibilità d’applicazione, è definita ‘la tecnica universale’.  Si producono suppellettili, bambole, cavalli a dondolo e qualsiasi altro giocattolo ma è nelle opere di grande impegno esecutivo che la materia cartacea è impiegata con successo, come nei soffitti, nelle decorazioni dorate, nelle scenografie teatrali e negli apparati effimeri. Nell’Europa dell’Ottocento c’è un impiego della cartapesta per realizzare mobili, tazzine da caffè, bottoni, decorazioni architettoniche, giocattoli, casse d’orologi, separé, divisori di cabine di navi e tramezzi d’appartamenti.  Si hanno notizie persino dell’edificazione d’alcune abitazioni in Australia e di una chiesa a Bergen (Norvegia) che rimase integra per circa trentasette anni.
Nel Novecento, sino al secondo dopoguerra, si fa un largo uso della cartapesta per l’artigianato, per l’industria e pure per diversi allestimenti cinematografici e teatrali. Alcuni elementi scenici per la televisione dei primi anni si realizzano in cartapesta, che è considerata la materia ideale per gli allestimenti spettacolari. In seguito, l’introduzione dei nuovi materiali plastici nella produzione seriale dei giocattoli, negli allestimenti scenici e nelle realizzazioni di varie suppellettili, avvia il lento ma inarrestabile declino della cartapesta. Essa anche dove un tempo era fiorente scompare quasi del tutto e solo in pochi centri si attesta a baluardo delle secolari tradizioni. In questi centri la cartapesta si pratica, ancora oggi, con antiche e nuove metodologie, per costruire i Ceri delle festività religiose, per allestire i Carri allegorici dei Carnevali e per realizzare le Statue devozionali delle chiese.
Questo studio traccia il percorso della tecnica dalle origini sino ai nostri giorni e, lungo l’itinerario, analizza le opere e i metodi esecutivi di alcuni artisti. La presente indagine, fondata in modo non secondario sulle esperienze dirette di chi scrive, accumulate nel corso della propria attività di scenografo – scenotecnico, di costruttore di maschere, di didatta della cartapesta e di restauratore di opere museali, è anche una guida all’analisi del processo creativo degli artisti studiati, delle fasi del loro lavoro, delle finalità e del rapporto che hanno con il pubblico. Nell’analizzare la connessione tra artisti e committenza può capitare di scoprire qualche vicenda intrigante e curiosa come per esempio quella delle statue sacre fatte eseguire con un pesto ottenuto dalla macerazione delle carte da gioco, a seguito di rinati movimenti penitenziali.
In genere l’arte della cartapesta è conosciuta dal grande pubblico per il rapporto che ha con il Carnevale, ma è ignorata del tutto per quanto riguarda la sfera dell’arte.
È ancora perdurante il convincimento che la povertà della materia produca un’aridità artistica, sebbene le esperienze contemporanee elevino qualsiasi materiale a forme d’arte: uno dei movimenti recenti si denomina proprio Arte Povera e ancor prima, gli artisti informali, a cominciare da Burri, si esprimono soltanto con la materia che diviene il punto d’appoggio delle loro attività creative. Questo pregiudizio, invalso nell’opinione pubblica, profondamente radicato nella coscienza critica di ognuno, scoraggia l’avvio al collezionismo di oggetti di cartapesta e demoralizza persino giovani studiosi ad intraprendere ricerche sistematiche sulla storia e sulle metodiche di questa tecnica.
La consapevolezza e il timore che una misconosciuta, ma molto significativa forma d’arte, possa disperdersi ulteriormente, motivano chi scrive a sistemare piccole e grandi ‘tessere’ d’informazione per iniziare a comporre un mosaico dove sono considerati gli artisti, le opere e le vicende di una delle attività umane più affascinanti.
Lo studio ha inizio dall’esposizione dei primi tentativi di produzione della cartapesta, rapportata allo stucco da cui si evolve, per poi analizzare le opere, tracciando il percorso della storia dell’arte della cartapesta dalle esperienze delle botteghe toscane sino all’arte moderna.
Alcune opere analizzate di collezioni private sono inedite.
Ezio Flammia

Presentazione di Valeria Cottini Petrucci

(Ex Direttore del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari – Roma)

 L’importanza e la ricchezza di questo libro sono dovute all’impegno dell’autore a trattare un argomento quanto mai interessante, ma forse non conosciuto abbastanza anche se è nota la rilevanza della cartapesta nell’ambito della storia dell’arte e delle arti applicate. Ritengo che esso sia il primo trattato che approfondisce l’argomento in modo capillare facendone la storia dalle sue più antiche origini; i dati, i riferimenti riportati sono frutto di una ricerca puntuale che l’autore ha fatto e continua a fare su un tema che lo ha attratto e appassionato dall’inizio della sua carriera e che continua a costituire la centralità del suo lavoro e dei suoi interessi.

