Arte e Artisti

Alberto Bonfà a Cento anni dalla sua nascita

Alberto Bofà commemorato da Ezio Flammia a Cento anni dalla sua nascita: Il Paesaggio che spesso dipinge “… è un paesaggio che ha dentro di sé e che ha visto e ammirato da sempre …

 

Commemorazione del pittore ALBERTO BONFA’ (1910 – 1998) nel centenario della nascita

Fonte: Discorso tenuto dal Prof. Ezio Flammia a Bianco (RC) in occasione della commemorazione del Centenario della nascita del pittore Alberto Bonfà.

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Quando nasce il pittore di Bianco Albero Bonfà, si esauriscono alcune avanguardie artistiche, le più importanti del secolo sono appena germogliate ed altre si affacciano all’orizzonte. La città che in quel momento raccoglie le forze più vive del vecchio continente, nel campo delle arti e non solo, è Parigi considerata unanimemente la Mecca delle arti. I movimenti che segnano le sorti dell’arte del Novecento sono:
 il Cubismo che nasce dalle ceneri dell’impressionismo e soprattutto a seguito della lezione cézanniana;
 il Futurismo, permeato da una forte contestazione all’accademismo, è tutto proteso verso un ‘modernismo dinamico’ più consono alla “civiltà delle macchine”;
 il Dadaismo, più di tutti, contesta il modo di fare arte così com’è concepita in quell’epoca, per paradosso, non si prefigge di fare arte. Il Dadaismo si fa conoscere prima a Zurigo, dove nasce, poi a Parigi, in seguito in tutta Europa: la sua poetica è apparentemente quella di non avere nessuna poetica.

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Il manifesto futurista è pubblicato a Parigi da Marinetti nel 1910, nell’anno di nascita di Bonfà, uno dei fondatori è il grande Umberto Boccioni che può essere considerato un vostro conterraneo poiché ha avuto i natali a Reggio Calabria, anche se da genitori romagnoli (Raffaele Boccioni e Cecilia Forlani).
L’Italia e Napoli in particolare, dove Bonfà studia, non sono indenni a questo clima di fermento delle arti e della cultura in generale che coinvolge tutta l’Europa.

Alberto Bonfà: Mare mosso, 45×35, Olio su Tela  

 

Dagli anni Sessanta dell’Ottocento si formano tre centri importanti, dove il dibattito culturale è più acceso che altrove per il contributo di alcuni artisti di talento, a Milano nasce la Scapigliatura, animata da pittori e letterati (Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni), a Firenze un gruppo folto di pittori dà vita al movimento dei macchiaioli (Giovanni Fattori e Silvestro Lega) e a Napoli si afferma la Scuola di Posillipo (Anton Sminck van Pitloo e Giacinto Gigante). I tre movimenti sono accesi da uno “spirito di ribellione nei confronti della cultura” risorgimentale considerata provinciale, e nei confronti dell’accademismo imperante e del “buonsenso borghese”. L’obiettivo degli artisti è di rinnovare la cultura e l’arte (italiana).
Dei tre movimenti il più antico è la Scuola di Posillipo i cui membri, quasi tutti pittori, si dedicano alla rappresentazione di paesaggi.

La bellezza del clima, i paesaggi stupendi che circondano Napoli, e i molti forestieri che chiedono sempre qualche ricordo disegnato o dipinto, avevano fatto sorgere un certo numero di artisti che, come per disprezzo, erano dagli accademici chiamati “Scuola di Posillipo” dal luogo dove abitavano per essere più vicini ai forestieri. Essi non facevano all’inizio che copiar vedute; ma gli inglesi hanno generalmente molto gusto per questi lavori, li giudicano e li pagano bene. Fu perciò necessario migliorare, e la “Scuola di Posillipo” fece progresso, e crebbe numero. Questi artisti viaggiavano assai degli altri: andavano in Francia, in Inghilterra e vedevano nuove scuole; andavano in Oriente e tornavano con nuovi lavori studiati dal vero. ” (Pasquale Villari, brano riportato da Raffaello Causa in “La scuola di Posillipo”, Milano 1967).

Alcuni artisti della scuola  di Posillipo da antiaccademici qual’erano, si convertono in educatori, prima tra tutti il fondatore Pitloo che  è chiamato  all’insegnamento del paesaggio, in qualità di professsore del “Reale Istituto di Belle Arti”, succede a Giuseppe Cammarano, un artista neoclassico autore di alcuni affreschi nelle regge di Napoli e Caserta.

La scuola di Posillipo influenza l’arte napoletana sino agli inizi del Novecento. Molti artisti partenopei,  compresi i maestri di Bonfà,  hanno ereditato dalla Scuola una nuova concezione di fare arte, sia dentro che fuori dagli studi, a contatto con l’ambiente e la realtà quotidiana.

