Antiquariato e storia

12 – Cinque minuti di Antiquariato: Pietro Piffetti

Nel ‘700, a Torino, le botteghe di ebanisteria sono protagoniste e testimoni di una notevole crescita qualitativa che farà nascere una vera e propria tradizione, condotta e stimolata da una attenta politica sabauda. Oggi parleremo di uno di questi artigiani/artisti: il maestro incontrastato Pietro Piffetti.

Fonte:Sergio Salomone collaboratore esterno della ditta Studio Laboratorio di Antichità s.a.s.

Futuro, “Primo ebanista del Re Pietro Piffetti nasce a Torino il 17 agosto 1701 da genitori provenienti dalla provincia di Asti.

Non si hanno notizie confermate sulla formazione iniziale dell’artista. Di certo la vocazione nei confronti dell’ebanisteria venne incoraggiata dalla notevole crescita di qualità in quel periodo delle Botteghe torinesi con il costituirsi di una vera e propria tradizione stimolata da una accorta politica sabauda.

12 – Cinque minuti di Antiquariato: Pietro Piffetti

All’interno della famiglia: il nonno fu “maestro di bosco” – il termine “bosco” è un piemontesismo italianizzato, letteralmente dobbiamo leggere: legno – il padre Giuseppe Maria esercitò il mestiere di minusiere, poi abbandonato per aprire una osteria; ebanista divenne anche il fratellastro Francesco.

Sposatosi nel 1722 con la figlia dell’ebanista Giuseppe Burzio, si ipotizza che intorno a questa data apra una bottega. Poco si sa della produzione giovanile, sembra ci sia stata una collaborazione con l’ebanista veneziano Ludovico De Rossi e che uno dei primi lavori del Piffetti possa essere questa Scrivania custodita a Torino al Museo Civico di Arte Antica.

Si sa che nel 1730 il Piffetti è a Roma, poiché in tale occasione produce alcuni mobili per il potente Ministro di Vittorio Amedeo II: Carlo Vincenzo Ferrero, marchese d’Ormea; si presume che il medesimo conoscesse già l’ebanista a Torino e che dunque avesse organizzato la permanenza romana.

Roma generò stimoli artistici e modelli culturali; dall’ebanista Pierre Daneau, parigino attivo a Roma, apprese la tradizione seicentesca della decorazione lignea floreale fiamminga e potette altresì venire a conoscenza della cultura formale e plastica del Bernini.

Proprio il marchese d’Ormea fu l’artefice principale nell’imprimere una svolta nella carriera del Piffetti. Suggerì infatti, nel novembre 1730, a Carlo Emanuele III, da poco divenuto Re di Sardegna, di chiamare l’ebanista a corte; nel 1731 Piffetti lascia definitivamente Roma e il 13 luglio ottiene la patente Regia. Piffetti venne incaricato non solo di produrre nuove opere, ma anche e soprattutto di: “mantenere in buono stato e decente tutti li mobili esistenti e che saranno tanto in questa città che ne luoghi di piacere”. Per questo riceverà uno stipendio annuo di 500 lire, mentre i mobili costruiti dal nuovo verranno pagati a parte.

L’artista sarà ininterrottamente al servizio dei Savoia dal 1731 fino alla Sua morte.

Per la famiglia Reale realizzò non solo mobili di apparato, ma anche raffinati calamai, scatole, sputacchiere, ventagli, pedine per scacchiere; non si sa invece in quali proporzioni possa aver lavorato per altri committenti, soprattutto al di fuori dei confini sabaudi.

Piffetti lavorò a stretto contatto con gli architetti del Re e in particolare con Filippo Juvarra di cui si conosce un progetto per il Regio Gabinetto; ma Piffetti è comunque protagonista spesso dell’invenzione ed esecuzione e il suo corpus è disseminato di un numero di opere “firmate” sorprendentemente alto per un ebanista.

Nel 1747 esegue il paliotto per l’altare della Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale e nel 1749 un secondo paliotto destinato all’altar maggiore della chiesa di San Filippo a Torino. In queste e in altre opere del periodo, le impiallacciature di legni rari spesso cedono il passo alla madreperla e all’avorio inciso e colorato.

Dalla metà del ‘700, gradualmente, Piffetti ridusse gli effetti cromatici e luminosi delle preziose marqueterie o marchettature, se vogliamo italianizzare il termine, a vantaggio di ampie campiture impiallacciate ove vengono utilizzate le possibilità espressive delle venature del legno e talora della radica di noce, intuisce cioè il cambiare del gusto che in una fase di transizione, si volgerà verso la maggior semplicità del neoclassicismo.

Morì a Torino il 20 maggio 1777; erede universale è il nipote Giuseppe Panto il quale, constatata la presenza in bottega di un numero importante di mobili di pregio, metterà alcuni di questi in palio in una lotteria svoltasi il 18 marzo 1780.

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