L’impianto del libro è ben costruito: l’autore parte dall’invenzione della carta avvenuta in Cina in tempi antichissimi e da dove poi ha avuto inizio la sua diffusione, in Oriente, in Africa, in Europa. Quindi spiega la tecnica della produzione della cartapesta e prosegue con un’analisi accurata, secolo per secolo, facendo scoprire una ricchezza quasi impensata nell’ambito della realizzazione di opere eseguite da artisti famosi conosciuti per i loro capolavori che sono a noi noti perché esposti in musei e immortalati sui libri d’arte, sui cataloghi di mostre, ecc.

La sua ricerca non ha trascurato nulla per quanto concerne le opere in cartapesta e ci dà modo di scoprire un mondo ricco e variegato: con questo materiale “ povero” nobilitato dall’ingegno dell’uomo sono stati modellati anche una quantità di esemplari meno elitari e più utilitari come burattini, giocattoli, scatole laccate, bottoni che sono dei veri gioielli per l’originalità della loro esecuzione.

Ma perché la tecnica della cartapesta non è molto conosciuta e perché non è stata tenuta abbastanza in considerazione, come l’autore stesso afferma nelle prime pagine del suo libro? La cartapesta è un materiale “ povero” perché è realizzata con fogli di carta a più strati o macerati nell’acqua, quindi materiale più umile rispetto al marmo, al bronzo, al legno usati dai grandi artisti per scolpire le loro opere. È materiale particolarmente duttile, facilmente modellabile e i grandi artisti l’hanno usata anche nella realizzazione dei loro capolavori, come l’autore dimostra nel suo lavoro.  L’origine “popolare” attribuita alla cartapesta si riferisce a manufatti con essa realizzati nell’ambito dei beni che appartengono al patrimonio demoetnoantropologico, e la differenza che li distingue dall’oggetto, frutto dell’arte cosiddetta “colta”, sta nel significato d’uso, laddove l’interesse  estetico non è mai autonomo, ma legato a vari usi, quali devozionali, rituali,  festivi, cerimoniali, protettivi, funzionali, decorativi. Si dà importanza non solo all’estetica, ma anche alla funzionalità dell’opera: gli oggetti, anche  se realizzati con materiale cosiddetto ”povero”, sono arricchiti e impreziositi dall’abilità, dalla bravura e dalla manualità dell’artista / artigiano che crea delle vere e proprie opere d’arte.

Il libro è denso di contenuti e fornisce una documentazione esauriente sulle opere di cartapesta non solo in Italia ma anche all’estero.

Voglio soffermarmi su quelle opere che interessano in modo particolare la sfera della tradizione popolare, perché queste opere di “tono minore” rispetto alle altre appartenenti all’arte colta, hanno ugualmente un’importanza di alto valore: esse sono la testimonianza dell’ingegno, della sapienza, della inventiva della mente dell’uomo.

Flammia cita un nutrito elenco di Madonne con il Bambino che appartengono alla sfera delle tradizioni popolari, a ornamenti che abbelliscono e impreziosiscono gli altari, i soffitti, le decorazioni di palazzi reali e principeschi, eseguiti da artisti famosi come, per citarne alcuni, Lorenzo Bernini, Andrea Verrocchio, Benedetto da Maiano, Jacopo Sansovino, Jacopo della Quercia. E ancora, nella gamma dell’utilizzo della cartapesta si devono annoverare gli ex voto, testimonianze importanti della religiosità popolare; tra questi sono un esempio di grandiosità e di suggestione le figure che ornano le navate laterali del santuario di Santa Maria delle Grazie a Curtatone in provincia di Mantova, inquietanti per la loro postura e le loro dimensioni.

Un impiego importante della cartapesta sono le elaborazioni delle macchine processionali, usate specialmente in occasione delle feste calendariali in onore dei santi e delle celebrazioni liturgiche solenni, gli apparati per carnevale, come i carri allegorici e le maschere, gli apparati e gli addobbi, a volte elaboratissimi per gli spettacoli di piazza, molto diffusi nella Roma barocca del ‘600: opere queste di grande effetto perché realizzate con inventiva e sapienza, anche se, naturalmente, destinate a scomparire e a rinnovarsi; la cartapesta, infatti, è il materiale più adatto a questo scopo.

Sono interessanti nel testo, oltre che la descrizione delle opere anche le riflessioni critiche che l’autore offre nella sua trattazione, frutto di una ricerca e di uno studio scrupoloso e attento.

Flammia è un grande maestro, ha insegnato, ha lavorato e lavora con entusiasmo, ha fatto suo questo mondo così ricco di saperi antichi, trasmettendo il suo sapere e la sua sensibilità. È un artista geniale: le sue opere sono di una particolare originalità ed eleganza e sono state esposte in molte importanti città italiane e straniere.

Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, che ho diretto per molti anni, ha avuto il privilegio di annoverarlo tra i suoi collaboratori e consulenti: egli è stato artefice del restauro di molti materiali, tra cui, in modo particolare voglio ricordare i Gigli di Nola e il candeliere di Nulvi.

Il suo contributo alle attività artistiche del Museo è stato sempre di altissimo livello e con un gesto di grande generosità ha donato tre sue opere che sono venute ad arricchire il patrimonio museale.