Dai tre maestri che ha avuto Bonfà, Augusto Licata (Roma 1852 – Napoli 1942) , Carlo Siviero ( Napoli 1882- Capri 1953 ), Vincenzo Migliaro (Napoli 1859- 1938), apprende le diverse metodologie pittoriche, ma una è per lui fondamentale: il contatto con la natura. Il maestro che meglio degli altri gli fa conoscere il valore del dipingere en plein air è Migliaro, un artista considerato minore dalla critica per la sua pittura che esprime un “vedutismo locale ed un pittoricismo di facile fruizione”. In realtà la pittura di Migliaro comunica la cultura della Napoli di quell’epoca che ha come protagonisti Salvatore Di Giacomo, Matilde Serao, Nicola Amore, quest’ultimo è sindaco di Napoli, ricordato per aver promosso il così detto Risanamento, durante il quale molte case di Napoli vengono demolite per fare posto a nuove strade, dopo l’epidemia di colera che falcidia la città. Il comune di Napoli prima degli sventramenti ordina a Migliaro sette tele che rappresentano i quartieri degradati e gli uomini che vi abitano nella loro tragica realtà esistenziale. Le tele sono ora al Museo di S. Martino e sono “le testimonianze artistiche più eloquenti del passato ottocentesco della città e …  (sono)… pezzi di archeologia viva, in quanto capaci di rendere duratura la memoria delle immagini”.

Alberto Bonfà, quando frequenta l’Accademia di Belle Arti di Napoli, si confronta con una cultura artistica fortemente influenzata dalle esperienze del passato e della Scuola di Posillipo. Dipingere en plein air è per lui una scoperta fondamentale e per fare ciò deve ricercare i paesaggi, siano essi, scorci di marine o di vedute agresti, ma che si confanno alla sua poetica d’artista.

Napoli non è più quella vista da Corot o dai tanti pittori stranieri affascinati dalle vedute del golfo con il Vesuvio in attività; dopo gli sventramenti, la città assume un aspetto austero di metropoli.

Come tanti pittori di quest’epoca Bonfà cerca un paesaggio ideale luminoso, solare, idillico. Van Gogh si reca in Provenza in cerca di colori forti espressionistici, Gauguin se ne va in Polinesia dove, a contato con quei luoghi, può esprimere meglio la fusione remota tra uomo e natura.

Bonfà trova i soggetti e i colori del suo lavoro nella sua terra d’origine a Bianco, dove ha uno studio, una sorte di torre d’avorio che lo protegge e dove completa i lavori iniziati all’aperto o anche elabora i quadri per le chiese. La comunità di Bianco deve a Bonfà “la sopravvivenza della tela storica della Madonna di Pugliano, un quadro dell’Ottocento che fu rubato dalla Chiesa Madre…sul finire degli anni Sessanta.” (Ornella Palumbo articolo per la morte del pittore.)

Egli dipinge prevalentemente paesaggi. E’ un paesaggio che ha dentro di sé e che ha visto e ammirato da sempre, spesso il suo vedutismo è un pretesto per dare sfogo alla vena poetica con i colori. La pittura di Bonfà non è mai tragica, a volte è melanconica, ma sempre permeata da un amore viscerale per le forme della natura che non sono mai descrittive.
Il colore, in alcuni quadri è dato a larghe pennellate quasi ad accarezzare l’oggetto che rappresenta, barche, mare, cielo, in altri è più corposo e materico come nel fogliame degli alberi e nelle nuvole.

Alberto Bonfà: Barche a Bianco, Olio su Tela  

 

 In alcune zone dei dipinti il colore è, a volte, timbrico ma sempre armonizzato con la parte restante del quadro: l’artista tende a rappresentare nei paesaggi le atmosfere, come facevano gli impressionisti.

Bonfà non usa tantissimi colori, tende in prevalenza ai primari fondendoli tra loro, in una luminosità straordinaria, la vera cifra di modernità del pittore. Una luminosità che si nota qui, in quest’antica e meravigliosa terra mediterranea.

Da questi commenti si deduce che ALBERTO BONFA’ è un pittore di spessore, un artista che è vissuto quasi sempre nel suo paese, lontano dal clima caotico e spesso improduttivo della città. Nonostante ciò è riuscito ad ottenere riconoscimenti importanti a conferma delle sue qualità di pittore. Bonfà negli anni Settanta ottiene “la massima onorificenza, il Premio Presiedente della Repubblica”. Una sua opera è conservata in Quirinale e fa parte del patrimonio artistico del Palazzo.

“…artisti isolati, magari relegati a una grama esistenza di provincia, privi del prezioso appoggio di un critico, di una rivista, di una galleria: forse in mezzo a loro si nascondono valori veri, destinati a sfidare con successo il tempo”. (Manuale di storia dell’arte, Electa -Mondadori, Milano 1998)

Bene ha fatto la Parrocchia di Bianco, in collaborazione con L’amministrazione Comunale, il Comitato Festa di Maria SS di Pugliano e l’Istituto d’Arte di Locri a ricordare Alberto Bonfà che, con la sua arte, ha sviluppato una delle espressioni più autentiche della cultura di questa terra.
Ezio Flammia

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