Consulenze per il Pianoforte

Considerazione sul restauro dilettantistico

a cura di Stefano Rogledi

Domanda

Salve  avrei bisogno di un informazione:
mi hanno regalato un pianoforte  di marca Boisselot e sto cercando di restaurarlo, ci sono i tasti che sono ingialliti, non tutti della stessa tonalità e volevo capire se si riescono a ripulire, non voglio portarli al bianco naturale ma almeno riuscire ad avere una colorazione uniforme, ho letto un po’ in giro ed ho capito che non è un pezzo dei gran valore; sarebbe il caso di riverniciarli?? si può? io non ne sono tanto convinto però!

Non sono un restauratore ed è la prima volta che faccio un lavoro simile, ho già sverniciato tutto il piano e adesso ho inbustato tutto per completare il trattamento antitarlo. Successivamente devo  utilizzare prima il turapori e poi stuccare? o viceversa?? ma devo utilizzare il turapori o la cementite??

Appena possibile manderò delle foto per cercare di capire l’anno di costruzione del pianoforte.

nticipatamente grazie

Graziano

Risposta

Gentile visitatore,
debbo dire che provo un pò di “agitazione” nel leggere mail simili. Lo dico con simpatia.
Il motivo è semplice: io considero a volte il FAI-DATE, il CIMITERO della professionalità, L’ABISSO DEI BUONI RISULTATI.
Nel 99% dei casi si combinano veri e grandi disastri, su tutti i fronti. SI ROVINANO LE BELLE COSE!!
Parere personale naturalmente.

Parlando di mobile, basta vedere il risultato finale di un vero lucidatore capace, professionista, sensibile..alla Ernesto Colmi, tanto per intenderci!
Da pelle d’oca tanto è eccezionale!! C’è dentro CAPACITà.
Che senso ha uccidere un prodotto d’arte solo per poter dire “l’ho rifatto io” ? é un approccio sbagliato, amatoriale.

Questione di punti di vista certo, e uccidere per me significa ottenere anche solo il 50%, se va di lusso, rispetto al risultato ottimale.

Immaginiamo in un pianoforte poi.
Pianoforte = condensato di fisica, acustica, geometria, cinetica..oltre al buon gusto estetico del timbro..quindi musicalità,ricerca e studi sulla tavola di risonanza, materiali, assemblaggio, progetto della cordiera, della meccanica ecc..e poi ebanistica e ancora e ancora..
E questo solo sul fronte “progetto e costruzione”.
Sul fronte restauro il discorso è sostanzialmente identico, con in più la percezione specifica del risultato finale da ottenere.
Questo purtroppo non si spiega in una mail…nemmeno lunga 10 anni. E neanche con pò di pratica.
Dunque é necessaria e imprescindibile la preparazione tecnica, costruttiva e di restauro di cui si parlava prima..
(non calcolando esperienza, luogo adatto, strumenti e attrezzature di lavoro ecc..ecc…ecc..ecc..).
Quindi il risultato finale di un approccio amatoriale (FAI-DA-TE appunto) è per esempio l’idea di riverniciare i tasti bianchi (!!!) ecc..ecc..(e poi, perchè mai la cementite?? perchè il turapori? sui pianoforti??
perchè tutta quella roba su quel “povero” mobile sicuramente pregiato?? Alla fine magari pretendiamo di vedere ancora tutti i meravigliosi giochi di venature di cui è capace il legno..prodotto naturale prodigioso).

Questo è il mio pensiero, semplicemente…. e in più il Maestro Colmi forse si agiterebbe un pò a leggere di turapori e cementite (!!).

Anche se a volte la “passione e buona volontà” sono doti apprezzabili, consideriamo per un attimo il nocciolo dell’espressione  “fare un lavoro”. Forse potrebbe essere il
seguente: “impiegare
la propria esistenza (quasi a tempo pieno per certe professioni), per raggiungere il meglio che un individuo possa esprimere in ONORE E AMORE verso gli elementi che tratta, con le doti che gli sono state conferite.
L’altro giorno sono andato in concessionario per cambiare una lampadina bruciata, cosa elementare che ormai sulle automobili moderne è divenuta complicata. Costo 20 euro, tempo
5 minuti, problemi zero.

La buona volontà va bene solo per fare buone azioni giornaliere.

Non me ne voglia Graziano; cerco soltanto di illustrare il mio concetto di fondo riguardo alla mia professione, sia ben chiaro, indipendentemente dal valore dell’oggetto.

Cordialmente,
Stefano Rogledi

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