Auguro molta fortuna a questo libro che sarà certamente prezioso anche per i giovani, sollecitando chi ne sentirà il desiderio a far uso del proprio talento e della propria manualità per imparare a lavorare e a modellare la cartapesta.

Presentazione di Ennio Bìspuri

Desidero innanzi tutto ricordare a me stesso e al lettore che Ezio Flammia è un artista prima che essere un restauratore e un profondissimo (ripeto: profondissimo) ricercatore e conoscitore della storia dell’Arte nelle sue molteplici espressioni.

Ogni analisi di Flammia, anche se dedicata a un cosiddetto minore, poggia su considerazioni, osservazioni e riflessioni che rendono sempre e comunque ragione e giustizia della fatica fisica, oltre che mentale, celata nelle singole opere che la contengono e che l’hanno prodotta.

Anzi, la forza penetrativa di Flammia, rivolta allo studio di un autore o di una singola opera, ha sempre la capacità di superare la giusta gerarchia che il catalogo della Bellezza pure deve prevedere e possedere, per restituire la dignità a qualunque tentativo di espressione, ancorché dimenticato, sottovalutato o relegato nell’angolo come fosse un prodotto trascurabile.

Flammia studia e rispetta il fenomeno dell’arte come ciò che risponde alla pulsione creativa insita in ogni essere umano e come ciò che, nel suo complesso, è in grado di definire il timbro di una civiltà e di un’epoca, oltre che il tratto peculiare di un singolo artista, il quale non si muove mai all’interno di un vuoto pneumatico, ma è insieme il prodotto specifico e caratteristico di quella stessa civiltà che ha contribuito a formare.

In questa stupenda monografia, Storia dell’arte della cartapesta – La tecnica universale, densa anche di risvolti solo apparentemente marginali e di dettagli tecnici che possono sembrare talora superflui, nei quali invece si caratterizza la peculiarità espressiva di ciascun autore, impressiona la capacità analitica, la mole di conoscenze specifiche e il rigore filologico con cui Flammia dipana il suo filo di storico e di critico, addentrandosi in campi apparentemente differenti quali l’estetica, l’antropologia, la storia, la religione, l’economia, il gusto, la moda e persino la chimica, collegati tuttavia tra loro da una interconnessione profonda.

Questo libro di Ezio Flammia dedicato all’arte e alla storia della cartapesta, definita come la tecnica universale, vuole rendere innanzi tutto giustizia nei confronti di una materia umile come si presuppone sia la carta. Ma non è altrettanto umile la tela (tela di sacco, di stoffa, di fili intrecciati tra loro) su cui il pittore stende i suoi colori? E non sono altrettanto umili i colori, che altro non sono che materiali chimici? Non sono forse umili la pietra, il vetro e il bronzo, da cui lo scultore ricava le sue statue? Non è forse umile il pennello, costituito di peli di martora, di bue, di vaio, di capra, di tasso o di setole di maiale? Insomma – sembra suggerirci Flammia – perché dovrebbe essere più umile la carta? E poi, anche se fosse, perché ritenere a priori (e talora con sciocca supponenza) che da una materia umile non possa essere creato un capolavoro di bellezza?

Questi sono i presupposti e gli interrogativi ai quali Flammia con il suo libro dà una convincente risposta, a cominciare dalla premessa, che sgombra il terreno dal primo equivoco, costituito dalla sottovalutazione di questa materia relegata al fondo dei valori estetici, come se dall’oro dovesse ontologicamente venir fuori la Bellezza solo perché l’oro è prezioso. Ma questo è anche l’equivoco iniziale, su cui Flammia insiste con argomenti sempre convincenti e documentati, che confonde il prodotto finale con la materia che lo esprime. Giustamente Flammia pone ad epigrafe del suo studio la frase di Cesare Brandi “Quanto sia sottile la linea che divide l’arte dalla materia, quanto sia facile e incommensurabile il trapasso dall’una all’altra”. Scopriamo così che i più grandi artisti italiani, altrimenti famosi per opere da tutti conosciute e venerate, quali Jacopo della Quercia, Donatello, Verrocchio, Lorenzo Ghiberti, Beccafumi, Sansovino, Bernini, Algardi ecc. hanno lasciato opere in cartapesta di indubbia bellezza.

Ma non solo in Italia e non solo nei secoli recenti la cartapesta ha avuto una sua storia nobile.

Si tratta di un viaggio veramente affascinante all’interno di un’espressione figurativa relegata ingiustamente nell’angolo della critica e invece altrettanto giustamente ricollocata da Flammia nella dimensione prestigiosa che le spetta, come comunque è degna di essere valutata ogni espressione della creatività umana, indipendentemente dalla materia attraverso cui la Bellezza, perseguendo il suo fine ultimo, prende corpo e si esprime.

La lettura di questo libro conferma infine la sensibilità e tutte le qualità possedute da Ezio Flammia, unitamente  alle sue sterminate conoscenze nel campo della storia dell’Arte.

Ennio Bìspuri

 (Scrittore e storico del cinema) 

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